FILOSOFIA

IL "DOPO KANT"

SCHILLER (pag.503):

Schiller,filosofo fortemente influenzato da Kant e,in particolar modo,dalla Critica del Giudizio,partendo dal problema della felicità,individua,nell’uomo,due principali tendenze,la “sensibilità” e la “ragione” e sostiene che esse debbano essere armonizzate.
Si può quindi considerare anima bella quella che,tramite quella dote naturale chiamata “grazia”,spontaneamente,conciglia le due tendenze.
Tuttavia,se nella realizzazione di questa attività si dovessero trovare degli ostacoli,sarebbe necessario un provvisorio prevalere della componente razionale,perseguendo così la “dignità”.
Questa armonia da costituire si può ottenere soprattutto con il gioco,ovvero l’arte,in cui si sviluppa il libero gioco delle facoltà umane(finalismo senza scopo-massima libertà).
Quando parla di arte,Schiller considera,più che altro,la poesia nelle sue due forme,poesia ingenua e poesia sentimentale.
La prima,che trova il suo massimo apice nel mondo greco,ha funzione mimetica,di imitazione di una realtà concepita come unitaria e armonica(per Kant invece l’arte può essere solo originale,non un’imitazione).
La seconda,propria del mondo moderno,caratterizzato da scissione e disagio da parte dell’uomo,esprime un’attività superiore poiché il poeta,consapevole di questo conflitto,è in grado di coglierne l’armonia di fondo,trascendendo il proprio tempo(cfr.Kant:sentimento verso il sublime e giudizio riflettente).

HOLDELRIN (pag.505):

Holderlin,analogamente a Schiller,considera il mondo moderno come caratterizzato da conflitti e scissione e sottolinea la necessità di cogliere l’unità profonda del tutto,fine realizzabile attraverso l’esperienza della bellezza.
Il soggetto si trova quindi di fronte ad una totalità che non riesce a comprendere e,in un primo momento,prova un senso di inferiorità rispetto ad essa,ma,successivamente,supera il conflitto appunto con l’esperienza del bello(atteggiamento verso il sublime).
Questo processo si può dunque riassumere in tre punti:consapevolezza della scissione-sentimento-unità.

JACOBI:

Jacobi concentra il suo pensiero sul problema della conoscenza,che lui divide in “intellettiva” e “razionale”.
La prima rappresenta l’esperienza,la scienza ed è sempre una conoscenza condizionata,mentre la seconda indica una relazione con l’incondizionato(anima-mondo-Dio).
Secondo Jacobi,l’errore della filosofia tradizionale è quello di oggettivare,considerare come oggetto di esperienza anche l’incondizionato.
L’unico strumento,indicato dal filosofo,per cogliere l’incondizionato,è la fede,che è caratterizzata da passività,poiché si riconosce qualcosa che ci è dato,e da immediatezza.La fede è vista come un’esigenza del soggetto,che ha come primo pensiero l’incondizionato,quindi vi è una specie di conoscenza oggettiva.
            Jacobi si batte contro linee di pensiero come il panteismo,l’ateismo,il “razionalismo spinoziano”,che,secondo lui,riduce la realtà a semplice struttura geometrica,e contro il pensiero di Fiche.
Fiche viene infatti considerato come il “padre del nichilismo”,poiché,con la sua continua negazione dell’io e del non io afferma un’ininterrotta negazione dell’essere,negazione dell’autonomia in un processo che porta al nulla (*vedi Fichte).



FICHTE:



L’ESIGENZA UNIFICATRICE:

Fiche,dopo aver letto gli scritti di Kant e pur avendoli apprezzati,trova in essi un problema di fondo:intelletto e sensibilità sembrano essere due dimensioni eterogenee,in quanto la prima ha origine dall’ Io Penso e la seconda si riconduce alle sensazioni,derivanti dalla “cosa in sé”.Inoltre,passando alla Ragion Pratica,la concezione di “libertà” risulta essere un altro elemento scollegato.
Fiche ritiene dunque necessario dare unità sistematica al pensiero di Kant,riconducendo l’intera realtà ad un unico principio.

