sabato 31 marzo 2012

LETTERATURA CRISTIANA E GIROLAMO (LATINO)

LETTERATURA CRISTIANA

Il cristianesimo si presenta come uno dei tanti culti orientali che entrano a far parte del mondo romano di questa età ma con delle sue peculiarità. Si rivolge innanzi tutto a quei componenti della società esclusi dalla religione ufficiale, ovvero le fasce più basse della popolazione che trovano nel cristianesimo una loro affermazione, si sentono parte di qualcosa. Inoltre questo culto dà risposte a esigenze quali un rapporto più diretto con la divinità e una valorizzazione delle classi più umili. Tra i cristiani si viene a creare una rete di contatti che va al di là della religione; si crea una società parallela a quella già esistente fondata sull’aiuto reciproco. Fu proprio questo motivo che le autorità iniziarono a guardare di cattivo occhio i cristiani. A ciò si aggiunse il fatto che i cristiani rifiutavano l’ossequia all’imperatore, ciò veniva visto come un rifiuto dell’autorità costituita e sentito come un tentativo di avversione all’ordine stabilito. Inizialmente il cristianesimo era costituito dalle classi più basse della società, le quali erano pressoché analfabete e quindi non disponevano di una letteratura o di testi scritti per tramandare i testi sacri. Man mano però il numero dei cristiani aumentò e con esso si ampliò anche il livello culturale dei cristiani, prendevano parte a questo culto anche classi più alte e moralmente preparate. Di conseguenza ci fu un esigenza di divulgare i fondamenti della nuova religione attraverso tesi nei quali erano racchiusi i temi principi della religione cristiana. I testi furono scritti con un’adesione pressoché totale allo stile degli autori pagani, infatti i testi avevano un stile molto vicino a quello ciceroniano. Fu proprio quest’età in cui autori cristiani iniziarono a leggere autori pagani come Virgilio o Seneca, alcune affermazioni di quest’ultimo furono lette in chiave cristiana. Si venne a creare una corrispondenza apocrifa tra San Paolo e Seneca proprio per fare vedere come ci fossero reali contatti tra i due mondi. I cristiani cercarono di ricavare dai pagani tutto ciò che poteva essere riutilizzato in chiave cristiana. Tutto ciò fu opera dei Padri della Chiesa che diedero i primi fondamenti culturali e ideologici della Chiesa. Inoltre furono presenti anche gli Apologeti che scrissero apologie, discorsi di difesa a favore del cristianesimo contro il paganesimo.

GIROLAMO

Visse tra il IV e il V secolo, nacque nella parte orientale dell’impero. A Girolamo si attribuisce la vita di Lucrezio e la sua morte a causa di un filtro d’amore, questo perché Girolamo in quanto cristiano condanna la visione che ha Lucrezio dell’amore. Girolamo si sposta a Roma, ma compie varie peregrinazioni che lo portano a contatto con i vari aspetti della religione cristiana (come l’ascetismo) ed fu proprio durante questi suoi spostamenti che si dedicò all’insegnamento e attraverso la religione cristiana fece molti proseliti. Girolamo trasmette un insegnamento molto controverso, infatti egli era molto vicino alle pratiche ascetiche ma la sua componente di divulgazione lo mise in contatto con molte persone tra cui molte donne. Egli nutrì un forte amore per le lettere latine ma anche per la purezza del cristianesimo e della sua parola. Girolamo è quindi significativo per quanto riguarda il passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Egli tradusse anche la Bibbia (Vulgata) compiendo un vero e proprio lavoro da filologo, mise insieme le diverse versioni esistenti con l’intento di trovare un’unica versione autentica. Girolamo fu autore anche di un corpo di epistole con destinatari e contenuti vari che spaziavano dai dottrinali alla satira (con alle volte veri e propri insulti rivolti ai suoi oppositori) fino a epistole di carattere letterario.

· “CICERONIANUM EST NON CHRISTIANUM” pag 654

Racconta a una sua discepola un sogno da lui fatto in cui veniva rimproverato di essere un seguace di Cicerone e non di Cristo. Egli non adotta uno stile classico poiché sono già presenti nella lingua scritta pratiche tipiche dell’uso parlato che poi confluiranno nell’italiano come la dichiarativa introdotta da quod (vedo che...).

· TRADURRE LE SACRE SCRITTURE pag 658

giovedì 29 marzo 2012

LATINO- TARDO IMPERO, APULEIO, STORIOGRAFIA DEL II SECOLO

IL TARDO IMPERO

L’età del tardo impero fu un’età felice; gli imperatori furono Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio (fine II sec.). Essi furono elettivi; non presero quindi il potere per dinastia ma attraverso le elezioni. Fu un ampio periodo di pace e sviluppo interno; molte furono le innovazioni nell’attività agricola. Inoltre venne dato un forte impulso alla cultura: si formò un ceto di funzionari imperiali per poter controllare il sempre più ampio e difficile dominio di Roma (erano infatti molte le pressioni barbariche soprattutto a Nordest dell’impero). La scuola pubblica nacque con l’intento di formare quindi la classe dirigente ed ebbe l’importante funzione di conservare e trasmettere la cultura del passato. Vennero fatte numerose sintesi di opere passate per esempio l’”Ab Urbe condita” di Livio che era un volume in origine troppo grande. Di questa sintesi e di quella dell’opera di Svetonio se ne occupo Eutropio: le due sintesi abbracciavano infine tutta la storia di Roma nella sua completezza. Eutropio ha uno stile elementare, piano e lineare, racconta i fatti in ordine cronologico. Queste trascrizioni sintetiche diedero notevole fama ai loro autori ma furono la causa della perdita di buona parte dell’opera di Livio, poiché ne circolava solo il riassunto. Anche l’opera di Virgilio venne sintetizzata ed arricchita dai commenti ai testi che la rendevano agevole come libro di testo scolastico. La cultura di base negli autori era presente ma non era molto elevata a livello creativo, l’unico autore originale di questo periodo fu Apuleio. In questo periodo di sviluppò inoltre la seconda sofistica, un nuovo movimento filosofico letterario. Né facevano parte gli uomini con una cultura enciclopedica che si spostavano nei vari territori dell’impero per tenere conferenze e lezioni, trattando argomenti diversi secondo autori diversi: si parlava di tematiche filosofiche precedenti oppure dei valori del passato oppure di temi insignificanti che consentivano però ai sofisti di esprimere e mostrare le loro abilità letterarie (un esempio ne è “L’elogio del dentifricio”.

APULEIO

Egli visse dal 125 al 170-177 d.C.. Era algerino ed appartenente ad una famiglia ricca di ceto elevato. Ebbe una formazione giuridica che completò con gli studi filosofici. Andò ad Atene e a Roma per esercitare gli studi e partecipare a conferenze. A tripoli conobbe una ricca vedova che gli diede una buona sicurezza economica; i parenti di questa l’avevano accusato di averla sedotta con la magia ma egli si difese con una vera e propria apologia. Ci troviamo in un periodo strano: la religione ufficiale è ancora il paganesimo ma esso risente degli influssi delle religioni orientali e del cristianesimo; si va infatti alla ricerca di un rapporto personale con la divinità facendo commistione di superstizioni, magia e religione tradizionale o straniera. In quest’epoca si faceva riferimento a diverse forme di spiritualità e così anche la cultura di Apuleio prendeva spunto da molti influssi diversi (classici, algerini ecc..). L’opera che scrisse è “Metamorfosi” o “Asino d’oro”; la storia parla di un uomo trasformato in asino e del suo ritorno alla forma originaria umana. C’è una questione aperta a proposito dell’opera: secondo alcuni la fonte del libro è l’opera di un certo Lucio di Patre, un greco di cui però non abbiamo alcuna testimonianza, la sua opera è andata persa ma sembra che Luciano, autore greco del II sec. d.C., l’abbia citata nella riscrittura di un romanzo con il titolo “Asino” o “Lucio”. Sia Luciano che Lucio scrivono però opere popolari, ricche di vicende strabilianti e licenziose, con lo scopo di divertire i lettori. L’opera di Apuleio, al contrario è molto più complessa, anche se prende spunto dalle precedenti soprattutto per quanto riguarda gli aspetti erotici iniziali; nel corso del racconto però, cambierà totalmente registro (cerca all’inizio di illudere il lettore che sia un romanzo popolare, ma in realtà non lo è).

PROEMIO (pag. 503)

Apuleio è un magrebino formato alla cultura greca (nel nord africa si era diffusa la cultura ellenistica) e imparò il latino a Roma. Gli argomenti erano spesso a carattere licenzioso, ripresi dalla Fabula Milesia, e si cercava un rapporto diretto con il lettore. Apuleio dichiara che la fonte del racconto è greca e lo scopo sarà il divertire. Il tema conduttore dell’opera è quello della “curiositas”: il protagonista è trasformato in asino perché aveva partecipato con curiosità ad un rituale, in occasione del quale si sarebbe trasformato in uccello. Mosso dalla curiosità partecipa al rito magico ma la serva, aiutante della maga, sbaglia la pozione per Lucio che si trasforma in asino. La causa della metamorfosi è l’eccessiva curiosità di scoprire questi culti magici e solo le successive peripezie narrate lo riporteranno alla sua condizione originaria. Infine, solo mangiando le rose sacre a Iside egli potrà riacquistare le sue originarie sembianze umane. Il protagonista nel corso della storia va quindi alla ricerca della salvezza. Iside è simbolo di una religione positiva e il messaggio che l’autore vuole passare è questo: è giusto essere curiosi ma solo verso quello permette una vera prospettiva per il futuro; infatti Lucio piano piano va alla ricerca di ciò. Il brano va quindi letto in chiave realistica ma anche in chiave allegorica (elemento che manca nel racconto di Luciano). Le vicende, così come lo stile sono fantasmagorici e originali (ricordano quelli di Petronio) Il linguaggio è vario: sia dialogato che aulico. Si tende poi ad avvicinare Apuleio più a Petronio che a Luciano (da quest’ultimo infatti riprende solo il tema edonistico).

