venerdì 25 novembre 2011

FOSCOLO (ITALIANO)


UGO FOSCOLO





VITA E OPERE



Nasce nel 1778 a Zante, isola allora appartenente alla Rep. Di Venezia oggi territorio greco.

Il padre era un medico veneziano, la madre una greca ortodossa.

L'infanzia fu trascorsa tra Spalto, dove poi morirà il padre, a Zante, dalla zia, e a Venezia, dove si ricongiunge alla madre.

Gli studia procedono bene: Foscolo impara presto il greco moderno e antico, il latino, l'italiano.

Inizia ad intraprendere l'attività di traduttore.

La discesa di Napoleone in Italia (1796) accende il suo entusiasmo politico tanto che si impegnerà militarmente per la causa rivoluzionaria.

Ma con il Trattato di Campoformio (1797) e dunque la cessione di Venezia all'Austria, assume un atteggiamento antifrancese (che nel 1810 gli costerà la censura dell'aAjace).

Continuando a viaggiare tra Milano e Bologna, dove collabora con diversi periodici, si arruolerà per la difesa della Repubblica Cisalpina.

A Milano, nel 1801, pubblica le Ultime lettere di Jacopo Ortis. Intanto muore il fratello Giovanni a Venezia.

Tra il 1802 e il 1803 pubblica varie poesie (tra cui i 12 sonetti e le 2 odi).

Dopo essere stato in Francia con il contingente italiano e aver avuto un figlia, torna a Venezia dalla madre e dalla sorella.

Nel 1807 dedica a Pindemonte Dei Sepolcri.

Vive poi per lo più a Firenze dove pubblicherà Le Grazie (1813).

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia gli austriaci tornano in Italia.

Foscolo, dopo un tentennamento, rifiuta le loro offerte di collaborazione e fugge in Svizzera, poi in Inghilterra, dove vivrà in miseria, nonostante continuerà a produrre numerosi scritti per riviste. Muore nel 1871.

I suoi resti saranno trasportati a Santa Croce, a Firenze.

Durante tutta la sua vita intraprese numerose relazioni.



CONTESTO STORICO: ILLUMINISMO E NEOCLASSICISMO



La corrente dell’illuminismo nasce intorno al 1748 con la pace di Aquisgrana e termina intorno al 1815 con il Congresso di Vienna,quando verrà sostituita gradualmente dalla corrente del Romanticismo.

La Francia è il paese europeo che funge da nazione guida nell’illuminismo,anche se le radici di questa corrente provengono dall’Inghilterra.

Le nuove idee illuministiche si diffondono però in tutta Europa,penetrando anche in Italia, anche se con caratteri meno radicali di quelli dell’Illuminismo francese.

Nel periodo illuministico si ha la fine di quello che è l’intellettuale cortigiano,dipendente dalla nobiltà,e si ha la nascita di un nuovo tipo di intellettuale che diventa lo specchio di quella che è la nuova classe borghese, moltissimi dei nuovi intellettuali appartengono di fatti a questa stessa classe sociale.

Gli intellettuali illuministi sono degli ‘agitatori di idee’,essi non scrivono più infatti solamente di tematiche colte e letterarie,ma si occupano di quelli che sono i problemi sociali cercando di risvegliare nei loro lettori una vera e propria coscienza sociale,e fanno ciò attraverso la diffusione dei loro pamphlets o giornali.

Nascono in questo periodo delle riviste che trattano una molteplicità di argomenti che vanno dalla scienza al diritto,argomenti che avevano la caratteristica fondamentale di istruire il cittadino,un esempio è ‘Il Caffè’.

Si diffonde tra gli intellettuali il bisogno di un sapere enciclopedico di cui sarà espressione l’encyclopédie di Diderot e D’Alembert.

Gli intellettuali che non dipendono più dai ricchi signori iniziano ad organizzarsi in società come l’accademia dei Pugni a Milano.

Durante il periodo dei lumi vi sono le cosiddette monarchie illuminate,l’intellettuale deve mantenere quindi un rapporto con il monarca,e per evitare l’esilio scrivendo cose non gradite al sovrano deve cercare di influenzarlo.

L’illuminismo è l’età della ragione,e l’idea fondamentale di questo periodo è quella della centralità dell’uomo.

In questo periodo nascono una nuova concezione del tempo,dell’uomo e della natura.

Il tempo diventa attività produttiva,concezione dovuta al fatto che con la rivoluzione industriale si viene pagati ad ore.

Nasce una visione meccanicistica dell’uomo e della natura,l’uomo e la natura sono visti come macchine,vi è una meccanizzazione della vita dovuta alla scansione delle ore lavorative,e un’idealizzazione della natura,vista come regolatrice dello sviluppo civile.

Nasce il mito del ‘buon selvaggio’,in cui si contrappone l’uomo moderno a quello primitivo.

Si diffondono il deismo,l’ateismo e il teismo,essendo l’illuminismo essenzialmente laico,la stessa istruzione non è più affidata al clero ma agli intellettuali.

L’intellettuale illuminista per far recepire il proprio messaggio a una vasta parte della popolazione utilizza uno stile semplice,tipico dei saggi e dei romanzi.

A livello artistico l’Illuminismo è accompagnato dal Neoclassicismo,che si sviluppa soprattutto in Italia e in Francia,mentre in Inghilterra e in Germania verrà sostituito presto da correnti preromantiche,come quella dello Sturm und Drang tedesco.

Nel Neoclassicismo l’intellettuale prova un senso di nostalgia nei confronti del mondo antico che viene sentito come un mondo ormai lontano,si cerca di imitare l’operato degli antichi attraverso l’imitazione ma anche attraverso l’innovazione,allo stile antico viene aggiunto quindi qualcosa di attuale.

Per i neoclassici il bello non è bello storico,non si adatta quindi alle varie epoche,ma è stato idealizzato dagli antichi greci e romani e non può più essere superato,ciò sarà un motivo di contrasto con i romantici.

Il più grande teorico neoclassico è Winkelmann.

Al Neoclassicismo si contrappone quindi il Preromanticismo,e Ugo Foscolo viene collocato proprio fra queste due correnti.


LETTERE DI JACOPO ORTIS



Romanzo epistolare: modo diretto per trasmettere, didascalico.

Lettere all'amico Lorenzo - lettere per Teresa - lettere dell'amico (dopo il suicidio)

La vicenda prende inizio con il trattato di Campoformio con il quale Napoleone cedette Venezia all'Austria. Jacopo, deluso da Napoleone, fugge sui Colli Euganei. Si innamorerà di Teresa che ricambierà il suo amore ma la quale è promessa al mediocre ma ricco Odoardo. Teresa rispetta la decisione del padre per poter rimediare alle difficoltà economiche della famiglia. Jacopo viaggia per l'Italia in modo da contenere la passione per la donna. Si fermerà anche a Ventimiglia dove scriverà una lettera per Lorenzo. Tornato poi ai Colli, e dopo aver scoperto il matrimonio di Teresa, si uccide pugnalandosi al cuore.

Il tema principale è il dolore esistenziale dovuto alla delusione politica, letterale (Jacopo proverà senza risultati a scrivere) e amorosa: l'impotenza e la delusione della società e della storia lo porteranno infatti al suicidio, che sarà per lui una sorta di liberazione dalla sofferenza ma anche una sorta di arresa di fronte agli inevitabili eventi. Tipico del romanticismo è l'importanza che viene attribuita ai sentimenti: Jacopo non è un uomo freddo e razionale, bensì ha l'animo acceso e ivaso dalle passioni.