DAL DOGMATISMO ALL’IDEALISMO:

Secondo il criticismo kantiano,dinnanzi all’Io che pensa,c’è una cosa in sé che gli preesiste e quindi l’attività del pensiero risulta condizionata e limitata da essa.
Quest’ultima,nonostante venga ritenuta da Kant un elemento non conoscibile,un “concetto limite”(concetto che indica soltanto l’essere finito dell’esperienza)diventa tuttavia una cosa di cui si parla,viene considerata addirittura come una sostanza,in quanto causa delle sensazioni.
Fiche vuole quindi fare cadere questa nozione,considerata come un residuo di dogmatismo,riconducendo quindi l’intera realtà all’attività dell’Io Puro,introducendo così l’idealismo(filosofia che considera come unico principio quello dell’io che produce tutti gli oggetti di conoscenza).

“LA DOTTRINA DELLA SCIENZA” (pag.460):

La dottrina della Scienza si divide in tre parti:1-Principi,2-Conoscenza e 3-Morale.

1-I PRINCIPI:

 L’esperienza implica sempre il principio d’identità e il principio di non contraddizione; questi principi presuppongono un’attività del pensiero che,nel primo caso,riconosce che “A=A” e,nel secondo,che “A diverso da B”. Se questi due principi sono universali e necessari,allora anche l’Io lo è.
Dunque la capacità dell’Io di porre(principio d’identità) e opporre(p.di non contraddizione) è la condizione a priori dell’esperienza.
La produzione della realtà da parte del soggetto avviene attraverso un processo dialettico composto da tre momenti:

A.l’Io pone sé stesso  (auto posizione del soggetto)

B.l’Io oppone a sé un Non Io  (differenza tra soggetto pensante e oggetto pensato:apparente contraddizione)

C.l’Io oppone,in sé,ad un Io Divisibile,un Non Io Divisibile  (anche il non io è determinato dall’io)


Al termine del processo si arriva a capire che vi è un “orizzonte dell’Io”,dentro il quale l’io che si contrappone al non io e il non io che si contrappone all’io sono determinati,vi è propriamente una determinazione tra entità finite.

(Cfr.Plotino:l’Uno si pone,ma pone anche l’altro da sé)




2-CONOSCENZA:


Su questo processo appena illustrato si basa anche la conoscenza poiché,anche in merito ad essa,si ha a che fare con un’alterità tra soggetto e oggetto.Essa si sviluppa su tre livelli:
in un primo momento,il soggetto si “scontra” con l’oggetto e lo riconosce come altro da sé,
successivamente si verifica un’assimilazione totale dell’oggetto(per Kant ciò non sarebbe possibile) e infine si scopre che la conoscenza appena acquisita è una conoscenza condizionata,poiché ci sarà sempre un nuovo oggetto da conoscere,un nuovo Non Io.
Si capisce dunque che è sempre possibile scoprire l’armonia di un oggetto,ma anche che la ricerca conoscitiva è infinita,poiché l’Io è finito.

3-MORALE:

In merito alla questione etica,Fichte ritiene fondamentale il concetto di libertà poiché,secondo lui,è proprio questo il fine per il quale l’Io oppone a sé il Non Io in quanto,di fronte a questa opposizione,il soggetto,vincendo l’oggetto,ottiene maggiore autonomia e diventa quindi più libero.
Vi è poi,per il soggetto,un’esigenza di libertà assoluta che non è mai raggiungibile,poiché vi è sempre un processo continuo che fa sì che vi sia sempre un ostacolo(non io) da superare.

(La libertà è,in un certo senso,data fin da subito,ma nel momento in cui essa non si confronta e supera gli ostacoli è solo libertà in potenza.)




PENSIERO POLITICO:

Nei “Discorsi alla nazione tedesca”,Fichte,influenzato anche dal pensiero del tempo(periodo delle guerre napoleoniche), assume una posizione nazionalista,sostenendo la supremazia del popolo tedesco e idealizzando un sistema politico chiuso con forte identità nazionale.
Qualcuno lo vide addirittura come precursore del Nazismo,ipotesi improbabile.