LA TRAMA (pag. 507)

LUCIO TRASFORMATO IN ASINO (pag. 511) + PALESTRA SBAGLIA UNGUENTO- Luciano

AMORE E PSICHE: LA RIVELAZIONE NOTTURNA (pag. 514)

AMORE E PSICHE: LA FUGA D’AMORE (pag. 521)

Ma Psiche, afferrata subito con entrambe le mani la gamba destra di lui che si stava alzando in volo, misera appendice del suo volo verso l’alto e ultima inseguitrice del pendente corteo attraverso le distese di nuvole, infine cade stanca a terra. Il dio innamorato, non abbandonando lei che giaceva a terra volò sul più vicino cipresso e, dalla sua alta cima le disse, turbato profondamente: “Io certamente, o troppo ingenua Psiche, immemore degli insegnamenti di mia madre Venere, che aveva ordinato che tu fossi unita in matrimonio ignobile incatenata dall’amore di un uomo misero e ultimo, io invece sono venuto a te in volo piuttosto come amante. Ma ho fatto ciò con leggerezza, lo so, ed io, il famosissimo arciere, mi ferii da me con la mia freccia (si è innamorato!!!!!)e ti ho reso mia sposa affinchè evidentemente ti sembrassi una bestia e affinchè tu colpissi con l’arma la mia testa, che porta questi occhi che amano. Io ripetutamente ti esortavo a fare attenzione a queste cose e te lo ribadivo in modo benevolo (le proposizioni finali sono ironiche!). Ma quelle tue egregie consigliere (le sue sorelle!!) pagheranno subito a me la pena per l’insegnamento così pericoloso (consiglio dato a Psiche dalle sorelle ovvero guardare Eros!!!), e invece io punirò te soltanto (questo termine è ironico! La punizione è infatti gravissima sia per lui che per la ragazza!) con la mia fuga”. Ed alla fine del discorso si levò in alto con le ali.

L’ULTIMA PAROLA DI PSICHE (pag. 531)

L’EPIFANIA DELLA DEA ISIDE (pag. 523)

Iside è la fusione di diverse divinità, anche greche ( per esempio la Luna è la manifestazione della dea Artemide) e a seconda dei popoli ha manifestazioni diverse. Ella ha un contatto diretto con l’uomo e per questo è ripresa nel cristianesimo nel culto della Madonna. Vi sono nel brano dei rimandi all’Egitto ed il testo è suddivisibile in due parti: la prima dove è descritta l’epifania cioè l’arrivo della dea, la seconda in cui è riportato il discorso della dea stessa. Alla fine della vicenda si parla di una “nuova curiosità” che farà il bene di Lucio. La sua metamorfosi l’aveva inoltre già subita Osiride (fratello e sposo di Iside). La dea inoltre raccomanda una condotta positiva sulla terra, in vista di una vita nell’aldilà e di una felicità ultraterrena (ripresa poi dal cristianesimo).

LA STORIOGRAFIA NEL II SECOLO

HISTORIA AUGUSTA (pag. 574)

Siamo alla fine del II secolo perché ci da informazioni sulla storia del secolo appena trascorso sotto la dinastia dei Severi. L’opera è la fusione degli scritti di ben sei autori minori diversi. Le interpretazioni sono due: o l’opera è l’insieme dei manufatti di questi sei autori, oppure essa è stata scritta da un solo autore barbaro che voleva nascondere la propria identità dietro ad essi. Il filone dell’opera è sullo stile di Svetonio e, grazie a fonti false, si parla della vita privata degli imperatori. Si dice che l’opera sia infatti composta da pettegolezzi e frottole, opere di fantasia non attendibili. Come lo scritto di Svetonio è suddivisa in rubriche. Le vite degli imperatori sono spezzettate attraverso le rubriche per argomenti e mancano di attendibilità, soffermandosi il racconto su inutili aneddoti. L’intento dell’opera infatti non è quello educativo ma di divertimento per un pubblico di ceto borghese. Lo leggiamo non come opera letteraria ma come opera documentaria per la dinastia dei Severi, essendo l’ultimo esempio di storiografia romana; infatti alla prosa di questo genere subentrerà presto la letteratura cristiana; la poesia romana, al contrario sopravviverà ancora.

ELIOGABALO, IL MOSTRO (pag. 584)

ALESSANDRO SEVERO, L’OPTIMUS PRINCEPS (pag. 587)

venerdì 16 marzo 2012

OSCAR WILDE (INGLESE)


LIFE AND WORKS pag.E110/E111
Oscar Wilde was born in Dublin, Ireland, in 1854. After attending school in Dublin, he went to Oxford. He accepted then the aestheticism and the theory of “Art for Art’s Sake”. Wilde believed that only “Art as the cult of Beauty” could save the soul. He thought that the artist was an alien in the materialistic world, that wrote only for his own pleasure. In 1879 he moved to London where he became famous for his eccentricity and for his dress as a dandy. The dandy was, according to Wilde, an aristocrat whose elegance represented the superiority of his spirit. Life was meant for pleasure, and pleasure was an indulgence in the beautiful (clothes, words or boys); Wilde once said that his life was like a work of art. In 1883 he married an irish woman, Constance Lloyd who bore him two children. He wrote a lot of novels and plays. In 1891 he published “The Picture of Dorian Gray” and four years later, in 1895, he published “The Importance of Being Earnest”. In 1891 he met Lord Alfred Douglas and they fell in love. The boy’s father began a trial and Wilde was convicted of homosexuality and sentenced to two-years of hard labour. He published “The Ballad of Reading Gaol” in 1898 and just two years later, in 1900 he died in Paris.
THE PICTURE OF DORIAN GRAY pag.E112
That novel is set in London in the XIX century. The main character, Dorian Gray, is an handsome young man. A painter, Basil Hallward , paints a portrait of Dorian and the boy whishes to be forever young and handsome. His desire is satisfied and the signs of age, experience, bad actions and vice appear on the portrait. When Basil manages to see the portrait, Dorian kills him, because the painter has seen who he really is. When the young man wants to change his life he decides to stab the horrible being painted. Doing that, Dorian mysteriously kills himself. When the servants enter the room, they see “a splendid portrait of their master as they had last seen him” and, lying on the floor, a withered, wrinkled and loathsome dead man. They recognized Dorian Gray only thanks to the rings he had on his hands.
THE PREFACE pag.E114
That preface is considered the manifesto of aestheticism. It is written as a list, a list of aphorisms. Usually in a preface the author helps the reader in understanding the novel: that does not happen here. We understand that the writer can write what he wants, because “there is not such a thing as a moral or immoral book”. The artist doesn’t want to communicate something: he is above everything and everyone.

L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e celare l'artista è lo scopo dell'arte.
Il critico è colui che può tradurre in una maniera diversa o in un materiale nuovo la percezione delle cose belle. La più alta e la più bassa forma di critica sono tutte e due una maniera di autobiografia.
Coloro che trovano nelle cose belle significati brutti sono corrotti senza essere attraenti. Questo è una colpa.
Quelli che trovano nelle cose belle significati belli sono persone colte. Per essi c'è speranza.
Sono questi gli eletti, per i quali le cose belle significano soltanto bellezza.
Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti bene o scritti male. Nient'altro.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Realismo è la rabbia di Calibano che vede nello specchio il proprio volto.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
La vita morale dell'uomo è per l'artista una parte del soggetto, ma la moralità dell'arte consiste nell'impiego perfetto di un mezzo imperfetto. Nessun artista vuole dimostrare alcunché. Anche le cose vere possono essere dimostrate.
Nessun artista prova simpatie di tipo etico. Una simpatia etica in un artista è un'imperdonabile affettazione stilistica.
Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere tutto.
Pensiero e linguaggio sono per l'artista strumenti dell’arte.
Vizio e virtù sono per l'artista materiali di un'arte. Dal punto di vista della forma il prototipo di tutte le arti è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo è l'arte dell'attore.
Tutta l'arte è insieme superficie e simbolo.
Quelli che penetrano al di sotto della superficie lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Quelli che interpretano il simbolo lo fanno a proprio rischio e pericolo.
E' lo spettatore, non la vita, che l'arte, in realtà, rispecchia.
La divergenza di opinioni a proposito di un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.
Quando i critici sono discordi, l'artista è d'accordo con se stesso.
Un uomo può esser perdonato se fa una cosa utile, a patto che non l'ammiri. L'unica scusa per chi fa una cosa inutile è che egli l'ammiri intensamente.
Tutta l'arte è completamente inutile.

BASIL HALLWARD pag.E115/E116/E117
The characters that appear here are Basil Hallward, the painter, and also Lord Henry Wotton, one of his friends. The studio is described as full of scents. At line 66 “beauty, real beauty, ends where an intellectual expression begins” is linked with the aesthetic theory. In Keats the urn speaks, because the artist himself speaks through the work of art. The artist in Wilde, instead, has not a message, he is not interested in that, he just writes for himself, since he is the centre of everything.