Lo stile è elegante, neoclassico.



- INCIPIT

Tema: Disillusione politica: il popolo italiano non ha le forze di respingere gli austriaci: tutto è perduto.

Si apre con la parola sacrificio, la quale ci fa già intuire che in tutta l'opera il tono sarà triste.

Lo stile è neoclassico, solenne e conciso ("il sacrificio della patria nostra": endecasillabo, tipico della lirica)

Jacopo ci dice che non resta nient'altro che rassegnarsi e piangere la propria disgrazia, in parte dovuta anche al popolo italiano che non ha saputo (nè potuto) combattere e difendersi. Sa di essere perseguitato dagli austriaci, ma nonostante questo non vuole consegnarsi ai francesi per salvarsi, poichè lo hanno tradito: consegnandosi alle braccia straniere, una volta morto, non potrà essere compianto dalla madre a Venezia, poichè i suoi resti saranno in terra straniera. Gli affetti familiari tornano spesso in Foscolo.

L'Italia è uno sciagurato Paese poichè sotto il giogo austriaco, non può reagire, ma nonostante questo Foscolo ha un'idea di unità del popolo italiano (dice "e noi")

Ormai Jacopo è disperato, cioè non ha più speranza.

La morte è l'unica soluzione a questa situazione senza via d'uscita, per questo la attende tranquillamente, sapendo che potrà essere ricoradto dai pochi che lo amano.



- AMORE PER TERESA

Tema: disillusione amorosa

la lettera descrive i sentimenti contrastanti che Jacopo prova per Teresa mentre la guarda dormire: da una parte emerge la sensualità, la visione terrena con cui viene guardata, dall'altra c'è una sorta di sublimazione: compostezza neoclassica.

Lo stile è alto, neoclassico.

Jacopo dice che non ha osato baciarla nel sonno anche se l'amore per lei è corrisposto, poichè la rispetta.

Si alternano momenti ci compostezza a slanci di passionalità, come quando dice di essere infiammato e fuori di sè, e alternanza di gioia (quando descrive il suo amore per lei) e dolore (quando ammette di non poterla avere)

La descrizione è inizialmente sensuale poi più composta: parla di carezza sacra e mano divina, la descrizione richiama quella della donna-angelo degli stilnovisti.

Jacopo si avvicina come per baciarla, la sfiora, ma dopo un breve sussulto della daonna Jacopo si allontana, affermando di essere la causa del suo dolore.

Lei infatti ha pietà per lui: si duole prima per lui che per se stessa, poichè ha accettato la situazione.

Lui sa che non ha speranze, il suo amore per lei le è stato concesso solo per aumentare la sua sofferenza. La Lettera si chiude con una sorta di speranza: Jacopo dice che lei è sua, anche se sa che non è vero.



- LETTERA DA VENTIMIGLIA(seconda parte)

Tema: stanchezza di vivere, impotenza dell'uomo, pessimismo della storia

Poesia sepolcrale: asprezza paesaggio (tipico elemento dei pre-romantici)

Paesaggio stato d'animo derivante dalla tradizione illuminista.

Si apre con la descrizione nel territorio nel nord Italia, irto e aspro, e quindi adatto come difesa naturale. Nonostante questo però l'Italia è soggetta al giogo straniero. Cosa la rende dunque fragile? Non mancano protezioni naturali, bensì la concordia. Il braccio (forza armata) e la voce (persuasione) del poeta non possono bastare. Noi italiani siamo miseri: la gloria degli avi (tombe) splende, ed è l'unico vanto dell'Italia attuale.

Pare che l'uomo sia fabbro del proprio destino invece siamo parte del tutto, siamo cieche ruote dell'orologio.

La storia infatti è alternanza di potere e sottomissione, le nazioni si sottomettono a vicenda: l'una esiste grazie alla debolezza dell'altra.

La ragione non può nulla di fronte al ciclo naturale e alla natura aggressiva dell'uomo, altro elemento invevitabile della storia. Questa siducia è di carattere tipicamente anti-illuministico.

Seguono esempi di popoli sottomessi e vincitori.

La legge è il diritto del più forte. Tutti i governi, dunque, sono illegittimi poichè presi con la forza. Lo stesso vale per il governo delll'austria su Venezia.

Chi si crede meritevole di propria virtù sbaglia: è il moto prepotente delle cose che guida ogni azione. La religione è stata creata per cercare una felicità che in Terra non può esserci, una consolazione per i deboli, invece è usata per avere il potere.

La compassione è l'unico valore vero: la solidarietà è la vera umanitas, unico conforto alla vita che è sofferenza: la natura infatti ci dà la ragione, ci rende consapevoli della nostra impotenza.

Dove fuggire dunque? Gli uomini sono tutti uguali.

L'unica speranza di Jacopo è il conforto che avrà dopo la morte, e per questo tornerà alla sua sacra terra. (Tema che anticipa "Dei Sepolcri")

La morte è l'unico conforto a questa vita piena di sofferenza e tristezza.



CANZONIERE

I SONETTI



I dodici sonetti e le due odi scritti da Foscolo tra i venti e i venticinque anni compongono il cosiddetto corpus dell’autore.

Nel 1803 si ha la stampa definitiva dei sonetti in cui il poeta aggiunge agli otto più antichi gli ultimi quattro.

Nei sonetti sono trattate le tematiche fondamentali del poeta,come l’esilio e il tema sepolcrale,e in essi vi è la vera espressione dell’io del poeta,a differenza delle odi puramente neoclassiche.

Tra i sonetti più famosi troviamo:Alla sera,A Zacinto(Né mai più toccherò le sacre sponde) e In morte del fratello Giovanni (Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo).



- ALLA SERA (pagina 203)



Alla sera è un sonetto classico con rime alternate sia nelle quartine che nelle terzine.

In questo sonetto vi è una riflessione di Foscolo sulla morte,la stessa sera è vista dal poeta come l’avvio verso il termine della vita.

L’idea stessa che Foscolo ha della morte è materialistica,essa è infatti ‘fatal quiete’ è ‘nulla eterno’,è estinzione definitiva e irreparabile della vita;in questo sonetto è dunque visibile il Foscolo illuminista in cui la morte non è vista in chiave religiosa ma puramente in chiave laica.

La morte è vista nel sonetto come un momento di pace,come perenne tranquillità.

Foscolo si avvicina quindi con questo sonetto alla concezione lucreziana di morte,in cui l’anima dopo la morte del corpo si disgrega.

Nelle quartine vi è un tono più ampio e disteso,mentre nelle terzine uno più serrato e incalzante,ciò è dovuto al fatto che nelle quartine gli enjambements collegano aggettivi e sostantivi,mentre nelle terzine sostantivi e verbi.



- A ZACINTO (pagina 205)



Il tema fondamentale di ‘A Zacinto’ è indubbiamente quello dell’esilio,a cui si aggiungono il richiamo al Neolclassicismo e il tema sepolcrale (tipico elemento preromantico).

Il sonetto si apre con una doppia negazione che accentua maggiormente il dolore che Foscolo prova per la perdita della patria,dolore che lo accompagnerà per tutta la vita.

Il tema dell’esilio è sposato con la rievocazione mitica della terra natale del poeta,le cui acque erano già state cantate da Omero.