SCHELLING
VITA
Schelling nacque vicino a Stoccarda nel 1775 da una famiglia molto colta. Studiò nel seminario teologico di Tubinga dove conobbe Hegel e Holderlin. Dopo la laurea in teologia, cominciò a occuparsi di filosofia.

IL PERIODO DELLA FILOSOFIA DELLA NATURA(1797-1800)  (pag. 513-514)
La speculazione attorno alla natura da parte di Schelling si fonda soprattutto sullo studio delle scienze più avanzate del periodo nel quale egli visse. La scienza mostra che la natura non è pura passività, non è puro meccanismo ma attività. Ciò che la scienza mostra è inoltre in linea con i principi filosofici: infatti, pensa Schelling, Fichte commette un grave errore nel ritenere che la natura (NON IO) sia pura passività. Il NON IO, infatti, in quanto prodotto dall’ IO, dovrebbe possedere le stesse attività che caratterizzano l’IO, ovvero le attività del porre e dell’opporre. Fichte non riconosce quella che è la componente attiva della natura e quindi la svaluta. Ecco perché si pensa a Schelling come il promotore di un idealismo oggettivo e non soggettivo come quello fichtiano: Schelling, infatti, rivaluta e recupera la dimensione oggettiva che sarebbe invece andata perduta con Fichte che la identificava con la pura passività, svalutandola.
La natura, secondo Schelling, può essere divisa in tre livelli, in ognuno dei quali si riconosce una polarità, un’interazione di forze:
- LIVELLO DELLA FISICA: ha come oggetto la realtà inorganica caratterizzata dall’opposizione di forze attrattive e repulsive (attraz. gravitazionale).
- LIVELLO DELLA CHIMICA: l’interazione tra gli elementi, dà vita a nuove sostanze, a una trasformazione di elementi precedenti. (elettricità, magnetismo, luce)
-LIVELLO DEGLI ORGANISMI: a questo livello comincia a esserci una prima forma di riflessione della natura su di sé, una forma quindi di autocoscienza che si sviluppa poi compiutamente nell’uomo. Negli organismi si coglie una polarità di forze, un’interazione tra attività ideale(superamento dell’opposizione e creazione di nuove condizioni di vita) e attività reale(legata alla limitazione). L’attività ideale, caratterizzata dal superamento della scissione, è un movimento  interno della natura, non prodotto da altro. Perciò nella natura è possibile parlare di finalismo. Diversamente da Kant, Schelling ritiene che il finalismo sia un qualcosa che ci mostra la stessa scienza, ritiene che sia un dato empirico non solo un’esigenza del soggetto come pensava Kant.
IDEALISMO TRASCENDENTALE (pag. da 514 a 516)
Problema: come, partendo dall’io, si giunge a fondare l’intera esperienza umana (attività teoretica, pratica ed estetica).
a)      Il punto di partenza è l’INTUIZIONE INTELLETTUALE che ha come oggetto l’autoporsi dell’IO, l’autocoscienza dello stesso, visto come sintesi di attività reale e ideale e non solo come pura soggettività, come invece pensava Fichte. L’intuizione intellettuale è comunque vuota, ideale, frutto di un’esigenza.
b)      Il secondo punto è l’ATTIVITA’ TEORETICA che si sviluppa attraverso gradi diversi:
      -intuizione sensibile
      -riflessione
      -volontà(l’IO pone sé e pone interamente il NON IO e vede nel NON IO la posizione di sé)
          
