GRECO

EURIPIDE

LA VITA

Euripide nacque intorno al 483 a.C. ad Atene da padre possidente terriero e madre nobile. La tradizione lo voleva nato nel giorno della battaglia di Salamina (480 a.C.). Sul finire della vita si allontanò da Atene per trasferirsi in Macedonia alla corte di Archelao, dove morì.

IL TEATRO EURIPIDEO

Euripide fu l’ultimo dei tre grandi tragediografi greci, dopo Eschilo e Sofocle, e dunque sviluppò un nuovo tipo di teatro. Nel teatro euripideo infatti vi è la costante presenza dell’agone verbale: il protagonista ed un suo interlocutore affrontano un problema da punti di vista opposti e non conciliabili, gareggiando per prevalere dialetticamente l’uno sull’altro con la forza delle argomentazioni. E’ comunque difficile giudicare chi ha ragione e chi no: l’importante è creare il dibattito. Tuttavia la vera novità del teatro euripideo è nello spirito che lo anima: le sue trame sono ancora quelle del mito, i personaggi delle tragedie sono ancora gli eroi della guerra di Troia o di altre saghe, ma di costoro vestono solo il costume di scena, perché nel loro intimo, nel loro modo di pensare e di agire, si rivelano uomini e donne del tempo in cui vive il poeta. Grazie anche alle innovazioni da lui apportate, il rapporto di Euripide con il pubblico non fu dei migliori: i giudizi su di lui erano o di estremo apprezzamento o di ferma riprovazione (come nel caso del commediografo Aristofane).

La Morte della Tragedia

Le premesse e le implicazioni, sia religiose sia morali, da cui i miti derivavano, calate ora nella realtà quotidiana subiscono inevitabilmente una revisione. Dunque nasce una tragedia in cui il dato mitico di partenza viene messo in discussione.

Andromaca

Andromaca, vedova di Ettore, è ora schiava di Neottolemo, al quale ha dato un figlio. Questi ha poi sposato la spartana Ermione, figlia di Menelao e di Elena, la quale accusa Andromaca della propria sterilità. Spalleggiata dal padre Menelao, la donna decide di uccidere la schiava insieme al bambino. Andromaca, intuito il pericolo, mette in salvo il piccolo, ma Menelao riesce comunque a catturare il bambino e ne minaccia la morte ad Andromaca se rifiuterà di consegnarsi. A questo punto sopraggiunge il vecchio ma ancora energico Peleo, il quale libera e porta via con se i due prigionieri. Ermione vorrebbe ora uccidersi per paura del marito, ma ne è distolta dall’arrivo di Oreste, il quale le rivela che ha fatto tendere un agguato a Neottolemo, per cui fin d’ora lei può considerarsi vedova e quindi libera di contrarre nuove nozze con lo stesso Oreste. Com’è evidente, il titolo della tragedia si accorda bene solo alla prima parte del dramma, poiché nella seconda prevale la presenza di Ermione e di Peleo. Il tema di fondo di questa tragedia è la guerra, la quale presenta sempre un doppio volto:da una parte la gioia dei vincitori, dall’altra la disperazione dei vinti che, dopo essere stati sconfitti, divenivano schiavi.

Ecuba

Ecuba, ora vedova e schiava, deve subire, impotente, il sacrificio della figlia Polissena, immolata dagli Achei vincitori sul tumulo di Achille. Ancora in lacrime per Polissena, Ecuba apprende che anche il suo giovane figlio Polidoro è stato ucciso: l’assassino è Polimestore, re di Tracia e suo ospite, bramoso di impadronirsi dell’oro che lei ed il marito Priamo avevano affidato al ragazzo quando si erano illusi di metterlo in salvo presso di lui. Ora Polimestore è al campo acheo, alleato di Agamennone. A quest’ultimo, in quanto schiava, Ecuba chiede (ed ottiene) il permesso di vendicarsi. Anche in questa tragedia il tema principale è la guerra. In questo caso però la protagonista non è caratterizzata soltanto dalla disperazione, ma anche da una furia vendicatrice, che esplode qui in un personaggio poco appariscente (l’Iliade quasi la ignora) quale la vedova di Priamo.