Lo studio era invaso dall’odore sontuoso delle rose e quando la brezza estiva
frusciava tra gli alberi del giardino penetrava dalla porta aperta la forte
fragranza del lillà, o il più delicato profumo delle rose canine in fiore.
Dall’angolo del divano rivestito di bisacce persiane su cui era disteso,
fumando, com’era suo solito, innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton
poteva appena cogliere il luccichio dei fiori dolci e colorati come il miele di
un laburno, i cui rami tremolanti sembravano sopportare appena il fardello
di una bellezza così fiammeggiante; e di tanto in tanto le fantastiche ombre
degli uccelli in volo filtravano tra le lunghe tende di seta tussorina tese
davanti all’enorme finestra, producendo una sorta di momentaneo effetto
giapponese, e facendolo pensare a quei pallidi pittori dai volti di giada di
Tokyo che, per mezzo di un’arte che è necessariamente immobile, cercano
di comunicare il senso della rapidità e del movimento. Il tetro mormorio
delle api che si facevano strada tra l’erba alta non falciata, o si aggiravano
con monotona insistenza intorno ai polverosi stami dorati dell’arruffato
caprifoglio, pareva rendere quella calma immobile più opprimente. Il rombo
sommesso di Londra era come la nota bassa di un organo lontano.
Al centro della stanza, fissato in verticale a un cavalletto, campeggiava il
ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria bellezza, e di
fronte, un poco più in là, sedeva l’artista stesso, Basil Hallward, la cui
improvvisa scomparsa alcuni anni fa aveva eccitato tanto, all’epoca, l’opinione
pubblica e dato adito a molte strane congetture.
Mentre il pittore contemplava la forma graziosa e attraente che aveva così
abilmente rispecchiato nella sua arte, un sorriso di piacere passò sul suo
viso e sembrò quasi indugiarvi. Ma improvvisamente si alzò e, chiudendo
gli occhi, mise le dita sulle palpebre, come a cercare di imprigionare nella
sua mente qualche strano sogno dal quale temeva di svegliarsi.
«È il tuo miglior lavoro, Basil, la cosa migliore che tu abbia mai fatto» disse
Lord Henry languidamente. «Il prossimo anno la devi mandare senz’altro
alla Grosvenor. L’Academy è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta
che sono andato lì, o c’era tanta di quella gente che non riuscivo a vedere i
quadri, il che è terribile, o tanti di quei quadri che non riuscivo a vedere la
gente, il che è peggio. La Grosvenor è davvero l’unico posto.»
«Penso che non la manderò in nessun posto» rispose, gettando indietro il
capo in quel modo bizzarro che a Oxford gli procurava sempre le prese in
giro dei suoi compagni. «No, non la manderò in nessun posto.»
Lord Henry alzò le sopracciglia e lo guardò con stupore attraverso i sottili
anelli bluastri di fumo che si arricciavano in fantasiose volute dalla sua
sigaretta fortemente oppiata. «In nessuno posto? Mio caro, perché? Hai
una ragione? Che strani tipi siete voi pittori! Fate di tutto per avere un
nome. Appena lo avete, sembra che vogliate buttarlo via. È stupido da
parte vostra, perché c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sè. Un ritratto come questo ti
innalzerebbe al di sopra di tutti i giovani d’Inghilterra, e farebbe morire di
gelosia i vecchi, se i vecchi sono ancora capaci di qualche emozione.»
«So che riderai di me» replicò, «ma non posso proprio esporlo. Ci ho messo
troppo di me dentro.»
Lord Henry si stirò sul divano e rise.
«Sì, sapevo che avresti riso; eppure è vero.»
«Troppo di te! Parola mia, Basil, non sapevo tu fossi così vanitoso; e
davvero non riesco a scorgere alcuna somiglianza tra te, con la tua faccia
dura e forte e i tuoi capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone,
che pare fatto d’avorio e petali di rosa. Perché, mio caro Basil, lui è un
Narciso, e tu… beh, naturalmente hai un’espressione intellettuale e tutto il
resto. Ma la bellezza, la vera bellezza, finisce là dove inizia un’espressione
intellettuale. L’intelletto è in sé un mezzo di esagerazione, e distrugge
l’armonia di ogni volto. Dal momento in cui ci si siede a pensare, si diventa
tutto naso, o tutta fronte, o qualcosa di orrido. Guarda gli uomini di
successo in qualsiasi professione dotta. Come sono perfettamente odiosi!

DORIAN’S DEATH pag.E120/E121/E122/E123
In the last chapter, when Dorian decides to destroy the picture, he mysteriously kills himself: the portrait becomes beautiful as it was at first and Dorian becomes horrible and loathsome. The picture represents Dorian’s soul, his crimes and his dark side. Something similar happens in the novel “The Strange Case of Dr.Jekill and Mr. Hyde”. There’s here the critic to the idea of respectability: you show something to the world that you are not (respectability is full of hypocrisy).

Era una notte bella, così tiepida che si gettò il soprabito sul braccio e non
si mise neppure la sua sciarpa di seta intorno al collo. Mentre camminava
lentamente verso casa, fumando la sua sigaretta, due giovani in abito da
sera gli passarono vicino. Udì uno di loro che bisbigliava all’altro:«Quello è
Dorian Gray». Ricordò come un tempo si compiacesse che lo additassero,
lo guardassero, o parlassero di lui. Adesso era stanco di sentire il suo
nome. Metà del fascino del piccolo paese dove tante volte era stato negli
ultimi tempi stava nel fatto che nessuno sapeva chi fosse. Aveva spesso
raccontato alla ragazza che aveva fatto innamorare, di essere povero, e lei lo
aveva creduto. Una volta le aveva detto di essere malvagio, e lei ridendo gli
aveva risposto che i malvagi sono sempre molto vecchi e molto brutti. Che
risata aveva! Come il canto di un tordo. E com’era graziosa con i suoi
vestiti di cotone e i suoi grandi cappelli! Non sapeva niente, ma aveva tutto
quello che lui aveva perso.
Quando arrivò a casa, trovò il domestico ancora in piedi che lo aspettava.
Lo mandò a dormire, e si gettò sul sofà della biblioteca, iniziando a
pensare alle cose che Lord Henry gli aveva detto.
Era proprio vero che non si poteva cambiare mai? Provò una nostalgia
disperata per la purezza incontaminata della sua adolescenza – la sua
adolescenza bianca e rosa, come l’aveva definita un giorno Lord Henry.
Sapeva di essersi macchiato, di aver riempito la sua mente di corruzione e
nutrito di orrore la sua fantasia, di essere stato sugli altri un cattivo
ascendente, e di aver provato una gioia terribile nell’esserlo, e sapeva che
di tutte le vite che avevano attraversato la sua, erano state le più belle e le
più promettenti che lui aveva portato al disonore. Ma tutto questo era
irrecuperabile? Non c’era speranza per lui?
Ah! In quale mostruoso momento d’orgoglio e passione aveva pregato che il
ritratto potesse portare il peso dei suoi giorni, e che lui conservasse lo
splendore intatto dell’eterna giovinezza! Tutto il suo fallimento era dovuto a
questo. Sarebbe stato meglio per lui se ogni peccato della sua vita avesse
avuto una pena rapida e sicura. C’era purificazione nella punizione. Non
“perdona i nostri peccati” ma “colpiscici per le nostre iniquità” sarebbe
dovuta essere la preghiera a un Dio quanto mai giusto.
Lo specchio stranamente intagliato che Lord Henry gli aveva regalato, molti
anni addietro, adesso era sul tavolo, e i candidi cupidi gli ridevano intorno
come un tempo. Lo prese, come aveva fatto quella notte d’orrore quando
aveva notato per la prima volta il cambiamento nel ritratto fatale, e con
occhi folli, velati di lacrime, guardò nel sua lucida superficie. Un giorno,
qualcuno che lo aveva amato pazzamente gli aveva scritto una lettera
dissennata che finiva con queste parole da idolatra: «Il mondo è cambiato
perché tu sei fatto di avorio e d’oro. Le curve delle tue labbra riscrivono la
storia». Le frasi gli tornarono in mente e se le ripeté in continuazione.
Allora detestò la sua bellezza e, scagliato lo specchio per terra, lo calpestò
riducendolo in piccole schegge d’argento. Era la sua bellezza che lo aveva
rovinato, la sua bellezza e la giovinezza per la quale aveva pregato. Se non
fosse stato per quelle due cose, la sua vita forse sarebbe stata senza
macchia. La sua bellezza era stata per lui solo una maschera, la sua
giovinezza una beffa. Cos’era la giovinezza nel migliore dei casi? Un’età
verde, acerba, un’età di stati d’animo superficiali e pensieri malsani.
Perché ne aveva indossato la livrea? La giovinezza l’aveva rovinato.
Era meglio non pensare al passato. Nulla poteva modificarlo. Era a se
stesso e al suo futuro che doveva pensare. James Vane se ne stava sepolto
in una tomba senza nome nel cimitero di Selby. Alan Campbell si era
sparato una sera nel suo laboratorio, ma non aveva rivelato il segreto che
era stato costretto a conoscere. L’animazione, per così dire, sulla
scomparsa di Basil Hallward sarebbe passata presto. Stava già calando. In
questo caso era perfettamente al sicuro. Non era tanto la morte di Basil
Hallward a pesare di più sulla sua coscienza. Era la morte vivente della
sua anima che lo turbava. Basil aveva dipinto il ritratto che aveva rovinato
la sua vita. Non glielo poteva perdonare. Era il ritratto ad essere la causa
di tutto. Basil gli aveva detto cose per lui insopportabili, eppure le aveva
tollerate con pazienza. L’assassinio era stato soltanto la follia di un
momento. Riguardo Alan Campbell, il suicidio era stato un atto della sua
volontà. Aveva scelto di commetterlo. Lui non c’entrava nulla.
Una nuova vita! Ecco cosa voleva. Ecco quello che stava attendendo.
Certamente l’aveva già iniziata. In ogni caso, aveva risparmiato una
creatura innocente. Non avrebbe mai più tentato l’innocenza. Sarebbe
stato buono.
Al pensiero di Hetty Merton, cominciò a chiedersi se il ritratto nella stanza
chiusa fosse cambiato. Di sicuro non era ancora così orribile come prima!
Forse, se la sua vita fosse diventata pura, avrebbe potuto cacciare ogni
segno di passioni malvagie dal volto. Forse i segni del male eran già spariti.
Sarebbe andato a vedere.
Prese la lampada dal tavolo e salì furtivamente di sopra. Mentre apriva la
porta, un sorriso di gioia gli attraversò il viso stranamente giovane e
indugiò per un istante sulle labbra. Sì, sarebbe stato buono e quella cosa
orrenda che aveva nascosto non lo avrebbe terrorizzato più. Si sentì come
se si fosse già liberato di quel peso.
Entrò in silenzio, chiudendosi la porta dietro, com’era sua abitudine, e tirò
il drappo purpureo dal ritratto. Cacciò un grido di dolore e
indignazione. Non riusciva a vedere alcun cambiamento, salvo che negli
occhi c’era un’espressione di astuzia e nella bocca la piega ricurva
dell’ipocrita. Quella cosa era ancora rivoltante – più rivoltante, se possibile,
di prima –e la rugiada scarlatta che macchiava la mano sembrava più
brillante e più simile a sangue appena sparso. Allora tremò. Era stata solo
la vanità che gli aveva fatto fare la sua unica buona azione? O il desiderio
di una nuova sensazione, come Lord Henry aveva suggerito, con il suo riso
beffardo? O quell’impulso a recitare una parte che talvolta ci fa fare cose
migliori di quello che siamo? O, forse, tutte queste cose? E perché la
chiazza rossa era più larga di prima? Sembrava si fosse estesa come un
orribile morbo sulle dita rugose. C’era del sangue dipinto sui piedi, come
se fosse gocciolato dalla tela stessa – sangue persino sulla mano che non
aveva stretto il coltello. Confessare? Voleva dire che doveva confessare?
Costituirsi ed essere condannato a morte? Rise. L’idea gli parve mostruosa.
E poi, anche se avesse confessato, chi gli avrebbe creduto? Non c’erano
tracce dell’uomo ucciso da nessuna parte. Tutto quello che gli apparteneva
era stato distrutto. Lui stesso aveva bruciato ciò che era rimasto al piano
di sotto. Tutti avrebbero detto che era assolutamente pazzo. Lo avrebbero
rinchiuso se avesse insistito nella sua storia... Eppure era suo dovere
confessare, sopportare la pubblica vergogna ed espiare pubblicamente.
C’era un Dio che chiedeva agli uomini di ammettere i propri peccati alla
terra come al cielo. Qualunque cosa facesse niente avrebbe potuto
purificarlo finché non avesse ammesso il proprio peccato. Il suo peccato?
Alzò le spalle. La morte di Basil Hallward gli sembrò davvero poca cosa.
Stava pensando a Hetty Merton. Perché era uno specchio ingiusto questo
specchio della sua anima che stava guardando. Vanità? Curiosità?
Ipocrisia? Non c’era stato nient’altro che questo nella sua rinuncia? C’era
stato qualcosa di più. Almeno così credeva. Ma chi poteva dirlo? ... No. Non
c’era stato altro. L’aveva risparmiato per vanità. Aveva portato la
maschera della bontà per ipocrisia. Aveva cercato di negare se stesso per
curiosità. Adesso se ne rendeva conto.
Ma questo delitto – lo avrebbe braccato per tutta la vita? Sarebbe stato
sempre oppresso dal suo passato? Doveva davvero confessare? Mai. Contro
di lui c’era soltanto una parte restante di evidenza. Il quadro stesso -
quella era l’evidenza. L’avrebbe distrutto. Perché l’aveva conservato così a
lungo? Un tempo gli aveva dato piacere contemplarlo mentre mutava e
diventava vecchio. Da molto non aveva più provato un simile piacere. Lo
aveva tenuto sveglio la notte. Quando era stato lontano, era terrorizzato
dalla paura che altri occhi potessero guardarlo. Aveva portato la
malinconia tra le sue passioni. La sua stessa memoria aveva rovinato molti
momenti di gioia. Era stato per lui come la coscienza. Sì, era stato la
coscienza. L’avrebbe distrutto.
Si guardò intorno e vide il coltello che aveva colpito Basil Hallward. Lo
aveva pulito molte volte, finché era scomparsa ogni macchia. Era lucido, e
brillava. Come aveva ucciso il pittore, così avrebbe ucciso l’opera del
pittore e tutto quello che significava. Avrebbe ucciso il passato, e una volta
morto il passato, sarebbe stato libero. Avrebbe ucciso questa mostruosa
anima viva e, senza i suoi atroci avvertimenti, sarebbe stato in pace.
Afferrò il coltello e pugnalò il quadro.
Si udì un urlo e un tonfo. L’urlo era così orribile nella sua angoscia che i
domestici spaventati si svegliarono e uscirono di corsa dalle loro stanze.