c)      La volontà permette il passaggio dall’attività teoretica all’ATTIVITA’ PRATICA suddivisa in:
      -diritto
      -morale 
      -storia= componente conscia: interazione delle singole libertà degli uomini
                 = componente inconscia: destino/provvidenza che attraverso le libertà dell’uomo        
                    realizza un progetto più ambizioso
La dimensione prevalentemente conscia della storia e quella prevalentemente inconscia della natura che non è integrata nella storia ma la limita dall’esterno, dà vita alla RIFLESSIONE ESTETICA. Nell’intuizione estetica cogliamo l’assoluto che è indifferenza (nel senso di non differenza), identità di soggetto e oggetto. L’estetica ci permette di passare dalla dimensione finita alla dimensione infinita.
FILOSOFIA DELL’IDENTITA’ (pag.529 testo nr.85)
Obiettivo: costruire in modo sistematico la realtà, partendo dal vertice, dal principio. Secondo Schiller, il principio, l’assoluto non è solo sostanza ma identità di soggetto e oggetto. La ragione, oltre ad essere la facoltà dell’incondizionato, è anche il nome dello stesso principio. Schelling ritorna alla verità del pensiero classico tradizionale, vuole una filosofia che si confronti con il problema dell’archè. La filosofia, per Schelling, deve guardare le cose dal punto di vista dell’assoluto che non è il punto di vista su ciò che appare ma comprende la totalità della realtà.
La ragione è la totalità e nulla sussiste al di fuori di questa: se c’è un principio primo, tutto ciò che si distingue da esso  non può che derivarvi.
Problema: che rapporto c’è la la ragione e la dimensione del finito? Due sono le ipotesi a riguardo:
1.      ESSERE-APPARIRE à Ciò che esiste davvero è l assoluto; il fenomeno è il manifestarsi parziale dell’assoluto.
2.      CADUTA-DISTACCO à C’è una caduta, una colpa per cui le cose finite si separano dall’assoluto. Le cose finite non sono però indipendenti dall’assoluto: c’è si un distacco ma sempre ricompreso nell’ambito dell’assoluto stesso.


HEGEL


1.      SCRITTI GIOVANILI (FASE PRE-FENOMENOLOGIA): (pag.da 535 a 540)
·         Lo spirito del cristianesimo e il suo destino
Tratta della natura profonda del cristianesimo e il suo ruolo nella storia. Abbozza la sua concezione dialettica applicata alla dimensione storica. Il cristianesimo è nato dall’ebraismo. Il mondo ebraico è caratterizzato da opposizione e scissione in tutti i suoi ambiti:
-rapporto uomo-dio
-natura-uomo
-popolo ebraico-altri popoli
-impulso-legge (la legge si impone dall’esterno)
Il mondo greco è invece caratterizzato da armonia, ingenua (originaria) armonia.
Il cristianesimo permette il superamento della scissione del mondo ebraico riproponendo l’armonia del mondo greco ma a un livello più alto, a un livello riflesso: c’è infatti la consapevolezza della scissione e il superamento di questa. Il nucleo del cristianesimo è infatti il concetto di amore, processo nel quale, gli individui stabiliscono un’unità ma con il riconoscimento e non l’annullamento delle differenze.
E’ qui presente lo schema dialettico hegeliano:
 mondo greco: TESI
 mondo ebraico: ANTITESI
 cristianesimo: SINTESI che necessita però della scissione
·         La differenza tra il sistema Fichtiano e il sistema Schellinghiano
Per comprendere la filosofia di Fichte e Schelling è necessario partire da Kant.
Kant: introduce la nozione di principio della filosofia che lui vede nell’io penso. L’io penso pone se stesso e pone l’esperienza. Questo principio però, colto a livello ideale, non riesce a dar conto fino in fondo della dimensione oggettiva che viene spiegata introducendo la sensibilità e quindi la realtà in sé.(cfr: residui di dogmatismo di cui parlava Fichte). Kant ha ancora una visione dualistica.
Fichte: supera il dualismo e riconduce tutto all’io puro ma, l’identità di soggetto e oggetto è solamente ideale.
Schelling: nell’assoluto c’è identità di soggetto e oggetto. L’assoluto non è ideale ma reale.
Hegel: se le prospettive di Kant e Fichte rimangono legate all’intelletto (=facoltà della scissione e dell’opposizione), Schelling assolutizza la ragione senza riflette sulla connessione necessaria intelletto-ragione. Secondo Hegel, infatti,.l’intelletto non è estraneo alla ragione, è una sua componente interna. La ragione, per realizzarsi necessita dell’intelletto. La Rgione è il superamento dell’intelletto.