MEDEA:

Gli argomenti della Medea sono dei brani scritti dai filologi alessandrini preposti alle tragedie contenenti informazioni su trama, informazioni cronologiche, riferimenti ad autori che trattano lo stesso tema e variazioni del mito introdotte dall’autore.
Prologo: Nel prologo è la nutrice che parla, raccontando la situazione presente facendo riferimento al dolore di Medea a causa del tradimento di Giasone. La nutrice prende le parti di Medea. Viene fatto riferimento alla vicenda degli Argonauti, al sacrificio di Medea (fatto per amore di Giasone), al tradimento di Giasone e si conclude con l’arrivo del pedagogo. In questo caso il prologo si apre con l’espressione di un desiderio irrealizzabile da parte della nutrice, la quale avrebbe preferito che Medea non si fosse allontanata dalla patria e dai suoi affetti più cari per seguire Giasone. A questa prima parte segue una sezione dedicata alla condizione attuale di Medea: allontanatasi dalla patria ed esiliata dalla città di Iolco è ora giunta a Corinto, dove è gradita ai concittadini. Qui Medea si trova in totale accordo con Giasone, essendosi resa disponibile in tutto per lui. Euripide inserisce dunque una sentenza di tipo gnomico in cui viene espressa la concezione greca del matrimonio, in cui non deve esserci disaccordo tra i coniugi ed è la donna che deve sempre assecondare il marito. Ciononostante la sorte è avversa alla protagonista, poiché è stata ugualmente tradita da Giasone, che ha preferito contrarre le nozze con Glauce, figlia di Creonte, in modo da garantirsi una discendenza legittima. Il tradimento, tuttavia, è inteso come tale solo da parte di Medea, poiché il legame tra lei e Giasone non era riconosciuto ufficialmente, in quanto lei è una barbara. Anche i figli sono traditi, poiché essendo illegittimi era per loro necessaria la presenza protettiva di un padre. Nella sezione successiva si parla del dolore di Medea, che viene definita infelice, disonorata, vittima di ingiustizia. Il termine “infelice” indica la condizione attuale di Medea, che si protrarrà per tutta la vicenda. Il termine “disonorata” sta invece ad indicare il fatto che Medea sia stata privata dell’onore (e quindi della sua legittimazione di fronte alla comunità). L’espressione “vittima di ingiustizia”, infine, mostra ancora una volta come Medea ritenga questo tradimento affettivo pari ad un atto di ingiustizia nei suoi confronti. E’ singolare il fatto che termini come “disonorata” e soprattutto “vittima di ingiustizia” siano riferiti ad una donna, che non essendo un soggetto giuridico, non potrebbe nemmeno subire ingiustizia. Il mettere Medea sullo stesso piano di un uomo fa comprendere l’alta considerazione che Euripide ha nei confronti della donna. In questa sezione viene descritto il dolore di Medea, che non si traduce in puro malessere spirituale, ma anche in dolore fisico (Medea piange, non mangia, sta immobile con lo sguardo fisso a terra); questo tratto la distingue da una figura maschile, poiché l’uomo, quando soffre, si adira. Nella parte finale del prologo la nutrice esprime il timore che Medea possa compiere un gesto sconsiderato, che potrebbe danneggiare lei stessa, i figli o la nuova sposa di Giasone ed il padre di lei.
L’uccisione dei figli sembra un atto assolutamente illogico, poiché l’ira di Medea è rivolta verso il marito e non verso i figli, ed inoltre la perdita dei figli non avrebbe arrecato un eccessivo danno a Giasone, poiché si trattava di una discendenza illegittima. Sono state individuate quattro possibili interpretazioni di questo gesto:
1)      Medea è una donna, ed in quanto tale, secondo la concezione del tempo, ha una condotta illogica ed irrazionale;
2)      Medea è barbara e fa cose da barbara (cfr. Andromaca);
3)      Medea è una maga, e quindi agisce in modo inconsueto ed irrazionale;
4)      Medea è un essere umano, ed in quanto tale ha reazioni che non sempre sono razionali.