Due gentlemen, che stavano passando nella piazza sottostante, si
fermarono e alzarono gli occhi verso la grande casa. Continuarono a
camminare finché non incontrarono un poliziotto e lo condussero indietro.
L’uomo suonò il campanello più volte, ma nessuno rispondeva. Tranne una
luce accesa in una finestra all’ultimo piano, la casa era tutta buia. Dopo
un po’, andò via e rimase in un portico adiacente a guardare.
«Di chi è quella casa, agente?» chiese il più anziano dei due gentlemen.
«Di Mr. Dorian Gray, signore» rispose il poliziotto.
Mentre i due si allontanavano, si guardarono sogghignando. Uno di loro
era lo zio di Sir Henry Ashton.
Dentro, nell’ala di servizio della casa, i domestici semivestiti si parlavano a
bassa voce. La vecchia Mrs. Leaf piangeva e si torceva le mani. Francis era
pallido come un morto.
Dopo circa un quarto d’ora, prese con sé il cocchiere e uno dei valletti e
salì lentamente al piano di sopra. Bussarono, ma non ci fu risposta.
Chiamarono. Tutto era in silenzio. Alla fine, dopo vani tentativi di forzare la
porta, salirono sul tetto e da lì si calarono sul balcone. Le finestre
cedettero facilmente – le serrature erano vecchie.
Quando entrarono, trovarono appeso alla parete uno splendido ritratto del
loro padrone come l’avevan visto l’ultima volta, in tutto lo splendore della
sua squisita giovinezza e bellezza. Per terra sul pavimento giaceva un
uomo morto, in abito da sera, con un coltello conficcato nel cuore. Era
avvizzito, rugoso e con un volto ripugnante. Fu solo dopo aver esaminato
gli anelli che riconobbero chi era.

THE IMPORTANCE OF BEING EARNEST (pg. E124,125,126,127)
This is Wilde’s most famous play. It’s the story of two young men that climb up the social scale trying to get married with rich girls. Ernest Worthing and Algernon Moncrieff have both an alter ego: a sort of  “imaginary friend” that is made up just to be used in particular situations. Ernest’s real name is Jack; he pretends to have a younger brother called Ernest ,that lives in London. Algernon, instead, pretends to have a friend whose name is Bunbury. Jack Worthing wants to propose to Gwendolen Fairfax, a young aristocratic woman. Lady Bracknell, his mother, is a very difficult obstacle to be overcome, because she wants a rich and respectable man for her beloved daughter. At the same time, Algernon falls in love with Cecily Cardew, the heiress of an immense fortune. After a serie of gags, ridiculous situations and misunderstandings, the two men manage to marry their girls, in a happy “aristocratic” ending.
The characters of this play are the typical Victorian snobs. The main theme is marriage, an institution considered important not for a sentimental value but just because it’s a fundamental instrument to climb the social scale. It was generally thought that with marriage you were able to earn some more money and have a respectable life.
Wilde makes fun of the main Victorian values. Everything is a big misunderstanding, that ends happily, instead of tragedies. Even the title is a “play of words”, a pun: “Earnest” is the misspelling of the name of the main character ,and even an adjective that means “sincere, honest, truthful”. An adjective that can’t describe Ernest and Algernon and all the characters Imagination and irony are the fundamental ingredients of this funny play.

MOTHER’S WORRIES (ACT 1)
Jack Worthing is speaking to Lady Bracknell, the terrible mother of his lover, Gwendolen.
She interviews him with personal questions about his habits ,his age his job and his money( the most important characteristic that you must have in this society is richness). Through the absurdity of her words, the reader can understand her hypocrisy, especially when she asks Jack if he has “respectable” relations. He tells her that he’s actually an orphan found in a hand-bag by Thomas Cardew, his “guardian”. He hasn’t got parents or relatives. Though this sad story, she suggests him to “try and acquire some relations as soon as possible”. They’re in the “season”, a period of the year( from the beginning of spring until the end of summer) when rich people, like Lady Bracknell and her family, stay in the country. Every respectable rich man in England has two houses: one in the country, for the “season” and one in the city, in this case, London. They speak about material things such as money and investments. Lady Bracknell is a snob who doesn’t like changes and, like all the aristocratics, hates the middle class(“the purple of commerce”), that got richer working hard.

 Traduzione:
LADY BRACKNELL (matita e notes tra le mani) - Mi sento in dovere di dirle, signor Worthing, che nel mio elenco dei possibili generi, il suo nome non c’è, pur avendo io lo stesso elenco della cara duchessa di Bolton. Poiché infatti noi lavoriamo insieme. Tuttavia, sono ben dispsota a includere anche lei, ove le sue risposte soddisfino le richieste di una madre sinceramente affezionata. Lei fuma?
JACK - Beh, sì, devo ammettere che fumo.
LADY BRACKNELL - Lieta di sentirglielo dire. Un uomo deve sempre avere una qualche occupazione. Ci sono già troppi fannulloni in giro per Londra. Quanti anni ha?
JACK - Ventinove.
LADY BRACKNELL - Un’ottima età per sposarsi. Sono sempre stata dell’opinione che un uomo che intenda sposarsi debba o sapere tutto o non sapere niente. Qual è il suo caso?
JACK (dopo una certa esitazione) - Io non so niente, Lady Bracknell.
LADY BRACKNELL - Sono felice di sentirglielo dire. Sono molto contraria a tutto ciò che può interferire con una naturale ignoranza. L’ignoranza è come un delicato frutto esotico: come lo si tocca, il suo fascino è perduto. Le teorie educative del giorno d’oggi sono fondamentalmente assurde. In Inghilterra, comunque, grazie a Dio, l’educazione non produce il minimo effetto. Non fosse così, ne deriverebbero gravi inconvenienti per le classi superiori, destinati probabilmente a sfociare in atti di violenza in Grosvenor Square. Qual è il suo reddito?
JACK - Tra le sette e le ottomila sterline all’anno.
LADY BRACKNELL (prende un appunto) - Proprietà terriere o titoli azionari?
JACK - Titoli, più che altro.
LADY BRACKNELL - Molto ben fatto. Tanto più che tra gli oneri cui va incontro il proprietario nel corso della sua vita e gli oneri imposti agli eredi dopo la sua morte, la terra non rappresentà più né un utile né un piacere. Dà una certa posizione sociale, ma impedisce di vivere all’altezza. Direi che sulla terra non c’è altro da dire.
JACK - Posseggo una casa di campagna, compresa un po’ di terra, naturalmente: circa mille e cinquecento ettari, credo. Ma non dipendo da questo per il mio reddito effettivo. In realtà, per quel che ne so, gli unici ai quali la mia terra rende qualcosa sono i bracconieri.
LADY BRACKNELL - Una casa di campagna! Quante camere da letto? Beh, questo possiamo chiarirlo in un secondo tempo. Ha una casa anche in città, spero? Una ragazza d’animo così semplice, intatto, come Gwendolen, non può certo essere obbligata a vivere in camapgna.
JACK - Beh, ho una casa in Belgrave Square, affittata però a Lady Bloxham. Naturalmente posso riaverla quando credo, con sei mesi di preavviso.
LADY BRACKNELL - Lady Bloxham? Non la conosco.
JACK - Oh, va molto poco in giro. È una signora alquanto avanti con gli anni.
LADY BRACKNELL - Ah, al giorno d’oggi questo non offre nessuna garanzia di rispettabilità. Che numero di Blegrave Square?
JACK - Centoquarantanove.
LADY BRACKNELL (scuotendo la testa) - Dal lato fuori moda. Volevo ben dire che non ci fosse qualcosa. Comunque, questo lo si può anche cambiare
JACK - Intende dire la moda o l’ubicazione della casa?
LADY BRACKNELL (serissimamente) - Ambedue, direi, se sarà il caso. Quali sono le sue idee in politica?
JACK - Beh, temo proprio di non averne. Sono un reazionario progressista.
LADY BRACKNELL - Oh, sono considerati conservatori. Ne abbiamo spesso a cena. O dopo cena, comunque. E adesso, qualche dettaglio di minor conto. I suoi genitori vivono ancora?
JACK - Lo ho persi tutti e due.
LADY BRACKNELL - Perdere un genitore, signor Worthing, può essere considerata una disgrazia. Perderli tutti e due crea un’impressione di superficialità. Chi era suo padre? Una persona di un certo censo, evidentemente. Faceva parte di quella che i giornali radicali chiamano l’Inghilterra che produce e lavora, o usciva dai ranghi dall’aristocrazia?
JACK - Temo proprio di non poter rispondere. Il fatto è un altro, Lady Bracknell: ho detto di aver perduto tutti e due i genitori, è vero. Ma sarebbe forse più esatto dire che i miei genitori hanno perduto me... Io, in verità, non so chi sono di nascita. Io sono stato... beh, sono stato trovato.
LADY BRACKNELL - Trovato?!
JACK - Sono stato trovato dal defunto signor Thomas Cardew, un vechio gentiluomo d’animo cortese e caritatevole, che mi diede il nome di Worthing, poiché in quel momento si trovava ad avere in tasca un biglietto di prima classe per Worthing. Worthing è una cittadina nle Sussex. Una località balneare.
LADY BRACKNELL -E dove l’ha trovata il caritatevole gentiluomo che aveva in tasca un biglietto di prima classe per questa località balneare?
JACK (con gravità) - In una borsa.
LADY BRACKNELL - In una borsa?
JACK (con grande serietà) - Sì, Lady Bracknell. Mi ha trovato in una borsa; una borsa, piuttosto grande, di cuoio nero, con maniglie... Una comune borsa da viaggio.
LADY BRACKNELL - E in quale luogo esattamente, questo signor James, o Thomas, Cardew, ebbe a imbatersi in questa comune borsa da viaggio?
JACK - Nel deposito bagagli della Stazione Vittoria. Dove gli venne data per errore al posto della sua.
LADY BRACKNELL -Il deposito bagagli della Stazione Vittoria?
JACK - Sì, linea per Brighton.
LADY BRACKNELL - La linea non ha importanza. Signor Worthing, confesso che quanto mi dice mi lascia un poco perplessa. L’essere nato, o comunque allevato, in una borsa, con o senza maniglie che sia, mi sembra una manifestazione di disprezzo per i più elementari principi della vita familiare, che mi richiama alla mente i peggiori eccessi della Rivoluzione Francese. E suppongo lei sappia a che cosa ha condotto quel deprecabile momento! Per quello che riguarda poi in particolare il luogo nel quale la borsa è stata trovata, devo dire che il deposito bagagli di una stazione ferroviaria può servire sì a nascondere cose e fatti socialmente sconvenienti – credo anzi che sia stato spesso usato a questo scopo anche in passato – ma difficilmente può essere considerato base sufficiente a una reputata posizione nella buona società.
JACK - Posso chiederle allora che cosa mi consiglia di fare? Non occorre che le dica che farei qualsiasi cosa al mondo pur di assicurare la felicità di Gwendolen.
LADY BRACKNELL - Le consiglio caldamente, signor Worthing, di trovarsi qualche legame di parentela al più presto possibile, e di non lasciare nulla d’intentato onde esibire almeno un genitore, non importa se maschio o femmina, prima che la stagione sia definitivamente conclusa.