2.      FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO(=percorso della coscienza dai gradi più bassi di conoscenza fino al sapere assoluto. (da pag. 540 a 545)
·         Prefazione
-La filosofia hegeliana è un sistema, una struttura organica in cui ogni parte è in relazione alle altre e in cui, per comprendere una parte bisogna aver presente il tutto. Quindi, nella prefazione, Hegel non vuole dimostrare la validità del suo punto di vista, cosa che  si avrà solo alla fine, una volta arrivati all’assoluto che comprende, al suo interno, tutti i passaggi precedenti.
-Il vero non è solo sostanza(realtà in sé e per sé) ma è anche soggetto che si realizza attraverso un processo dialettico e proprio per questo è reale.
-L’assoluto e quindi tutta la realtà è caratterizzata da un processo dialettico
-Il vero è l’intero: bisogna considerare le cose dal punto di vista della totalità.
-All’inizio abbiamo un’idea indeterminata dell’assoluto che noi possiamo avere per intuizione immediata. Poi, dopo il passaggio attraverso la mediazione, ovvero il dispiegarsi delle perfezioni che sono tra loro in opposizione, si arriva al terzo ed ultimo momento, quello dell’intuizione razionale.
Cfr.con Aristotele: Hegel gioca su 3 piani (in sé, per sé, in sé e per sé) mentre Arist. Parla solo di in sé e per sé.
·         Coscienza (l’attenzione è concentrata sull’oggetto che appare indipendente, appare altro.)
Sensazione: ha una pretesa illusoria, ovvero quella di essere caratterizzata solo dalla particolarità. La sensazione è la consocenza che un questi particolare ha di un questo particolare che si da nello spazio e nel tempo. Spazio e tempo sono però due dimensioni universali. Dunque, la sensazione, per essere pensata, deve essere necessariamente connessa alla dimensione universale (spazio/tempo).  La sensazione deve presupporre infatti la percezione.
Percezione: riferiamo molteplici caratteristiche generali a ciò che è dato qui ed ora. Contraddizione: come può essere una cosa una e molteplice allo stesso tempo? Si esce dalla contraddizione attraverso l’intelletto.
Intelletto: distinzione del livello dell’apparire(molteplicità) e del noumeno (unità). Con la separazione dei piani si esce dalla precedente contraddizione.
·         Autocoscienza
Vita: Il rapporto che c’è tra fenomeno e noumeno è il rapporto che c’è tra un centro di forza (noumeno) e gli effetti di questa forza (effetti). Questa forza che produce effetti è la vita. A questo punto l’autocoscienza è solo in potenza. Con la dialettica servo padrone l’autocoscienza comincia a svilupparsi.
Dialettica servo-padrone: l’io empirico (servo) guarda all’io puro (padrone) come a un modello.  L’io empirico attraverso il lavoro, immette la propria natura negli oggetti che forma. Questa sua propria natura interiore è il confronto con la morte, con la negazione assoluta. L’autocoscienza diventa quindi reale, si costituisce come consapevole e indipendente in seguito a un processo, come del resto diceva Aristotele. Se prima, a partire dalla vita, la coscienza comincia a prendere consapevolezza di sé come autonoma, ma a questo livello l’autocoscienza è ancora astratta, è solo autocoscienza signorile che la ha certezza di essere per sé ma in realtà, solo successivamente emerge la vera autocoscienza, quella servile, che si sviluppa attraverso il lavoro.