La seconda parte del prologo comincia con l’arrivo del pedagogo e dei figli di Medea. Vedendo la nutrice sola davanti alla porta, le chiede notizie della padrona e, essendo venuto a sapere che è ancora in preda alla disperazione, la definisce stolta perché soffre non essendo ancora a conoscenza della nuova sventura che si abbatterà su di lei. Il pedagogo è infatti venuto a sapere che Creonte ha deciso di allontanare da Corinto Medea ed i suoi figli. La nutrice, mostrandosi realmente preoccupata per Medea, promette di mantenere il silenzio fino a quando la notizia sarà certa. Dopodiché si auspica che la sua padrona sfoghi la sua ira contro i nemici e non contro la sua famiglia.
Transizione Anapestica alla Parodo (pagine 253-255 del tomo 1 volume 2): Viene qui di seguito presentato un agone, ovvero un monologo di un personaggio contrapposto ad un monologo di un altro personaggio. In questi agoni Euripide propone degli spunti di riflessione per il pubblico, senza però fornire un parere personale. Medea si rivolge al coro, costituito dalle donne di Corinto, sottolineando il fatto che il suo silenzio non è un atto di superbia nei confronti della cittadinanza (è una sentenza gnomica: “Non è cosa giusta se uno, prima di conoscere, e bene, l’interno di un uomo, e senza avere avuto da lui offesa, solo per averlo visto, lo disprezza”). Dopo aver espresso il proprio dolore, Medea fa una riflessione sulla condizione della donna: nella civiltà greca, la donna non ha la possibilità di scegliere il proprio marito, e può solo sperare di essere fortunata e di trovare un uomo buono che sia soddisfatto di lei, poiché non era possibile per una donna ripudiare il marito. Medea fa un esplicito riferimento alla sua situazione: lei, straniera, non solo è costretta ad accontentare in tutto il marito, ma deve anche ingegnarsi trovando il modo migliore di farlo, adattandosi agli usi e costumi del luogo. Inoltre, sempre a causa della sua lontananza dalla patria e dai suoi affetti più cari, è ancora più dolorosa la sua condizione di donna, tradita e disonorata. Questa parte si conclude con la richiesta, rivolta al coro da parte della protagonista, di tacere le sue intenzioni di vendicarsi su Glauce e su Creonte.
P: Antico bene della casa e della mia padrona, perché te ne stai sola presso le porte, lamentando fra te e te le sventure? Perché Medea vuole essere lasciata sola senza di te?
N: Vecchio pedagogo dei figli di Giasone, le disgrazie dei padroni sono una sventura per i buoni schiavi, e ne colpiscono l’animo. Io infatti sono giunta ad un tale punto di dolore che mi è venuto il desiderio, venendo qui, di raccontare alla terra ed al cielo la sorte della mia padrona.
P: La poveretta non smette ancora di piangere?
N: Beato te: la sventura è all’inizio, e non è nemmeno a metà.
P: Che stolta, se si può dire ciò dei padroni: poiché non sa nulla dei nuovi mali.
N: Che c’è, o vecchio? Non rifiutare di dirmelo.
P: Niente; mi pento anche di ciò che ho detto prima.
N: Per il tuo mento, non tenere all’oscuro una tua compagna di schiavitù: infatti, se necessario, non dirò niente riguardo a queste cose.
P: Quando andai dove i più vecchi stanno seduti a giocare a scacchi, nei pressi della sacra fonte di Pirene, facendo finta di non ascoltare, ho sentito uno che diceva che Creonte, sovrano di questa terra, ha intenzione di allontanare dalla terra corinzia questi fanciulli con la madre. Non so se questo racconto sia veritiero; spero che non sia così.
N: E Giasone può sopportare che i figli soffrano tali sventure, pur essendo in contrasto con la moglie?
P: Le vecchie parentele vengono abbandonate per quelle nuove, e lui non è più legato a questa casa.
N: Siamo rovinati, se un nuovo male si aggiunge a quello vecchio, prima che sia superato.
P: Tu però stai tranquilla e non svelare il mio racconto - non è infatti il momento che la padrona lo sappia.
N: O bambini, sentite come vostro padre si comporta nei vostri confronti? Non muoia: infatti è il mio padrone; però è evidente che si comporta male con i figli.
P: Chi non lo fa tra i mortali? Ora tu sai questo, e cioè che ciascuno ama se stesso più del vicino, se il padre non ama questi per il letto.
N: Andate a casa, o bambini, infatti sarà meglio. Tu tienili isolati il più possibile e non tenerli vicino alla madre sconvolta. Infatti l’ho già vista con lo sguardo feroce verso costoro, come se volesse fare qualcosa; e non porrà fine alla sua ira, io lo so per certo, prima di abbattersi su qualcuno. Oh se facesse qualcosa non alle persone care, ma ai nemici.