domenica 11 marzo 2012

Crisi del '29

La grande crisi scoppiò negli Stati Uniti nell’autunno del 1929 e fece sentire i suoi effetti sulla politica, sulla cultura, sulle strutture sociali e sulle istituzioni statali. Compromise seriamente gli equilibri internazionali, mettendo in moto una serie di eventi che avrebbe portato, nel giro di un decennio, a un nuovo conflitto mondiale. La crisi ebbe inizio con il crollo della Borsa di New York. Incoraggiati dalla prospettiva di facili guadagni, i risparmiatori acquistavano azioni per rivenderle a prezzo maggiorato, contando sulla continua ascesa delle quotazioni, sostenuta dalla crescente domanda di titoli. La domanda sostenuta di beni di consumo aveva fatto sì che nel settore industriale si formasse una capacità produttiva sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato interno: possibilità limitate sia dalla particolare natura dei beni di consumo durevoli ( che non avendo bisogno di essere continuamente sostituiti, tendevano a saturare il mercato), sia dalla crisi del settore agricolo, che teneva bassi i redditi de ceti rurali. L’industria statunitense aveva ovviato a queste difficoltà con l’aumento delle esportazioni nel resto del mondo, in particolare in Europa. In questo modo fra economia americana ed europea si venne a creare un rapporto di interdipendenza: l’espansione americana finanziava con prestiti la ripresa europea e quest’ultima, a sua volta, alimentava con le sue importazioni lo sviluppo degli Stati Uniti. La situazione degenerò con il crollo della Borsa di New York.Il crollo del mercato finanziario colpì in primo luogo i ceti ricchi, ma riducendo le loro capacità di acquisto e di investimento, finì con l’avere conseguenze disastrose sull’economia di tutto il paese. La crisi peggiorò ulteriormente quando gli Stati Uniti cercarono di difendere la propria produzione inasprendo il protezionismo e riducendo l’erogazione dei crediti all’estero. La recessione economica si diffuse in tutto il mondo.
In Europa al declino delle attività produttive e commerciali si sovrappose una crisi finanziaria che ebbe le sue prime manifestazioni in Austria e in Germania, dove si giunse al collasso del sistema bancario. Alla crisi bancaria seguì una crisi monetaria. I crolli verificatisi in Austria e in Germania provocarono un allarme sulla solidità delle finanze inglese (molti capitali britannici erano infatti stati investiti in quei due paesi). Quando la crisi ebbe inizio, tutti i governi industrializzati ritennero di affrontarla affidandosi ai classici princìpi della scuola economica liberale: primo fra tutti quello del pareggio del bilancio. Per ottenere questi risultati, la spesa pubblica venne drasticamente tagliata e furono imposte nuove tasse. In questo modo si ridusse ulteriormente la domanda interna aggravando perciò la recessione e la disoccupazione.
In Germania le conseguenze della crisi si fecero sentire più che in ogni altro Stato europeo a causa del suo stretto rapporto con gli Usa. Nel 1930 la guida del governo passò al leader del Centro cattolico Heinrich Bruning, che attuò una durissima politica di sacrifici.
In Francia la crisi giunse in ritardo, ma durò più a lungo.
In Gran Bretagna il ministero guidato dal laburista Ramsay MacDonald cercò di fronteggiare la crisi con un programma che prevedeva un drastico taglio del sussidio ai disoccupati. MacDonald si accordò con i liberali e conservatori per formare un governo nazionale di cui lui stesso assunse la presidenza. Fu sotto questo governo che la Grand Bretagna svalutò la sterlina e adottò un sistema di tariffe doganali che privilegiava gli scambi commerciali nell’ambito del Commonwealth.
Nel 1932, quando tre anni di crisi avevano suscitato in tutti gli Usa un forte senso di insicurezza, divenne presidente il democratico Roosvelt. La sua politica (New Deal) si caratterizzò per un energico intervento dello Stato nell’economia e per alcune iniziative di riforma sociale. Il New Deal tuttavia non riuscì a determinare una piena ripresa dell’economia americana, che si sarebbe verificata solo con la guerra.

Politica economica in Italia durante il fascismo

La politica economica italiana durante il Fascismo si può dividere in 4 fasi:
-prima fase: viene definita fase liberista e Mussolini si mette nelle mani di De Stefani
-seconda fase: và dal ’25 al ’30 ed è la fase di Giuseppe Volpi
-terza fase: và dal ’30 al ’35 ed è la fase dello “Stato banchiere-imprenditore” per affrontare la crisi
-quarta fase: comincia nel ’35 e la politica economica in questa fase è basata sul rafforzamento militare per affrontare i conflitti.

La prima fase porta un consistente incremento produttivo, ma anche un riaccendersi dell’inflazione, un crescente deficit nei conti con l’estero e un forte deterioramento del valore della lira, il cui rapporto di cambio con la sterlina scese a livelli mai toccati in passato; nel ’25 la politica economica subì una brusca svolta: cambiò il ministro delle Finanze (A Alberto De Stefani fu sostituito Giuseppe Volpi) e venne inaugurato un nuovo corso fondato sul protezionismo, sulla deflazione, sulla stabilizzazione monetaria e un più accentuato intervento statale nell’economia. Per prima cosa era necessario intervenire in ambito produttivo: si vuole arrivare ad una autonomia nell’ambito della produzione di cereali (si parla di “battaglia del grano”), migliorando le tecniche produttive, bonificando ecc. Si giunse a risultati significativi ma ci furono anche conseguenze negative poiché potenziando la produzione dei cereali, si giunse a trascurare la produzione negli altri ambiti. La seconda “battaglia” fu quella per la rivalutazione della lira (la quota novanta): nel ’22 il cambio era 90 lire per una sterlina, dal ’26 per una sterlina ci volevano 150 lire. L’obiettivo di “quota novanta” fu raggiunto con una serie di provvedimenti che limitavano drasticamente il credito e grazie all’aiuto di un importante prestito concesso allo Stato italiano da grandi banche statunitensi. I prezzi interni diminuirono per effetto della politica deflazionistica e del minor costo delle importazioni e la lira recuperò il potere d’acquisto perduto. Nonostante la situazione dia notevolmente migliorata, l’economia italiana non si era ancora ripresa dalla cura deflazionistica, quando cominciarono a farsi sentire le conseguenze della grande crisi mondiale. Il commercio con l’estero si ridusse drasticamente, l’agricoltura subì un nuovo duro colpo in tutti i suoi settori a causa del calo delle esportazioni e dell’ulteriore tracollo dei prezzi, le imprese industriali che si basavano sull’esportazione di conseguenza accusarono gravi difficoltà inducendo il governo a decretare un nuovo taglio dei salari. Si decise dunque di sviluppare i lavori pubblici, per rilanciare la produzione e attutire le tensioni sociali e si stabilì un intervento, diretto o indiretto dello Stato, a sostegno dei settori in crisi. Per salvare le banche dal fallimento, il governo intervenne creando dapprima un istituto di credito pubblico, l’Istituto mobiliare italiano (Imi), col compito di sostituire le banche nel sostegno alle industrie in crisi, e poi l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), dotato di competenze molto ampie. Il compito dell’Istituto avrebbe dovuto essere transitorio, limitandosi al risanamento delle imprese in crisi in vista di una loro “riprivatizzazione”. Quest’ultima tuttavia risultò impraticabile e in questo modo lo Stato italiano si trovò a controllare, anche se indirettamente, una quota dell’apparato industriale e bancario: diventò cioè Stato-imprenditore oltre che Stato-banchiere. A questo punto l’Italia era uscita dalla fase più acuta della crisi, anche se attraverso non pochi sacrifici. A partire dal ’35 Mussolini dà inizio ad una politica economica basata sul rafforzamento militare per affrontare i conflitti successivi.