È proprio attraverso il richiamo al mito,con la nascita di Venere e il riferimento a Ulisse,che si vede lo stile neoclassico di Foscolo in ‘A Zacinto’.

Il fato di Ulisse è paragonato qui a quello del poeta,facendo emergere nuovamente il doloroso esilio,se l’eroe greco ha potuto fare ritorno a Itaca,Foscolo non potrà mai ritornare a Zante.

Zacinto viene trasferita in una sfera di mito e di dei,è un piccolo paradiso,offuscato però dai sentimenti del poeta.

Zacinto ha una doppia sacralità:nel mito il suo mare ha generato Venere,nell’immaginario del poeta rappresenta la patria con i ricordi e gli affetti famigliari.

Il tema dell’esilio presente in tutto il componimento è particolarmente evidente nell’ultima terzina dove è unito al tema sepolcrale (illacrimata sepoltura).

Il sonetto ha uno stile elevato dato soprattutto dalla presenza del mito.



- IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI (pagina 207)



Anche in questo sonetto come in ‘A Zacinto’ appaiono gli aspetti neoclassici e preromantici di Foscolo.

I riferimenti neoclassici nel testo sono il richiamo ai numi nella prima terzina e l’evidente collegamento con il carme 101 di Catullo.

Appare ancora una volta il tema sepolcrale,tipico del Preromanticismo.

I protagonisti del componimento sono tre:l’io del poeta,il fratello e la madre.

Questa triade affettiva è stata spezzata perché il fratello si è tolto la vita mentre Foscolo è costretto all’esilio.

L’esilio fa appunto soffrire il poeta perché vorrebbe lenire i suoi dolori piangendo sulla tomba del fratello ma non può farlo non potendo tornare in patria.

Attraverso il compianto del fratello il poeta compiange anche sé stesso,l’io del poeta e il fratello Giovanni sono infatti sovrapposti nel componimento.

La madre se considerata come madrepatria diventa nel componimento simbolo di dolore e di disillusione civile;è appunto in madrepatria in cui alla fine del componimento Foscolo esprime il desiderio di essere seppellito.

Dal punto di vista stilistico è visibile la soggettività del poeta espressa tramite l’uso di pronomi e aggettivi personali.



2 ODI

Stile e temi neoclassici





DEI SEPOLCRI



Si tratta di un Carme, cioè poesia impegnata, colta, di 195 endecasillabi sciolti.

Lo stile è quindi solenne e incisivo.

Dedicato a Pindemonte, nasce nel 1806 in seguito alla discussione con lo stesso sul tema delle sepolture, e dopo l'Editto di Saint-Claude: esso pevedeva che la sepoltura dei morti dovesse avvenire fuori dalla città e che le tombe dovessero essere anonime. Nacque in questi anni un intenso dibattito sulla questione a livello internazionale.

Il Carme fu pubblicato nel 1807.

La novità di Foscolo non sta nel tema sepolcrale, ampiamente trattato dai pre-romantici, bensì nel suo procedere per argomentazioni ed esempi, con un intento dimostrativo, e nel suo continuo spostarsi dal passato al presente, coprendo un ampio spazio di tempo.



Prima parte: (v. 1-90)

Tema: funzione delle tombe

si apre con due domande retorica: è vero che la tomba serve ai morti? Avrò consolazione io, Foscolo, una volta morto, se dovessi avere un sepolcro? Per lui no: oltre la vita non c'è nulla (materialismo), anche la speranza fugge i sepolcri.

Però la tomba serve per i vivi: rende la vita meno dura. Infatti chi piange il morto può ricordarlo attraverso la tomba e alleviare il dolore della perdita, chi deve morire trova conforto sapendo che sarà appunto compianto e ricordato attraverso la tomba: corrispondenza d'amorosi sensi.

Superamento (seppur illusorio) della morte: se si è ricordati il dialogo continua.

Chi non ha amato in vita non avrà questo conforto, può solo sperare nell'inferno o nel paradiso.

Protezione: la tomba protegge fisicamente i resti del morto.

(Questi sono aspetti privati del sepolcro)

Mantenere il ricordo: il nome verrà trasmesso e in questo modo si potrà essere d'esempio per i posteri: valenza civile. (Aspetto universale)

Nonostante questo c'è l'editto. Così gli uomini più llustri, come Parini che giace senza tomba, saranno dimenticati: non essendoci la sua tomba, infatti, Foscolo non avverte la presenza della sua poesia lì dove Parini era solito meditare. La Musa, che un tempo lo ispirava, forse cerca dove giace il poeta, che potrebbe anche essere vicino alle ossa di un assassino che insanguinano i suoi resti (descrizione macabra e sepolcrale tipiace dei pre-romantici ): la tomba è persa, la Dea prega inutilmente che Parini possa essere di nuovo esempio di virtù.

Nota: Parini criticò gli aristocratici lombardi. - Talia: musa della poesia satirica



Seconda parte: (v. 90-150)

Tema: riti e culti legati alla morte e senso di civiltà

La civiltà diventa tale solo quando inizia ad aver cura dei morti attraverso:

- la protezione fisica dei resti

- i riti religiosi: questi tramandano virtù patrie (cioè consentono ai morti di essere d'esempio) e pietà congiunta (cioè fanno sì che ci sia rispetto per i defunti): sacralità della tomba: è vero dunque che la religione trasmette valori ma è avvenuto in modi diversi: c'è una netta contrapposizione tra la religiosità cattolica medievale, da condannare, e quella greca.

Infatti al prima era cupa e opprimente, (descrizione macabra di ossa cadaveri e puzza), punta sulla paura del fedele, sulla superstizione. In più Foscolo critica la compravendita delle indulgenze, tipica del periodo.

Il culto classico invece, descritto in un contesto paesaggistico positivo, verdeggiante, luminoso e profumato, ha reso davvero onore ai morti: il loro culto infatti è semplice e naturale, spontaneo: chi muore cerca la luce, non l'oscurità che governava nel Medioevo.

In funzione anti-francese vengono elogiati i culti britannici attuali, i quali si avvicinano maggiormente a quelli classici antichi: i loro cimiteri sono giardini, dove si prega e si ricordano i grandi eroi come Nelson. Viene qui accennato il tema della venerazione dei grandi, già introdotta con la figura di Parini e approfondita nella parte successiva.

Nota: Nelson era l'ammiraglio che sconfisse la flotta francese e spagnola trovando la morte in battaglia.

Ma come i cimiteri dei popoli virtuosi ispirino la stessa virtù ai posteri attraverso i sepolcri, così, in Italia, i sepolcri sono solo sfoggio di ricchezza e pretesto di vanità: è inutile che vi siano i sepolcri se la società ha perso i giusti valori, non conta esser nobili o ricchi e adulati se non si è virtuosi. Foscolo si augura invece che sarà ricordato e preso come esempio in quanto predicatore di giusti valori.



Terza parte (v.151-212)

Tema: tombe degli uomini illustri

Viene ripreso il tema della funzione dei sepolcro degli illustri: stimolano a nobili gesti. Esempio di ciò sono i le tombe di quelli sepolti a Santa Croce (Firenze), che lui stesso visitò: Machiavelli che ha svelato i segreti alle persone di come si debba conquistare e mantenere il potere (ne "Il Principe"), Michelangelo, artista, Galileo e Newton, scienziati.