Stoicismo: gli stoici considerano assolutamente priva di valore la dimensione dell’esteriorità. A questo livello si riconosce una parità di rapporto tra io empirico e io puro anche se non si è ancora costituita la vera autocoscienza che si realizzerà solo quando l’io empirico si eleva completamente all’io puro, nella ragione.
Scetticismo: gli scettici non si limitano a considerare priva di valore l’esteriorità, ciò che è altro dal soggetto (fenomeno), ma addirittura lo negano. La coscienza scettica è caratterizzata da contraddizione. Essa è permanente in quanto negante (continua a negare i fenomeni) e non permanente in quanto dileguante (i fenomeni che vengono negati sono infatti parte della coscienza stessa). Si esce dalla contraddizione grazie alla
Coscienza infelice: la coscienza scettica proietta al di fuori di sé la dimensione permanente, tenendo per sé la pura precarietà, la dimensione quindi del divenire. L’obiettivo ora è la riunificazione con quella che ora è la dimensione esterna e trascendente. I mezzi per la riunificazione sono:
-devozione (preghiera e interiorità) à Non basta
-opere (dimensione oggettiva) à Non basta
-ascesi: liberazione da ogni molteplicità e scoperta di Dio(=dimensione permanente, ora trascendente della coscienza scettica) dentro di sé. A questo punto si passa alla ragione ovvero la consapevolezza della coscienza di essere ogni realtà.
·         Ragione
La ragione, a questo punto, cerca di “impossessarsi” della realtà. Si parla quindi di ragione osservativa per indicare la ragione che si limita a osservare la realtà per trovare in essa la legge che la regoli. L’osservazione però non basta: è necessario il piano dell’agire:
-agire faustiano: individuo che si vuole realizzare come singolo
-ragioni del cuore: il singolo sente una spinta alla realizzazione del bene comune
- eticità: dimensione morale che si realizza nell’azione comunitaria. Il singolo a questo livello opera volontariamente per realizzare un fine universale. Per Hegel l’eticità è la moralità concreta, storicamente realizzata. Il suo ragionamento è quindi diverso da quello di Kant per cui la moralità riguarda solo l’ambito interiore; c’è infatti una sproporzione, secondo kant, tra bene morale/intenzione e agire concreto.
A questo punto la ragione oggettivata nella vita concreta dei popoli diventa:
Spirito (=sviluppo dell’eticità). Tale sviluppo viene osservato nella storia e segue un processo dialettico:
1.      Greciaà livello dell’unità ma inizio della scissione nell’ambito della tragedia (legge famiglia VS legge stato)
2.      Romaà il diritto si impone dall’esterno. (livello della scissione)
3.      Cultura che si manifesta nell’Illuminismo e nella rivoluzione franceseà prevale il  livello della scissione (intelletto) e da’ valore alla riflessione rifiutando tutto ciò che è immediato, come la fede.
4.      Romanticismoà a questo punto, grazie alla riscoperta del valore della religione si ricostituisce l’unità che ricomprende al suo interno il momento della scissione: la rivoluzione francese è quindi un momento necessario per il raggiungimento dell’unità. Grazie a un recupero di alcuni elementi della fase precedente e a un avanzamento rispetto al passato, la ragione diventa:
·         SAPERE ASSOLUTOàha una portata storica. Arrivati a questo punto possiamo guardare tutto dal punto di vista della totalità e costruire il sistema.