FASE FACTA-FASE MUSSOLINI

FASE
FACTA
Luigi
Facta, giolittiano dalla personalità sbiadita, salì al governo nel
1922.
La
scarsa autorità del governo finì col dare ulteriore spazio alla
dilagante violenza squadrista; infatti a partire dalla primavera del
1922, il fascismo si rese protagonista di scorrerie e occupazioni
armate di provincie e grandi centri.
A
questa offensiva fascista però i socialisti non seppero opporsi,
infatti non trovarono soluzioni per contrastare la duplice azione dei
fascisti che da un lato aumentavano le violenze armate e dall'altro
si occupavano della manovra politica.
Fu
inutile, in quanto arrivata troppo tardi, la decisione del gruppo
riformista del PSI, che invece rimaneva intransigente, di dichiarare
la propria disponibilità ad un governo di coalizione.
Addririttura
disastrosa si rivelò poi la decisione di proclamare da parte dei
sindacati uno sciopero generale legalitario in data primo agosto per
difendere le libertà costituzionali: in questa occasione il fascismo
lanciò una nuova e più violenta offensiva nei confronti del
movimento operaio.
Ai
primi di ottobre del 1922 i riformisti di Turati abbandonarono il PSI
per fondare il nuovo Partito Socialista Unitario (PSU).
Il
progetto dei fascisti era quello di far convergere tutti i fascisti
italiani verso Roma facendo così pressione sul monarca, che in
questa occasione dovette scegliere se appoggiarli manetendo una pace
apparente o se opporsi dando il via a quella che sarebbe stata una
guerra civile.
Mussolini
intrecciò trattative con alcuni dei più importanti esponenti
liberali per la partecipazione fascista a un nuovo governo, rassicurò
la monarchia sconfessando le passate simpatie repubblicane e si
guadagnò il favore degli industriali proclamando l'iniziativa
privata.
Contemporaneamente
però, Mussolini lasciò che l'apparato militiare del fascismo si
preparasse apertamente alla presa del potere mediante un colpo di
stato.
L'organizzazione
fu affidata ai quadrumviri, tra cui De Vecchi, Italo Balbo e Bianchi,
che si trovarono a Perugia per coordinare la spedizione armata: i
prefetti in quest'occasione decisero di non bloccare l'iniziariva
poiché ritennero che fascisti fossero una forza d'ordine.
La
Marcia su Roma fu fissata per il 27 ottobre 1922.
In
questo stesso giorno, il capo del governo Facta si dimise, e fu
decisivo l'atteggiamento del re.
Quando
Vittorio Emanuele III arrivò a Roma, infatti, Facta lo accolse con
le carte per la firma dello stato di assedio, cioè il passaggio dei
potreri alle autorità militari, ma, sorprendentemente, il re rimandò
la firma al giorno successivo, decidendo di incontrare Diaz e
Tanderman, generale della flotta, che lo persuasero dal firmare.
Mussolini,
che si trovava a Milano pronto per fuggire in Svizzera, la mattina
del 30 ottobre scese a Roma per incontrare il re con l'intenzione di
prendere il governo.
Al
nuovo governo mussoliniano prendevano parte oltre cinque fascisti: un
liberale giolittiano, un “seguace” di Solandra, due popolari, il
nazionalista Luigi Federzoni e un indipendente esponente della
cultura Giovanni Gentile che ricopriva l'incarico di ministro
dell'istruzione (nel governo Giolitti il suo incarico era affidato a
Benedetto Croce che elaborò un importante riforma dell'istruzione).
Dall'ottobre
del 22 al 24 si avviò quindi la guida dello stato sotto un governo
di coalizione.
ORIGINI
DEL FASCISMO: All'interno del partito troviamo esponenti di diverse
ideologie come ad esempio socialisti, futuristi e rivoluzionari.
Un
ruolo molto importante fu quello del socialista Benito Mussolini.
Mussolini
era romagnolo, figlio di un socialista convinto, e studiò nella
scuola dei Salesiani all'istituto magistrale.
Successivamente
andò in Svizzera, dove restò per due anni, in cui venne in contatto
con molti gruppi di diversa ideologia politica e studiò
all'università di Losanna sociologia.
Il
giovane Mussolini rischiava l'arresto, ma con l'amnistia per il nuovo
erede al trono riuscì a tornare in Italia.
Qui
ricoprì diversi incarichi, tra cui quello di giornalista (La voce,
Leonardo) e anche di direttore del giornale rivoluzionario
dell'asburgica Trento.
Da qui
incomincò la sua ascesa all'interno del partito socialista.
Al
congresso di Reggio Emilia, come figura di spiacco, riuscì ad
escludere i revisionisti dal partito ed ad ottenere la direzione
dell' Avanti.
Avvicinandosi
alla guerra incominciò a difendere l'idea di pace, fino ad arrivare
ad un totale cambiamento della sua ideologia: le sue esperienze,
infatti, lo portarono a pensare che il socialismo sottovalutasse
l'idea di nazionalità.
Dopo
essere stato ferito durante la prima guerra mondiale, venne espulso
dall'Avanti e dal partito in quanto schieratosi a favore
dell'intervento; Mussolini fondò Il quotidiano dei combattenti e dei
lavoratori e anche un nuovo partito.
Da
questo momento ebbe un atteggiamento critico nei confronti di
Marxismo e Kautzkysmo, a Trento collaborò addirittura con Arturo la
Briola che era sindacalista rivoluzionario e in Svizzera ebbe
contatti con anarchici.
GOVERNO
MUSSOLINI
Politica
interna:
Presenza
di molti problemi affrontati secondo un ottica liberista per la
presenza del ministro De Stefani: riduzione dei dazi doganali,
incentivazione dei privati e altri interventi drastici che portaro
però a una rapida crescita del pil, riduzione della presenza dello
stato nella vita economica.
Eccezioni: alcuni provvedimenti
contrari alla linea liberista come per esempio quello a favore della
Banca Centrale, dell'industria dei Fratelli Ansaldo e altri
sostenitori.
De Stefani si dimetterà nel 24.
Riforma
scolastica: trasformazione completa del sistema preesistente,
crezione nel 23 del liceo classico.
Insegnamento
obbligatorio della religione cattolica alle elementari come prima
fase della formazione e successivamente veniva introdotta la
filosofia, diminuendo l'insegnamento della religione.
Si
inserì l'esame di stato affinchè le scuole private avessero un
riconoscimento.
Si
distinse inoltre il percorso liceale da quello professionale.
Vicinanza
dei vertici del Vaticano al fascismo per la questione romana,
infatti Mussolini intervenì per sostenere esigenze economiche della
Chiesa; Il partito popolare divenne sempre meno importante per i
cattolici in quanto i diritti venivano già garantiti dallo stato,
Mussolini nel 24 escluse due popolari e la Chiesa non reagì.

Istituzione
di due organi molto importanti per dare un' unità disciplinata al
partito cioè la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che
era un organo militare che doveva dare ordine alle squadre fasciste
sotto il comando di Mussolini, che in realtà voleva tenere come
riserva questo secondo esercito per, in caso di emergenza,
utilizzarlo come ulteriore strumento per la pressione politica, e il
gran consilio del fascismo, organismo che doveva coordinare,
controllare e occuparsi delle idee di base, in cui Mussolini era
garante dell'ordine.