Segue un'apostrofe a Firenze: te, beata, conservi i corpi di questi grandi e hai ascoltato i primi versi della Divina Commedia, prima che Dante fosse esiliato, e dalla tua stirpe, seppur in esilio, nacque Petrarca, il quale ha purificato e spiritualizzato, cioè idealizzato le tematiche erotiche. (Tutti i personaggi non sono nominati bensì descritti attraverso perifrasi)

Ma tu sola, Firenze, conservi le uniche glorie passate di un'Italia ormai destinata al dominio straniero (tema della inevitabilità della storia).

Perciò è proprio da qui che bisognerà ispirarsi per un riscatto italiano. Lo stesso Alfieri si ispirò a queste tombe (come Foscolo). E anche lui è sepolto qui.

C'è poi un richiamo al mondo greco: al cospetto delle tombe dei grandi si avverte la voce di quel Dio che ispirò l'eroica vittoria dei greci nella battaglia di Maratona contro i Persiani e potrebbero quindi allo stesso modo ispirare gli italiani.

Chi sia passato di notte presso il luogo della battaglia ha avuto modo di rivedere i segni dello scontro, il quale si ripete ogni notte secondo una credenza: la memoria di quell'impresa ancora non si è spenta.



Quarta parte (v. 213-295)

Tema: giustizia della morte e funzione della poesia

C'è un'apostrofe a Ippolito (cioè Pindemonte): è fortunato poichè ha potuto visitare quella Grecia, al contrario di Foscolo. Segue un parallelismo con Ajace, figura del mondo classico: si dice che il mare abbia deposto sulla tomba di Ajace le armi di Achille che Ulisse gli aveva sottratto con l'inganno, spingendolo addirittura al suicidio. Ha dunque ottenuto giustizia. Allo stesso modo Foscolo chiede giustizia, cioè di riposare in pace in un sepolcro.

Foscolo ci dice che è le Muse, protrettrici delle tombe, lo chiamano per rievocare le nobile gesta degli eroi: grazie alla sua poesia questi continuano a vivere nonostante siano passati secoli e le tombe siano distrutte. Aiuta quindi il sepolcro nella sua funzione civile. Vengono forniti esempi per avvalorare questa tesi: dopo un excursus sulle origini di Troia dice che Elettra, prima di morire, chiese di essere ricordata, e così ottenne da Giove la sacralità della sua tomba: qui infatti ci fu anche la tomba di Ilo (fondatore di Troia), qui pregarono le donne troiane prima della difatta, qui venne Cassandra a cantare l'imminente sconfitta.

Il suo canto chiude il carme: si rivolge prima ai nipoti poi alle piante protettive delle memorie patrie. Annuncia la distruzione di Troia che quindi non potrà più essere trovata, e il destino da schiavi che spetta ai troiani. Torneranno però i Penati, cioè la stirpe proseguirà (nel Lazio con Enea). Predice che un giorno Omero canterà gli eroi troiani, interrogando le loro tombe, custodi della storia.

Infine, rivolgendosi ad Ettore, dice che sarà pianto e ricordato anche lui "finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane", ossia fichè l'uomo vivrà: non c'è aldilà. visione materialistica

Ecco quindi di come anche la poesia renda giustizia anche agli erori che sono stati sconfitti.

Nota: pessimismo: la storia dell'uomo è detta "sciagure umane". - Cassandra: non era mai crreduta, un po' come Foscolo che non viene capito dalla società (si sente poeta-vate, vittima, esule)



La composizione è ad anello: si apre e si chiude con concezione filosofica del materialismo.


martedì 22 novembre 2011

CARAVAGGIO (ARTE)

VITA:

Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, nasce nel 1571 a Milano. Vive però la sua infanzia a Caravaggio (da cui il soprannome), piccolo centro nella provincia di Bergamo. Successivamente si sposterà con la madre, rimasta vedova, e i fratelli di nuovo a Milano dove, giovanissimo, comincerà a lavorare presso la bottega di Simone Peterzano. Troverà la sua affermazione poi a Roma, frequentando la bottega del Cavalier D’Arpino e successivamente si dedicherà alle committenze private. La figura di Caravaggio è sempre stata delineata come quella di “pittore maledetto”, per i suoi comportamenti poco consoni. Episodi di risse, violenze e schiamazzi andarono via via aumentando e, per i gravi problemi con la legge, dovette spesso fuggire da una città all’altra. Merisi morirà a Porto Ercole nel 1610.

CARATTERISTICHE GENERALI:

Con la sua formazione artistica milanese, cominciano a delinearsi le caratteristiche tipiche del naturalismo, prettamente lombardo. Influenzato dalla pittura del nord d’Europa, Caravaggio si dedica alla rappresentazione di nature morte, definita come pittura di genere (inferiore rispetto alla pittura ufficiale), diffusa per lo più nei paesi riformati per sostituire le immagini sacre, eliminate dalla tendenza iconoclasta del protestantesimo. Anche le nature sono rappresentate in modo realistico (frutta marcia, con ammaccature, foglie secche ecc.), come allegoria della caducità della vita e della vanitas umana. Le nature morte nei dipinti di Caravaggio sono spesso accostate a delle figure umane (cfr “Bacco”). La sua carriera di pittore italiano lo porterà a seguire la strada controriformista dell’arte di quegli anni, esprimendosi in modo semplice, facilmente comprensibile e lineare, in netto contrasto con la corrente manierista (artificiosa e complessa).

OPERE:Pag. 161. BACCO (1596-1597):

 Il ritratto raffigura un giovane su un triclinio, come un fanciullo d'epoca romana, vestito di un drappo che gli lascia scoperta la spalla destra e parte del torso. Egli regge un calice di vino e rivolge gli occhi allo spettatore. Sulla sinistra del dipinto, a fianco del cesto colmo di frutti (dei quali alcuni bacati per aumentare il naturalismo), vi è una caraffa di vino sul vetro della quale è possibile vedere riflessa una figura in abiti moderni, che si presume essere l'autoritratto del pittore stesso. Diverse sono le interpretazioni di questo quadro; la prima è che sia il dio Bacco, riconoscibile per la presenza della vite che adorna il capo e per il calice di vino che stringe tra le mani; la seconda è che sia Gesù Cristo, sempre per la presenza del vino, simbolo del sangue del Nazareno;  la terza è che rappresenti l’omosessualità, umanizzata nella figura di un giovane dai tratti femminili; la quarta e ultima interpretazione è che sia l’autore stesso da ragazzo.
                                                              
                                                                
                                                             
LE STORIE DI SAN MATTEO (pag.163)

In seguito all’esperienza romana presso il Cavalier D’Arpino, Caravaggio si dedica alle committenze private, la più importante delle quali affidatagli da Matteo Contarelli. Il lavoro consisteva nella decorazione della cappella famigliare del committente con i principali episodi della vita di San Matteo (omonimo di Contarelli).

VOCAZIONE DI MATTEO (1599):

 Il dipinto ad olio su tela è realizzato su due piani paralleli: quello superiore, costituito dalla luce divina e dalla finestra, che non è però la fonte del chiarore; quello inferiore da Cristo e Pietro che chiamano Matteo all’apostolato. Gesù e Pietro, vestiti con abiti antichi, si trovano in piedi alla destra del dipinto, rivolti verso Matteo e i suoi compagni, abbigliati invece alla moda contemporanea a Caravaggio. Cristo indica Matteo, con un gesto che richiama la mano di Adamo nella “Creazione” di Michelangelo, e segue con il suo dito la linea di luce del piano superiore, che illumina Matteo e gli altri personaggi, seduti al tavolo della locanda dove si svolge la scena. Chiaro riferimento all’ideale cattolico della salvezza divina concessa a tutti è la luce che illumina ogni personaggio, che ha la possibilità individuale di aderire o meno alla fede. Il messaggio che ne deriva è in netto contrasto con la tesi protestante, che parlava di un popolo eletto.