Inflessione
verso la violenza dei comunsti, che vennero ampiamente contrastati
al contrario di sindacati e socialisti.
Nel
24 tentò di inglobare componenti della CGIL nei listoni, ma il suo
progetto fallì sia per la reazione di Matteotti (socialista) sia
per una base fascista (sindacati)
Mussolini
voleva nuove elezioni perchè aveva soltanto 35 membri in parlamento,
il suo progetto è quello di una maggioranza sicura, e vista la
partecipazione alla marcia su Roma e la forte crescita economica,
decise per un premio di maggioranza (Acerbo fece una legge che
prevedeva che un partito o una coalizione dovessero raggiungere
soltanto il 25% dei consensi; Mussolini facendo dichiarazione di
fedeltà alla monarchia e alla costituzione permise l'attuazione
della legge).
Cercò
di costituire liste miste, come fece Giolitti: una solo fascista, le
altre composta da persone che volevano occuparsi dello stato sempre
manenendo la subordinazione ai fascisti, come Salandra.
Si
arrivò a superare il 60% dei consensi.
Pur
non essendoci nessun motivo per utilizzare la violenza, siccome
Mussolini era certo della vittoria, ci furono degli atti violenti
contro socialisti e comunisti, ma anche contro cattolici.
La
maggioranza dei consensi si concentrò al centro sud (limite per
Mussolini) che non vedeva partecipazione nel partito a parte la
Puglia, il consenso spontaneo era soprattutto volto al riorientamento
delle clientele che dai partiti domanianti di prima si spostarono a
quello nuovo, cioè il notabilato locale si spostò dalla sinistra
liberale al fascismo.
Caso
Matteotti: Giacomo Matteotti,
segretario del Partito socialista unitario, il 30 maggio 1924
denunciò in parlamento l'azione fascista e fece di tutto per evitare
il coinvolgimento di altre liste a quella del fascismo.
Nel
giro di dieci giorni, Matteotti venne rapito e fu ritrovato il suo
cadavere soltanto a fine agosto.
I
responsabili furono degli esponenti vicini al fascismo, tra cui
Dumini esponente del fascismo toscano, ma l'opinione pubblica collegò
il delitto a Mussolini.
Mussolini,
ovviamente, smentì ripetutamente, affermando che il fatto avrebbe
soltanto creato problemi secondo la sua visione, ma nonostante ciò
l'opinione pubblica non cambia idea.
Gli
“alleati” sostengono Mussolini, mentre i liberali e i fascisti
monarchici si allontanano.
Mussolini
allora, si assunse le responsabilità, fece arrestare Dumini e tentò
di far ricadere la colpa su certe scheggie impazzite.
Ma
ciò non bastò a fermare l'opposizione che si mobilitò in una vera
e propria protesta formale, che consisteva nell'astensione dai lavori
parlamentari e nell'riunirsi separatamente finchè non fosse stata
ripristinata la legalità democratica (Alfredo Rocco, presidente
della camera decise di sospendere per sette mesi i lavori della
camera con il consenso della maggioranza).
Questo
movimento prese il nome di secessione dell'Aventino, che era il luogo
di ritrovo, e puntava sull'opinione pubblica e ad un inervento del
re.
Ma
il re, ancora una volta, non reagì per paura dell'instaurazione
dell'anarchia, qualora fosse venuto meno il governo fascista, per
questo si attenne alla prassi parlamentare senza intervenire.
Mussolini,
invece, cercò di creare unità nel partito e svolgere la funzione di
mediatore, ma spinto dall'ala intransigente della milizia fu
costretto a contrattaccare.
Discorso
della dittatura del 25:
Proprio in occasione del contrattacco agli aventiniani, Mussolini
fece un discorso in cui si dichiarò con tono minaccioso nei
confronti dei rivoluzionari e si assunse la responsabilità della
vicenda Matteotti; affermò inoltre che anche se il fascismo fosse
stata un' associazione a delinquere in ogni caso si sarebbe assunto
le responsabilità politiche e morali.
Per
prima cosa si incominciò una radicale azione di eliminazione
dell'opposizione tra cui comunisti, socialisti e popolari.
Dal
26 al 28 si applicarono dei provvedimenti chiamati “leggi
fascistissime” con le quali il Gran consiglio del fascismo ottenne
competenze costituzionali (liste elettorali, si pronunciava rispetto
alla successione al trono senza possibile intervento del re, si
modificò lo statuto, cosa che creò attrito tra fascismo e
monarchia) e si introdusse il sistema della lista unica.
Le
leggi fascistissime furono molto importanti anche per l'aumento dei
poteri dati al presidente del consiglio che ora assumeva la carica di
capo del governo e per la creazione di tribunali speciali in cui si
operava attraverso una magistratura parallela diretta da giudici che
erano generali della milizia e che godeva di poteri particolari.
DOTTRINA
DEL FASCISMO
La
dottrina del fascismo, pubblicata nel , è divisibili in due grandi
parti: le idee fondamentali e la dottrina politica e sociale.
La
prima fu scritta da Giovanni Gentile che trattò per lo più di
questioni generali, mentre la seconda fu composta dallo stesso
Mussolini.
Idee
fondamentali:
1.
Il fascismo è prassi
ed è pensiero.
2.
L'uomo del fascismo è un individuo che è nazione e patria, legge
morale che stringe assieme individui e generazioni in una tradizione
e in una missione, in cui, attraverso l'abnegazione di sé e il
sacrificio dei suoi
interessi particolari,
realizza il suo valore di uomo.
3.
Il fascismo è visto come senso
etico e morale infatti
vuole l'uomo attivo e impegnato nell'azione con tutte le sue energie,
lo vuole virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono e
pronto ad affrontarle; concepisce la vita come una lotta pensando che
spetti all'uomo conquistarsi quella che sua veramente degna di lui.
Così
per l'individuo, così per la nazione, così per l'umanità.
4.
La vita quale la
concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in
un mondo sorretto dalle forse morali e responsabili dello spirito. Il
fascista disdegna la vita “comoda”.
5.
Il fascismo è una concezione religosa, in cui l'uomo è veduto nel
suo immanente rapporto con una legge superiore.
Chi
nella politica religiosa del regime fascista si è fermato a
considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il fascismo,
oltre ad essere un sistema di governo, è anche, un
sistema di pensiero.
6.
Il fascismo è una concezione storica, nella quale l'uomo non è
quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui
concorre. Fuori dalla
storia l'uomo è nulla.
Perciò il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche a
base materialistica ed è contro tutte le utopie e le innovazioni
giacobine. Il fascismo politicamente vuole essere una dottrina
realistica; praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che si
pongono storicamente da sé e che da sé trovano o suggeriscono la
propria soluzione.
7.
Il fascismo è per l'individuo in quanto esso coincide con lo Stato,
coscienza e volontà universale dell'uomo nella sua esistenza
storica.
E'
contro il liberalismo classico che negava lo Stato nell'interesse
dell'individuo particolare, invece il fascismo riafferma lo Stato
come realtà vera dell'individuo.
Il
fascismo è per la libertà come libertà dello Stato e
dell'individuo nello Stato (concezione greca tra individuo e polis).
Tutto
è nello Stato e nulla di umano o spirituale esiste fuori dallo
Stato. In tal senso il fascismo è totalitario,
e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta,
sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.
8.
Il fascismo è contro
il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotte di
classe e ignora l'unità statale che le classi fonde in una sola
realtà economica e morale; è inoltre contro
il sindacalismo classista.
Il
fascismo vuole, però, riconosciute le reali esigenze da cui trassero
origine il socialismo e il sindacalismo e le fa valere nel sistema
corporativo degli interessi conciliati nell'unità dello Stato.
9.
Il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al
maggior
numero (maggioranza)
abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di
democrazia se il popolo è concepito qualitativamente e non
quantitativamente: si attua nel popolo, quale coscienza e volontà di
pochi, anzi di Uno, e quale ideale, tende ad attuarsi nella coscienza
e volontà di tutti. Il fascismo è quindi favorevole alla
partecipazione delle masse.
10.
Secondo il fascismo non è la nazione a generare lo Stato, bensì lo
Stato
a generare la nazione,
in quanto dà al popolo una volontà e quindi un'effettiva esistenza.
Il diritto di una nazione all'indipendenza deriva da una coscienza
attiva, da una volontà politica in atto e disposta a mostrare il
proprio diritto: cioè, da una sorta di Stato già in fieri. Lo Stato
infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto.
(Pensiero
di Gentile e Mussolini, non è condiviso da tutti i fascisti:
posizione critica a ideologie naturalistiche e razziste; ogni idea
che vede la nazione come fondamento dello Stato è rifiutata, ciò
che costituisce la nazion è la volontà etica universale che è lo
Stato. L'elemento materiale è solo una componente secondaria, non
fondamentale: per essere italiani non bisogna essere di razza
italiana).
11.
La nazione come Stato è una realtà
etica
che esiste e vive in quanto si sviluppa. Lo Stato non è solo
autorità che governa e dà forma di legge e alore di vita spirituale
alle volontà individuali, ma è anche potenza che fa valere la sua
volontà all'esterno, facendola riconoscere e rispettare.
12.
Lo Stato fascista, forma più alta e potente della personalità, è
forza, ma spirituale. E' forma e norma interiore, e disciplina di
tutta la pesona.
13.
Il fascismo è educatore
e promotore
di vita spirituale. Vuol rifare il contenuto, l'uomo, il carattere,
la fede. Vuole disciplina e autorità che scendsa addentro negli
spiriti e vi domini incontrastata.
Dottrina
politica e sociale:
[Solo parti prese in considerazioni da Ferro]
3.
Il
fascismo non crede alla possibilità né all'utilità della pace
perpetua. Respinge quindi il pacifismo
che nasconde una rinuncia alla lotta e a una viltà. Solo la guerra
porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un
sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla. Una
qualsiasi dottrina che parta dal postulato pregiudiziale della pace,
è estranea al fascismo così come le costruzioni
internazionalistiche e societarie, le quali, pur essendo in parte
utili, si possono disperdere al vento quando elementi sentimentali,
ideali e pratici muovono a tempesta il cuore dei popoli. Il fascista
comprende la vita come dovere, elevazione e conquista.
4.
La
politica
demografica
del regime è una conseguenza. (Nel 33 si organizzò una cerimonia
per premiare le madri più prolifiche, cioè quelle avevano dai 14 ai
19 figli viventi con somme di denaro, se ne presentarono più di
cento).
5.
Il
fascismo nega la dottrina di base del socialismo scientifico o
marxiano, cioè il materialismo
storico,
secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe
soltanto con la lotta d'interessi fra diversi gruppi sociali e col
cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione.
7.
Il
fascismo può essere definito una democrazia
organizzata, centralizzata e autoritaria.
9.
(Non
c'è rifiuto del passato, non si nega la rivoluzione francese,
bisogna andare oltre e realizzare la vera libertà. Lo stato è un
assoluto).
11.
Dal
1929 a oggi, l'evoluzione economica politica universale ha ancora
rafforzato queste posizioni dottrinali. Chi giganteggia è lo Stato,
ed è anche ciò che può risolvere le drammatiche contraddizioni del
capitalismo. La crisi si può risolvere soltanto entro lo Stato.
Inoltre
il fascismo non è reazionario bensì rivoluzionario
in
quanto propone un suo progetto per l'innovazione in campo politico,
economico e morale.
12.
Lo
Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso
in genere e a quella particolare religione positiva che è il
cattolicesimo
italiano.
Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista
la religione viene considerata come una delle manifestazioni più
profonde dello spirito, non viene quindi solo rispettata ma anche
difesa e protetta. Il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei
santi, degli eroi e anche il Dio così come visto e pregato dal cuore
ingenuo e primitivo del popolo.
(Il
fascismo non si identifica con il cattolicesimo, infatti non c'è
subordinazione al papa, ma lo promuove e lo difende, ha solo morale
non teologia. Cattolicesimo come valore positivo come manifestazione
profonda dello spirito ma non la più alta cfr.Gentile-Hegel.
13.
Lo Stato fascista è una volontà di potenza e di imperio. La
tradizione romana
è qui un'idea di forza, infatti l'impero è espressione sprituale e
morale. Per il fascismo la tendenza all'impero è manifestazione di
vitalità, il suo contrario è segno di decadenza.

POLITICA ESTERA FASCISMO

POLITICA ESTERA FASCISMO (fino al ’38)

Nella politica estera del PNF si susseguono diversi ministri degli esteri: dapprima Mussolini (’22-’29), poi Dino Grandi, capo squadre fasciste a Bologna (dal ’29 al ’32), poi ancora Mussolini (’32-’36) e infine Ciano (genere del duce stesso).

Durante il primo periodo, quindi con Mussolini e Grandi ministri, la politica estera è basata sull’intento di far guadagnare prestigio internazionale all’Italia, che doveva diventare la rappresentate principale degli stati penalizzati dagli accordi di pace (avvicinamento ad Austria e ad Ungheria).

Il principio che in questa prima fase muove quindi la politica estera è quello di vittoria mutilata.Fino al ’35 infatti la politica estera italiana è orientata verso il mantenimento dell’equilibrio internazionale e, per questo, si vede un avvicinamento con l’Inghilterra, principale stato difensore della pace. Questo intento italiano è visibile anche con l’eliminazione delle guerriglie interne alle sue colonie di Eritrea, Somalia e Libia.L’Inghilterra si trovava ad esser poi favorevole all’Italia anche per un altro motivo, infatti quest’ultima bilanciava il peso politico francese. Tra il nostro paese e quello transalpino infatti c’erano dei contrasti in quanto la Francia aveva un governo socialista e dava protezione ai movimenti anti fascisti.