MARTIRIO DI SAN MATTEO (1600-1601):

 I due personaggi principali del dipinto sono San Matteo e il suo carnefice. Il Santo sta per morire e un angelo dal cielo gli consegna la palma del martirio. I personaggi secondari guardano la scena colpiti dai vari moti dell’animo, ripresi da Leonardo Da Vinci; tra la folla in fondo vi è anche Caravaggio stesso, intento a guardare la scena.

                                             

SAN MATTEO E L’ANGELO (Prima copia 1602, Seconda copia 1603):

 La prima versione di questo quadro fu oggetto di scandalo: in essa era rappresentato il santo come un popolano semianalfabeta a cui l'angelo guida materialmente la mano nello scrivere il Vangelo. Inoltre Matteo è senza aureola ed ha le gambe scoperte. L’opera è andata persa durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Nella seconda versione, realizzata un anno e mezzo dopo, l’evangelista scrive di suo pugno, solamente ispirato dall’angelo che conta, in volo sopra il suo capo, le generazioni di Cristo con cui comincia il Vangelo di Matteo stesso.

domenica 20 novembre 2011

ORAZIO (LATINO)


ORAZIO
LA VITA: (pag. 180-182)
Quinto Orazio Flacco nasce nel 65 a.c. a Venosa (Puglia). Figlio di un liberto, il padre, proprietario di un piccolo podere, lo portò con se a Roma, per effettuare studi approfonditi di letteratura greca (poeti arcaici) e filosofia ed ebbe contatti con i circoli epicurei. A 20 anni si recò in Grecia
Per perfezionare gli studi. Nel 42 a.c. partecipò alla battaglia di Filippi come “tribunus militum”
Sostenitore della libertà repubblicana. Riportata la sconfitta della sua fazione durante la sua battaglia, Orazio, tornato a Roma, trovò il padre morto e il suo podere confiscato. Essendo in una situazione economica disagiata si impiegò come “scriba quaestorius” ed iniziò a scrivere i suoi componimenti. Venne presentato a Mecenate da Virgilio nel 38 a.c.. nel 37 egli lo accolse nel suo circolo. Si avvicinò, infatti, ad Ottaviano ma rifiutò il ruolo di segretario non solo per continuare a scrivere i suoi componimenti, ma anche perché dopo la battaglia di Filippi non volle avere più niente a che fare con la politica. Nel 33 a.c. l’amico Mecenate li donò un podere nella Sabina dopo la pubblicazione del primo libro delle Satire. A contatto con la natura agreste iniziò la vera e propria produzione di Orazio, che andò avanti fino ai suoi ultimi anni di vita.
Morì nel 8 a.c. e fu sepolto presso la tomba di Mecenate alle pendici dell’Esquilino.
OPERE (pag. 182-183):
41 a.c.: inizia a scrivere Epodon liber e Sermones;
35 a.c.: oubblica il primo libro dei Sermones e il secondo nel 30;
23 a.c.: pubblica i primi 3 libri dei Carmina (ODI);
23-13 a.c.: scrive 2 libri di epistole e li pubblica dopo il 20 a.c.;
17-13 a.c.: compone il Carmen Saeculare, l’ars poetica, il quarto libro dei Carmina.
TESTI E CONTENUTI:
A Taliarco pag.230 (carmina I)
Strofe alcaica, fonte di ispirazione Alceo.
Versi 1-3 Giambici
Verso 4 2 sillabe dattiliche e 2 trocaici
Descrizione iniziale del paesaggio invernale predominato dal colore bianco, e che rimanda alla solitudine e alla tristezza e immobilità. Si parte da un campo visivo lungo (Soratte, piccolo monte romano innevato) fino ad arrivare a scovare i particolari più vicini (fiume, boschi). Orazio riprende il modello arcaico di poesia (la descrizione del paesaggio non è mai fine a sé stessa, il paesaggio reso vivo da certi termini e svolge una funzione evocativa) e anche il modello ellenistico come Catullo (descrizione di un paesaggio talvolta esotico ma sempre conosciuto, come anche in Virgilio). Non sappiamo chi sia Taliarco (nome parlante greco); può essere il simposiarca ( Talia= banchetto + archè= comando) oppure un giovane schiavo addetto a versare il vino durante il simposio. Il nome ci dice che c’è un banchetto greco in un contesto romano.
Dal verso 5 al verso 8 c’è un rimando al testo di Alceo: il merum= vino, con un’aggiunta della denominazione geografia Sabina (vino poco pregiato).
Contrapposizione caldo (ambiente interno) e freddo (esterno). Dal verso 9 al 12 orazio invita l’interlocutore a non preoccuparsi del futuro, ma curarsi solo del presente, poiché l’uomo ha limiti ristretti e quindi non deve pensare ad altro che a bere e scaldarsi, al resto ci pensano gli dei. Dal verso 13 inizia una digressione sulla limitatezza umana: ora il paesaggio assume una funzione evocativa. (C’è una serie di imperativi rivolti a Talirco e anche ai lettori). Si intravede la concezione edonistica epicurea, ma un po’ volgarizzata. Orazio contrappone il verde Virenti (primavera, giovinezza) al bianco Canitiaes (inverno , vecchiaia, neve). Orazio utilizza exempla che rimandano a scene della vita vissuta (ultima strofa) ed anche termini del linguaggio economico (lucro) che concretizzano l’exemplum.
Carpe Diem pag. 234-235
Metro: sistema asclepiadeo V (Sclepide, poeta lirico arcaico che si dedica a poesia d’amore)
Leuconoe è un nome parlante che significa mente candida, ovvero rimanda a una ragazza giovane, ingenua e pura. Leuconoe rappresenta una ragazza romana che si interroga riguardo al suo futuro presso gli oracoli.
I romani erano piuttosto superstiziosi e si affidavano a oroscopi orientali, soprattutto babilonesi, che avevano fama e valore; Orazio consiglia di non considerare questi oroscopi, giudicandoli illeciti(nefas) e inutili.
Orazio invita ad accetare quello che quello che viene sia che il tempo rimasto da vivere sia lungo sia che sia breve. L’ambientazione invernale rimanda alla vecchiaia.
L’espressione “spatio brevi” può avere due interpretazioni: può essere inteso come “in breve tempo” (fai in fretta a lasciar perdere le tue speranze!) oppure come “poiché il tempo è breve (abl.ass. con valore causale).
Il termine “resecare” indica un taglio netto un immagine concerta; la speranza va troncata subito come se fosse un ramo da troncare.
Anche in quest’ode si fa riferimento all’ambiente simposiale: il vino aiuta a dimenticare la brevità della vita, non più solo a scaldare (v. Taliarco).
Per l’espressione carpe diem consultare ultima nota del libro pag. 235
A Cloe, la cerbiatta pag. 238
Metro: sistema asclepiadeo III
Cloe: nome parlante che significa “verde” che rimanda alla giovinezza; infatti Cloe è una ragazza giovane, inesperta, bella, con un atteggiamento simile a quello di una cerbiatta impaurita.
Elementi coloristici della strofa: verde, primavera, lucertola che richiamano la stessa Cloe.
Figure di suono: tremolio delle ginocchia e del cuore, fruscio delle foglie.
Siamo calati in un paesaggio primaverile, non più invernale, il cerbiatto è “nuovo” come la primavera.