Per quanto riguarda invece i rapporti tra Italia e Germania c’e da dire che, fino al ’34-’35, Mussolini vede di malocchio il movimento nazionalista tedesco e le sue mire espansionistiche, ma, nonostante ciò, per assumere il ruolo primario di arbitro dell’equilibrio internazionale e per ottenere guadagni dall’Inghilterra (fortemente anti-tedesca), il nostro stato offre dei finanziamenti, seppur non in grande scala, al partito nazional-socialista stesso.Un elemento che certamente dimostra l’iniziale poca benevolenza di Mussolini nei confronti di Hitler (ancora debole per limitazioni accordi di pace) è visibile nel ’34 quando in Austria avviene un colpo di stato da parte di un partito di orientamento simile a quello fascista: il duce minaccia l’intervento armato in caso di intervento tedesco in questa questione.

Nel ’35 tuttavia Mussolini cambia completamente il suo orientamento volto al mantenimento dell’equilibrio delle potenze sul Mediterraneo preparando sia militarmente che diplomaticamente, con un accordo con la Francia (fine ’34) che prevedeva la concessione all’Italia di espandersi in Africa nord orientale, un attacco all’Etiopia.L’Etiopia viene così sottomessa e la guerriglia che va creandosi viene debellata senza molte difficoltà: il duce così, il 9 maggio 1936, gridò alle folle esultanti la riapparizione dell’impero. Mussolini pensava che questo suo gesto contro la società delle nazioni, a cui l’Etiopia stessa prendeva parte, sarebbe stato accettato da Francia e Inghilterra per il ruolo fondamentale anti-tedesco che l’Italia aveva, ma così non accadde: il nostro paese infatti fu soggetto ad alcune sanzioni come quella di non poter importare armi o altri strumenti bellici dall’estero o come la cessazione di prestiti francesi ed inglesi.Di conseguenza a questi atti punitivi la politica estera fascista diventa più filo tedesca che filo inglese e ciò lo si può vedere sia nella questione della zona Danubiano-Balcanica (di interesse espansionistico italiano) che viene lasciate alle mire d’espansione di Hitler sia nell’accettazione totalmente passiva da parte di Mussolini dell’instaurazione di un governo nazista in Austria.

GUERRA CIVILE SPAGNOLA

Tuttavia il vero e definitivo avvicinamento tra Hitler e Mussolini si ha con la guerra civile spagnola che vedeva la lotta tra la forza governante, comunista, separata al suo interno, e le forze ribelli di Franco, sostenute appunto da Italia e Germania..

Mussolini interviene in questa guerra non solo perché ormai si era fortemente avvicinata alla Germania (’36 asse Roma-Berlino con cui i due stati si promettevano di sostenersi vicendevolmente: l’Italia interveniva nella guerra civile spagnola e la Germania si schierava contro sanzioni a Italia stessa derivate da questione Etiopia), ma anche per cercare di arginare la presenza sia della Germania stessa sia della Russia, che sosteneva il partito governante comunista, sul Mediterraneo: pertanto Ciano invierà molti soldati, non richiesti da Franco, oltre che mezzi bellici (aerei, carri armati). Quella che va delineandosi in Spagna è una guerra che vede lo scontro tra le destre europee (Mussolini, Hitler, Franco) e le sinistre europee (Governo spagnolo e Urss). La guerra civile si concluderà poi con la prese di Madrid nel ’39 da parte delle truppe del generale ribelle. L’Italia intanto, per il suo continuo spostamento a favore della Germania, nonostante un accordo con l’Inghilterra del ’37 che prevedeva l’impegno di entrambi i paesi per il mantenimento dello status quo del Mediterraneo, andò allontanandosi definitivamente dal paese britannico: nel ’38 ci sarà la vera e propria rottura.

sabato 10 marzo 2012

TACITO - NERONE E L'INCENDIO DI ROMA(LATINO)

NERONE E L’INCENDIO DI ROMA (PAG. 436-439)

1. Segue il disastro, non si sa se per caso o voluto dal principe (infatti gli autori hanno tramandato entrambe le versioni), ma più grave e più atroce di tutti quelli che capitarono a Roma per mezzo della violenza del fuoco.

2. L’inizio partì in quella parte del circo che è vicina al palatino e al Celio, attraverso le botteghe, dove c’erano quelle merci combustibili, da cui la fiamma era alimentata, contemporaneamente il fuoco iniziò e, subito forte e veloce per il vento, si diffuse per tutto il perimetro del circo. Infatti non si frapponevano case circondate da protezioni o templi circondati da mura o qualche altro ostacolo.

3. Dapprima l’incendio invase con impeto le zone pianeggianti, poi, salendo verso i colli, devastando di nuovo i luoghi più bassi, ostacolò i rimedi a causa della propagazione e per il fatto che la città era esposta al pericolo per via delle strade strette e piegate di qua e di la e dei vasti agglomerati, come era la Roma antica.

4. Oltre a ciò, lamenti di donne spaventate, l’età stanca o l’età inesperta della giovinezza, chi pensava a sé e chi pensava agli altri, mentre portavano coloro che non riuscivano a muoversi da soli o li aspettavano, una parte in ritardo, una parte affrettandosi, tutto insieme era d’ostacolo.

5. E spesso, mentre si guardavano alle spalle erano circondati ai lati o di fronte, o se erano scappati nei luoghi più vicini, quando anche quelli erano stati investiti dal fuoco, trovavano nella stessa condizione anche quei luoghi che avevano creduto lontani.

6. Infine, indecisi su cosa evitare e su cosa ricercare, riempivano le strade e si lasciavano cadere nei campi; alcuni, persa ogni risorsa, anche quella per il sostentamento quotidiano, altri per l’affetto verso i loro cari, che non avevano potuto salvare, morirono, benché fosse accessibile una via di fuga.

7. Nessuno osava respingere il fuoco, a causa delle frequenti minacce dei tanti che proibivano di spegnerlo e poiché alcuni gettavano apertamente torce e poiché vociferavano di avere un mandante, sia perché avessero maggiore libertà di fare razzie, sia per un ordine.

8. In quel momento Nerone che era ad Anzio, non ritornò a Roma prima che il fuoco fosse arrivato alla sua casa, dove aveva unito il Palatino e i giardini di Mecenate. Tuttavia non si potè impedire che il Palatino, il palazzo e tutti i luoghi intorno fossero distrutti.

9. Ma come conforto per il popolo scosso e fuggitivo aprì il Campo marzio, il monumento di Agrippa e perfino i suoi giardini e fece predisporre degli edifici provvisori che ricevessero la moltitudine allo stremo, vennero trasportati oggetti utili da Ostia e dai municipi vicini e fu ridotto il prezzo del frumento a tre sesterzi.

10. Ma questi provvedimenti per il popolo cadevano nel vuoto, perché si era diffusa la voce che nello stesso momento in cui la città bruciava egli fosse salito sul palco del suo palazzo e cantasse la caduta di Troia paragonando le disgrazie presenti alle sventure antiche.

COMMENTO

1. Tacito contempla 2 ipotesi e sembra non protendere per nessuna delle sue, ma ovviamente attraverso l’immagine che Tacito ci dà di Nerone capiamo che secondo lui l’incendio è di tipo doloso.

2. Come inizia il fuoco subito si diffonde (notare simul). Si tratta di una zona di edifici piccoli attaccati gli uni agli altri e quindi facilitano la propagazione del fuoco.

3. C’è una variatio iniziale: adsurgens (part.) e populando (gerundio) anche la principale presenta tre costrutti diversi al suo interno, inoltre un’altra variatio è costituita da obnoxia urbe (abl. Ass.) coordinato ad un ablativo di causa. L’effetto che produce è una mancanza di simmetria, lo stesso concetto viene espresso con una struttura formale diversa. Emerge incocignitas che era molto presente in Seneca, inoltre in Tacito questa asimmetria si nota maggiormente perché i periodi sono più lunghi (ipotassi). Inoltre il verbo principale è ellittico del verbo essere (manca il verbo essere).

4. Il verbo principale è posto alla fine perché prima descrive tutti gli impedimenti che concorrono a limitare lo spegnimento dell’incendio. Elenco giocato sulle coppie (fessa aut rudis pueritiae aetas, quique...quique, trahunt aut opperiuntur, pars...pars) inoltre usa l’astratto per indicare il concreto (lamenta paventium feminarum, fessa aut rudis pueritiae aetas…). Una varatio è data dal qui associato a due pronomi diversi. C’è una contrapposizione tra chi aiuta e chi viene aiutato e chi pensa solo a se. Pars mora, pars festinans riprendono le categorie già citate in precedenza (vecchi e malati, giovani ecc...) mentre cuncta comprende tutte le categorie. La costruzione di questo periodo dà l’idea di confusione, ciascun gruppo di persone viene caratterizzato da un custrutto diverso.

5. Viene presentata l’ineluttabilità della diffusione dell’incendio. Ci sono due situazioni distinte presentate in modo asimmetrico: nel primo caso c’è una temporale e poi le principale, mentre nel secondo caso c’è un periodo ipotetico e la relativa. Inoltre il vel dovrebbe unire due proposizioni dello stesso tipo ma non è così.

6. Simmetria iniziale: quid...quid... uniti a complere e sterni (due infiniti). Ci sono due ablativi assoluti: al primo nella seconda parte della frase corrisponde caritate suorum, mentre il secondo ha valore concessivo. La seconda parte della frase è più ampia e si sofferma sulla morte degli altri, Tacito si sofferma sulla descrizione dei sentimenti. L’incendio o la calamità naturale, che possono essere confrontati con la peste descritta da Lucrezio, servono per osservare i diversi atteggiamenti degli uomini di fronte alle difficoltà.

7. Tacito presenta diverse possibilità: l’incendio può essere doloso perché c’è un mandante o per avere una maggiore libertà di razziare oppure perché è frutto di un ordine. Tacito è solito esporre fonti senza parteggiare per nessuna ma lasciando trasparire la sua idea, inoltre le sue fonti derivano per lo più dalle voci, dal sentito dire.

8. Appena dopo aver parlato del presunto mandante dell’incendio Tacito passa a parlare di Nerone, lasciando trasparire che fosse proprio l’intento dell’imperatore quello di distruggere tutti i palazzi della corte.

9. Si mostra quell’aspetto di Nerone che era gradito al popolo. È una caratteristica tipica di Tacito, quando capisce di essersi sbilanciato troppo da una parte tenta subito di rimediare.