Il poeta cita due animali esotici, leone e tigre, tipici della poesia ellenistica. I romani vedevano questi animali durante i giochi nell’arena, viene meno l’idea del luogo esotico, si parla di una realtà concreta agli occhi dei romani.
Il poeta non sta chiedendo in sposa la fanciulla, infatti Cloe è una delle tante donne a cui Orazio si riferisce nelle sue odi.
A Postumo (pag. 241-243)
Metro: strofa alcaica
Postumo è un uomo di identità ignota. Questo nome veniva dato ai figli nati dopo la morte del padre. Inoltre l’etimologia della parola POST(umo) fa pensare che sia un nome parlante che rimandi al tema oraziano del ‘non pensare al dopo!’
L’amarezza del passo è data fin dall’apertura con i termini ‘fugaces’ e ‘labuntur’. Le rughe, la vecchiaia ed infine la morte costituiscono un climax ascendente. I due dativi “senectae” e “morti” sono entrambi accompagnati da 2 aggettivi che iniziano per “in”: si crea così un ritmo che si ripete.
Non c’è rispetto per gli dei che tenga: nessuna religiosità vale a fermare il corso del tempo!
L’espressione al verso 10 “noi che ci nutriamo del dono della terra” indica “noi mortali”; si ritrova una simile espressione in Omero; egli chiamava i mortali “ gli uomini che mangiano pane”.
Nella seconda e terza strofa del componimento il periodare è più lungo e complesso così come la sintassi.
Il riferimento al mondo divino sottoterra contribuisce poi a dare un tono triste all’ode così come i cipressi “sgraditi” ovvero quegli alberi piantati in prossimità delle tombe, di per sé tristi e scuri.
Orazio spiega che è inutile stare attenti ai diversi pericoli che possiamo incontrare nella vita, il Fato è sempre inevitabile!
Orazio vuole mostrare la propria cultura ed inserisce continui riferimenti al mito greco (vedi note libro). Inoltre non omette mai i riferimenti al mondo Romano, come il vento Austro ed il vino Cecubo (vino campano molto pregiato e protetto poiché sorseggiato solo nelle occasioni importanti).
Il vino assume una funzione diversa rispetto agli altri componimenti: deve essere bevuto subito, prima che venga sprecato, bevuto in scioltezza e versato sul pavimento dai posteri! Si ha quindi una ripresa del Carpe diem ( E’ inutile che conservi i tuoi beni! Non perdere tempo, godi delle cose belle e buone che possiedi!Non pensare al dopo!)
Alla fonte Bandusia (pag 246-247)
Metro: sistema asclepiadeo III
Bandusia è il nome di una Ninfa a cui è dedicata la fonte che secondo alcuni si trovava vicino a Venosa; per altri essa si trovava nella Sabina e precisamente all’interno del podere regalato ad Orazio dall’amico Mecenate. In ogni caso era una fonte cara al poeta.
La fonte è “degna di un vino dolce non senza fiori” ovvero degna di essere celebrata e onorata con libagioni durante le Fontinalia, feste annuali romane proprio in onore di fonti e sorgenti.
Nella vita del capretto ci potranno essere sia l’amore che i combattimenti, o anche i combattimenti per amore (destino teorico); purtroppo però il piccolo animale non farà in tempo a realizzare ciò che dalla vita si aspetta: verrà infatti sacrificato presto, prima del tempo.
La fonte Bandusia è elogiata dal poeta poiché non intaccata dalla calura estiva e non prosciugata; offre abbeveramento agli animali che passano vicino.
L’Ode è dedicata ad una sorgente, ovvero ad un oggetto: questo fatto evoca un’analogia con la poesia alessandrina; era tipico infatti dei poeti alessandrini dedicare i componimenti agli oggetti che erano stati donati così da elogiare il donatore (motivo encomiastico). Nel caso di Orazio non siamo sicuri che la sorgente fosse stata un “oggetto donato”; se così fosse stata però essa si trovava all’interno del podere donato da Mecenate e l’Ode potrebbe essere un elogio a questo.
La descrizione del paesaggio è anch’essa di stile ellenistico: non è evocativa, descrive il paesaggio in se’, non si vuole aggiungere e dire altro. Forse l’ispiratore di Orazio è Teocrito (anche Virgilio gli si era ispirato per la descrizione di paesaggi); in ogni caso l’Ode potrebbe essere ambientata ovunque, la fonte può essere in qualsiasi posto, questo non è specificato.
La parte finale del componimento esprime uno dei principali “motivi orazioni”: la funzione eternatrice della poesia. La poesia infatti rende il soggetto poetico eterno, quando un grande poeta lo elogia. (Forse il termine “loquaces” al penultimo verso , rimanda al canto del poeta).
Orgoglio di poeta (pag. 248-249)
Metro: sistema asclepiadeo I
Questo componimento è il carmen conclusivo che chiude i primi tre libri delle Odi ed ha carattere riassuntivo. Infatti esprime le considerazioni che valgono per l’intera opera. Il “monumentum” citato da Orazio è infatti l’opera stessa. La parola deriva dal verbo “maneo” ovvero “ammonire”: l’opera infatti non sarà unicamente un ricordo ma servirà anche come “monito” ai lettori. Questo “monumento” sembra più forte e duraturo del bronzo col quale erano costruite le statue, ed anche delle piramidi le quali servivano non solo a ricordare i faraoni ma anche ad ammonire gli egiziani.
“Libitina” è un modo latino ricercato per indicare la morte. Era infatti il nome di una divinità degli inferi identificabile con la dea greca Proserpina.
Il ricordo del poeta non morirà grazie alla sua opera. Se leggiamo il componimento in chiave epicurea Orazio morirà sia in anima che in corpo ma il suo spirito rimarrà insidiato nella sua poesia.
Il ricordo del poeta rimarrà per sempre: per esprimere l’eternità del ricordo Orazio inserisce l’esempio della vestale e del pontefice che risalgono il Campidoglio durante una cerimonia; questo è un fatto che si ripeterà per sempre.
L’”ego” che Orazio inserisce al verso sette ha valore enfatico. Esso afferma l’io che sopravviverà e addirittura crescerà nel tempo: l’opera di Orazio sarà eterna ed attuale sempre agli occhi dei lettori. Orazio è esplicito nel lodarsi ma non è il primo (anche Catullo lo faceva).
Il poeta, nato in posti marginali e lontani dalla cultura, è diventato famoso e deve la sua fama all’aver saputo adattare ai metri italici la poesia eolica (è il primo autore della storia che ammette ciò). Il riferimento ad Alceo è quindi esplicito. Ciò che ha dato fama ad Orazio è l’essersi rifatto ai modelli greci nei contenuti (attualità, vino, dimensione evocativa del paesaggio, comunicazione di qualcosa ai lettori ed ascoltatori).
Per questo Orazio è chiamato anche poeta “vate”, anche ridendo riesce a dare degli insegnamenti.
Il verbo “dicar”, “sarò detto”al verso 10, tradotto letteralmente e non come “Si dirà che io..” rafforza ed evidenzia di più il concetto di “io”.
La Musa Melpomene sembra l’ispiratrice del poeta. In realtà Orazio non è convinto di questo ma per tradizione introduce la figura della Musa e la invita a dargli un segno tangibile del suo valore poetico: la corona d’alloro.
Melpomene era la Musa della tragedia e della poesia solenne: la poesia di Orazio pur non essendo tragica è comunque di alto livello: per questo Orazio cita il nome di questa particolare Musa.
“Siamo polvere e ombra” pag.252
Metro: sistema archilocheo II
Si tratta di un componimento tratto dal libro numero 4 dei carmina. In questo libro dei carmina, solitamente si trovano in prevalenza temi di carattere civile e politico, questo componimento però si discosta da quelli contenuti in questo libro, infatti si ricollega alle tematiche care ad orazio.
C’è un’attenzione particolare all’alternarsi delle stagioni descritto attraverso elementi reali sia attraverso il mito. Il ciclo delle stagioni corrisponde al passare veloce del tempo; la vita scorre veloce ed quindi è inutile crearsi speranze immortali.
Nell’espressione “pulvis et umbra sumus” viene utilizzato il verbo al presente per indicare un stato destinato a durare nel tempo (cfr.omero-catullo).
I versi 17-18 possono essere ricollegati a postumo (vedi termine “crastina”).
Al verso 23 compare il nome di torquato, al contrario degli altri componimenti letti, questo nome si riferisce a una persona reale, probabilmente un personaggio che apparteneva a una delle gens più importanti di roma.
Compare l’accenno ad una tragedia di Euripide (Ippolito) ai versi finali della poesia, questo è ancora un exempla utilizzato da Orazio per spiegare che dalla morte non si può fuggire.
Nel componimento compaiono tre temi: cogliere la vita-descrizione a carattere mitologico-descrizione del paesaggio (nessun tema/aspetto prevale sull’altro, sono alla pari).
La nave dello stato pag.256
Orazio si rifà alla metafora usata nel mondo greco (vedi Alceo) per cui lo stato viene paragonato alla nave.
Il poeta si rivolge direttamente alla nave, che è già reduce da una navigazione, consigliandole di rimanere in porto perché ha già subito gravi danni durante la prima navigazione; una seconda navigazione potrebbe essere, anzi sarà, molto rischiosa.
Il poeta dà un’accurata descrizione della nave e dei danni da “lei” subiti durante la prima navigazione-
Nell’ultima strofa non descrive più la nave, ma si rivolge direttamente allo stato(si intuisce il chiaro riferimento allegorico); infatti il poeta ha vissuto in prima persona la vita politica (che in passato era fonte di ansia e preoccupazione: “tu che mi fosti un giorno ansioso tedio”) ed ora tutto ciò è fonte di nostalgia.
Confronto con il componimento di Alceo (vedi pag.257):
Analogie/affinità: entrambi descrivono una nave in cattive condizioni, una nave malmessa. C’è un chiaro coinvolgimento da parte dell’Io(ma con delle differenze!)
Differenze: Alceo si trova sulla nave durante la tempesta, mentre Orazio è al porto e osserva la nave attraccata. Un’altra differenza è il diverso coinvolgimento dell’io, per Orazio è qualcosa di passato (ora c’è un maggior distacco, o perché è vecchio o perché in questo momento lo stato si trova in un buon momento), per Alceo c’è maggiore coinvolgimento. Altra differenza è il riferimento allegorico (nave-stato) che in Orazio è esplicito (vedi ultimi 4 versi) mentre in Alceo non c’è.
L’esultanza per la morte di Cleopatra pag.258
Metro: strofe alcaica
In questo componimento Orazio fa propri i motivi della propaganda Augustea.
Si sta celebrando la fine della guerra (“bibendum” = bisogna bere; idea della necessità). Nei primi versi c’è un chiaro riferimento ad Alceo (pag.262), ma Orazio è più moderato.
L’espressione “libero piede” (verso1) può voler dire due cose: non c’è pericolo di diventare schiavi o danza sfrenata.
Viene descritta una scena di sacrifici agli dei, celebrazione per la fine della guerra (Salii, antico collegio sacerdotale dedito al dio Marte = Guerra).
“Atto nefando” (verso5), atto non lecito dal punto di vista religioso. Cecubo vino molto pregiato.
Al verso 6 inizia a parlare di Cleopatra che viene descritta come folle di ebbrezza per il potere raggiunto circondata da corteo di Eunuchi, descritti come turbi. A Cleopatra viene riferito “impotens” che ha valore rafforzativo, indica che è molto capace, pronta a tutto. La descrizione della regina continua, ella è ubriaca, dementis, in preda alla follia, al vino ed infine viene descritta come un fatale mostro (= voluto dal desstino o che porta morte).
Propaganda augustea: la battaglia di Azio è stata una vittoria su Cleopatra (barbara folle, ubriaca ecc…) e non su Antonio (sarebbe apparsa come guerra civile).Qui la vittoria appare come quella conseguita su un nemico barbaro, si è sconfitto un regno orientale che voleva dominare Roma.
Ma dal verso 21 Orazio inizia una diversa descrizione della regina, è quasi ammirato. Descrive le doti che avvicinano Cleopatra al coraggio di un uomo. Ella, infatti, non si comporta come un donna avrebbe fatto nella sua stessa situazione, ma fa una scelta da uomo, si toglie la vita, piuttosto di accettare di essere portata a Roma come schiava. Si comporta come una donna del suo rango (viene descritta come “fortis”, lei è forte, non ha paura).
Immagine concreta della reggia abbattuta (verso 26) che indica che il potere di Cleopatra è stato abbattuto.
Importanti le ultime 2 quartine perché mostrano l’atteggiamento di Cleopatra che assume caratteristiche tipicamente maschili.
TEMI E STILE: (pag.188)
Orazio stesso nell’ ”Ars poetica” parla dello stile che il poeta deve adottare. Secondo lui il poeta deve possedere due qualità fondamentali, l’ars (conoscenze tecniche e linguistiche) e l’ingenium (dote naturale- l’ingenio). Attraverso queste 2 qualità si riesce a comporre un opera armonica, ottenuta attraverso un processo di purificazione dagli eccessi e di chiarificazione dell’espressione (Labor Limae).
I caratteri tipici dello stile oraziano sono quindi la limpidezza delle immagini e la chiarezza dell’ espressione (simplicitas). Vi è poi una cura particolare per la costruzione sintattica (callida iunctura). Nei carmina oraziani notiamo inoltre un utilizzo indiscriminato di vari metri lirici tradizionali (es. Alceo).
I temi dei Carmina letti sono la poesia, come strumento per sopravvivere alla morte (exegi monumentom aere perennius) e il ruolo del poeta, cioè di comunicare un messaggio. Una posizione importante occupano l’ amore, inteso come forza passionale, la brevità della vita e lo scorrere inesorabile del tempo (carpe diem); la ricerca del piacere poi è legata a tematiche quali il simposio, la fuga dall’ ansia e l’opposizione tra la giovinezza spensierata e la triste vecchiaia, paragonate al ciclo delle stagioni.

sabato 19 novembre 2011

MEDEA, EURIPIDE (GRECO)

Dialogo tra Creonte e Medea, pag 60, vv. 271 e seguenti.

Il dialogo che segue è una sorta di captatio benevolentiae che Medea rivolge a Creonte. La donna supplica il re di Corinto di non allontanarla da questa terra, ma Creonte è irremovibile: teme infatti una probabile vendetta di Medea che avrebbe colpito lui e la sua famiglia. E’ importante a questo punto (vv. 295-305) la riflessione sulla sapienza. L’ aggettivo sapiente assume qui una connotazione negativa; già nei versi precedenti Creonte aveva definito Medea “sapiente ed esperta di molti male” dando una sfumatura negativa alla sapienza di Medea, una sapienza in grado di danneggiare il prossimo.

Qui è Medea a riflettere sulla sapienza: essa porta secondo lei a due conseguenze negative, la fama di indolenza e l’ostilità di chi ritiene di essere più sapiente di noi. Lo stesso ruolo di sapiente è molto difficile da gestire: se ci si trova di fronte a un pubblico ignorante e si tenta di istruirlo “con nuove conoscenze” ( che potrebbero essere o la sofistica, ripresa dallo stesso Epicuro, o le arti oscure conosciute da Medea), il rischio è quello di apparire inutili e non saggi; se invece ci si trova di fronte a un pubblico di dotti, il rischio è quello di risultare importuni, fastidiosi di fronte a costoro. La stessa protagonista dice di condividere questa sorte: il suo bagaglio culturale differente da quello greco fa di lei una sapiente invisa e malvista dai concittadini.

Dopo un serrato botta e risposta tra i due personaggi, fatto di suppliche da parte di Medea e di risposte concise e frettolose da parte di Creonte, si arriva ad un compromesso: alla donna viene concesso di restare a Corinto un altro giorno, per poter meglio ragionare su dove dirigersi. Anche se la situazione sembra essere svantaggiosa per Medea, è lei stessa a svelare al coro che le cose non sono come sembrano: in questa giornata concessale potrà punire i responsabili del suo dolore, ovvero Giasone, Glauce e Creonte. La sua precedente arrendevolezza non era dunque sincera, ma finalizzata alla sua vendetta.

CREONTE: Dico che tu, Medea, con lo sguardo arcigno e irata contro il marito,

vada fuori da questa terra, esule,

con i due figli con te,

e senza esitare; poiché io sono arbitro di questa

decisione, e non ritornerò a casa

prima di averti espulsa dai confini di questa terra.

MEDEA: Ahimè: io misera sono completamente rovinata.

Gli oppositori allentano tutte le vele

e non c’è una facile via d’uscita dalla sciagura.

Anche se soffro ti farò tuttavia una richiesta:

perché mi cacci da questa terra, oh Creonte?

C: Temo che tu- non bisogna mascherare le parole-

Possa fare a mia figlia un qualche male irrimediabile.

Convergono molte ragioni su questo timore:

sei per natura sapiente ed esperta di molti mali,

soffri, privata dell’unione con il tuo uomo.

Sento dire- come mi riferiscono- che minacci

Di fare qualcosa alla sposa, a chi la concede

e a chi la prende. Allora mi difenderò prima di subire questo.

Per me è preferibile esserti odioso adesso, oh donna,

che lasciarmi intenerire e piangere poi amaramente.

M: Ahimè! Non ora per la prima volta, ma spesso, Creonte,

la mia reputazione mmi ha danneggiata e mi ha causato grosse sciagure.

E’ necessario che un uomo assennato non faccia istruire

I figli troppo sapienti:

oltre alla fama di indolenza che hanno,

si guadagnano la malevola invidia da parte dei concittadini.

Infatti portando agli schiocchi nuove conoscenze sembrerà

Che tu sia per natura inutile e non sapiente;

mentre a tua volta, essendo tu ritenuto superiore a coloro che credono di sapere

qualcosa di complesso, apparirai in città importuno.

Io stessa condivido questo destino.

Infatti, essendo sapiente, sono malvista

Da alcuni, per altri ostile; però non sono TROPPO sapiente.

Tu mi temi: temi di subire qualcosa di cattivo ;

non sono in condizione tale da fare del male

ai tiranni –Creonte non tremare di fronte a me.

Mi hai forse fatto qualcosa di male? Hai dato tua figlia

A colui a cui il cuore ti spingeva, ma odio mio marito;

lo so, hai agito come una persona saggia.

Ora non invidio il fatto che a te le cose vadano bene:

celebrate il matrimonio, siate felici, concedetemi di abitare

in questa terra. E infatti starò zitta

pur avendo subito ingiustizia, essendo vinta dai più forti.

C: Dici cose gradevoli da sentire, ma temo che

Nell’animo tu progetti un qualche male,

mi fido di te tanto meno di prima;

infatti una donna irascibile, allo stesso modo di un uomo,

è più facile da controllare di un sapiente silenzioso.

Ma vattene via al più presto, non parlare oltre;

poiché questa decisione è fissata, non hai modo di rimanere tra noi, essendomi nemica.

M: No, per le ginocchia e per la fanciulla dalle nuove nozze !

C: Sprechi parole, infatti non potresti mai persuadermi.

M: Allora mi allontanerai e non rispetterai le suppliche.

C: Non ti amo infatti più della mia casa.

M: Oh patria, che forte ricordo ho ora di te!

C: A parte i figli, è la cosa a me più cara.

M: Ahimè, che grande male sono gli affetti per i mortali!

C: Quando, credo, si affiancano anche le circostanze.

M: Zeus, non ti sfugga colui il quale è responsabile di questi mali!

C: Vai via stolta, liberami da queste sofferenze.

M: Io soffro, e non ho bisogno di altre sofferenze.

C: Sarai portata via velocemente con la forza, per mano delle guardie.

M: Non fare ciò, ma ti supplico Creonte….

C: Mi dai fastidio, donna, come sembra.

M: Andrò in esilio, non ti ho supplicato per ottenere questo.

C: Perché allora ti opponi a forza e non te ne vai da questa terra?

M: Lasciami rimanere questo solo giorno

E terminare la riflessione su dove andrò in esilio ,

e (pensare) ai mezzi per i miei figli, poiché il padre

non pensa a trovare risorse per i figli.

Abbi compassione di loro; anche tu sei padre,

è naturale che tu sia benevolo verso di loro.

Di me non mi preoccupo, se andrò in esilio,

ma piango per loro, colpiti dalla sventura.

C: La mia volontà non è quella di un tiranno,

ma spesso mi sono danneggiato per compassione;

anche ora vedo che sto sbagliando, donna,

tuttavia otterrai ciò: ma ti avverto,

se la luce seguente del dio (=domani)vedrà te

e i tuoi figli dentro i confini di questa terra,

morirai; queste parole sono state dette sinceramente.

Ora, se devi restare, resta per un solo giorno;

infatti non farai una delle cose terribili di cui ho paura.

CORO: Povera te, infelice per i tuoi dolori!

Dove mai andrai? Verso quale ospitalità,

o casa o terra salvezza dai mali?

Medea, il dio ti ha mandata verso

Una tempesta di mali senza fine.

M: La situazione è negativa sotto ogni aspetto: chi dirà il contrario?

Ma le cose non stanno così, non crediate.

Ci sono ancora delle sfide per i novelli sposi

E (ci sono ancora) non piccole sofferenze per i genitori.

Vi sembra infatti che io abbia lusingato costui

Se non per ottenere qualcosa o per tramare?