3.      SISTEMA (da pag.545 a pag.560)
Ha come oggetto l’Idea o ragione assoluta e si articola in 3 parti.
·         LogicaHa come oggetto l’idea in sé, l’idea nella forma del puro pensiero: si occupa delle strutture razionali e formali della realtà, ha quindi una portata metafisica, a differenza della logica aristotelica che si occupa solo delle strutture astratte del nostro pensare e della logica kantiana in cui ci occupa delle strutture universali e necessarie non della realtà ma della conoscenza umana.
Nella storia l’oggettività ( natura in sé) è stata concepita in modi differenti:
-metafisica tradizionale (Leibniz e Cartesio): l’oggetto è in sé e per sé e quindi trascendente. Aspetto positivo per Hegel: questi pensatori hanno riconosciuto la capacità assoluta della conoscenza umana; aspetto negativo: si sono fermati all’intelletto (facoltà della scissione non applicabile all’indeterminato).
-empirismo (Hume e Kant): aspetto positivo: hanno sottolineato i limiti della metafisica tradizionale (con l’intelletto non possiamo conoscere l’incondizionato); aspetto negativo: posizione soggettivistica e non riconoscono la capacità dell’uomo di conoscere l’assoluto.
-intuizionismo (Shelling e Jacobi): aspetto positivo: introducono l’intuizione razionale attraverso la quale l’uomo può cogliere l’incondizionato. Aspetto negativo: arrivano all’incondizionato in modo immediato senza il processo dialettico, eliminando l’intelletto.
-posizione dialettica di Hegel: la ragione ricomprende al suo interno le scissioni dell’intelletto.
Hegel vuole ricavare tutte le categorie della logica e giustificarle:
§  ESSERE
E’ la categoria più generale, non presuppone nulla, è priva di determinazioni ed è l’orizzonte onnicomprensivo. Dal momento che è priva di determinzaioni, può essere vista come un niente (non ente, non essere.). Come può una cosa  essere e non essere allo stesso tempo tempo? Per risolvere la contraddizione si introduce la categorie del divenire. Questo non può che essere pensato in relazione a un ente ed è il processo di un orizzonte dinamico. L’ente deve essere pensato in per forza in relazione a un altro ente: la relazione tra i finiti (enti) ci rimanda alla categoria di infinito che è la totalità organica dei finiti. L’essere si divide in quantità, qualità e misura. Quest’ultima è la sintesi tra qualità e quantità poiché essa si riferisce a una qualità corporea che subisce una variazione  e viene misurata con elementi quantitativi (matematica).  Riflettendo sulla categoria di misura avviene il passaggio da essere ad essenza: la misura permette infatti di ricondursi ad una dimensione profonda della realtà in relazione alla variazione di caratteristiche superficiali.
§  ESSENZA
E’ la riflessione dell’essere su se stesso, è la dimensione della profondità. Questa dimensione di per sé non esiste e si manifesta per sua natura nel fenomeno. Quindi, a differenza di Kant, per cui il fenomeno è ciò che appare al soggetto, Hegel ritiene che il fenomeno sia sempre fenomeno del noumeno, ovvero manifestazione della realtà in sé.  La sintesi tra essenza e fenomeno è la realtà effettuale, ovvero ciò che esiste concretamente.
Ogni realtà non può che essere sottoposta alla categoria di identità che per Hegel non è immediata ma è frutto di un processo dialettico: prima di dire che una cosa è uguale a sé stessa, devo infatti distinguerla da sé e poi superare tale distinzione. La categoria di identità rimanda dunque alle differenze: la differenza si specifica poi come contraddizione: gli elementi si oppongono tra loro ma si implicano. Ma non è la realtà ad essere contraddittoria; infatti la contraddizione è solo un momento interno allo sviluppo dell’identità. La contraddizione è superata grazie al fondamento, sintesi di identità e contraddizione: quando c’è un rapporto di opposizione-implicazione tra i contrari non possiamo non pensare all’elemento comune che li fonda.
Il momento conclusivo della logica che tratta dell’essenza sono le categorie di relazione kantiana:
sostanza, causa e azione reciproca. Quest’ultima categoria analizza il rapporto causale a cui si rinvia necessariamente partendo dalla nozione di causa: c’è infatti un’azione di forza tra causa ed effetto che produce una reazione inversa che determina quindi un condizionamento reciproco delle parti. Questo condizionamento reciproco caratterizza la struttura del concetto. Il concetto è una struttura organica in cui ogni parte è in relazione a tutte le altre. Hegel considera il concetto da diversi punti di vista:
-concetto soggettivo (=logica formale aristotelica) caratterizzato a sua volta da una struttura dialettica: concetto (posizione), giudizio (relazione tra concetti), sillogismo (sintesi).
-concetto oggettivo: meccanismo (posizione) chimismo e teleologia.
-assoluto/idea: è vertice del concetto ed è vita, verità e bene assoluti.
·         Filosofia della natura
Ha come oggetto l’idea per sé o fuori si sé ovvero la natura. La scienza della natura non si limita a guardare la realtà dal punto di vista della fisico matematica che pretendeva di essere la filosofia della natura. La fisico-matematica è valida ma ci da’ una prospettiva parziale della natura; è caratterizzata infatti dalla facoltà dell’intelletto (facoltà della scissione) e parte da una serie di presupposti ingiustificati: che esista una natura, che questa possa essere conosciuta dal soggetto, che abbia una struttura quantitativa e che questa possa essere compresa dalla matematica.
I romantici criticano l’oggettivismo dei fisico-matematici: individuano infatti la divinità nella natura. Hegel invece rietiene la natura la più bassa manifestazione dell’assoluto perché non c’è a questo livello unità organica ma molteplicità.
I diversi gradi di manifestazione della natura sono: meccanica (massima esteriorizzazione), fisica e teleologia (organica). La teleologia è espressione della massima integrazione delle parti che si realizza nell’organismo animale in cui le parti estrinseche sono unite in un’unità organica. Nell’uomo la natura riflette su di sé da’ vita all’autocoscienza, passaggio necessario per arrivare allo spirito.
·         Spirito
Lo spirito rappresenta l’idea che è ritornata a sé e ha quindi come oggetto l’idea in sé e per sé. Lo spirito è la libertà che si manifesta a livelli diversi. Anche questo è determinato da una struttura dialettica:
§  Spirito soggettivoà è il costituirsi della libertà individuale. Si parte dall’antropologia in cui la vita porta la natura a riflettere su di sé e a scoprire l’anima (=principio attivo). Poi si passa alla fenomenologia (=alla fenomenologia dello spirito fino alla ragione anche se con ottica diversa: nel sistema si analizza tutto dal punto di vista della totalità). L’ultima fase del  processo è la psicologia, sintesi di teoria e pratica, ossia l’attuarsi della libertà (=capacità di conoscere il tutto e agire in forza del bene). La proiezione sul piano della natura dell’agire libero dei soggetti è lo
§  Spirito oggettivoàsi divide in:
-diritto astratto: insieme di norme che regolano la convivenza dei soggetti. E’ legato alla dimensione dell’esteriorità: la persona non è infatti il singolo nella sua specificità ma è è un soggetto uguale a tanti altri in quanto soggetto giuridico.  Il diritto astratto si articola in tre parti che sono la proprietà, il contratto, la violazione dello stesso e la pena che porta il singolo a riflettere sulle proprie azioni offrendogli la possibilità di reintegrarsi nella società. Si passa quindi alla dimensione dell’interiorità, dell’intenzione e quindi della moralità.
-moralità: = etica di Kant perché guarda all’intenzione del soggetto e non a ciò che deve fare concretamente.
-eticità: è la moralità concreta, è la concretezza della norma vissuta da un popolo. E’ caratterizzata anch’essa da uno sviluppo dialettico che parte dalla famiglia, che ha  alla base il bisogno naturale (unione sessuale), ma anche una componente spirituale: consapevolezza e volontà di seguire una norma compiendo dei doveri precisi. Il rapporto tra individui riuniti nei singoli gruppi familiari da’ origine alla società civile in cui ciascun gruppo, per soddisfare il bisogno della sopravvivenza, realizza uno scambio economico. Ciascuno, perseguendo il proprio bene, inconsapevolmente agisce per il bene comune anche se comunque l’obiettivo primo è il soddisfacimento dei beni particolari. Quando il singolo e i gruppi hanno come obiettivo primo il perseguimento dell’interesse generale, si realizza la dimensione dello stato.

Quando Hegel parla della costituzione interna per lui ideale dello stato si riferisce alla monarchia costituzionale che per altro, di li a poco, sarebbe diventata la costituzione della Prussia in cui appunto viveva Hegel. Il potere legislativo è diviso tra la il ceto agrario (conservatore) e il ceto industriale-commerciale, il potere governativo spetta ai funzionari di stato che analizzano le proposte di legge delle due camere,  mentre il sovrano prende la decisione finale, sintetizzando il contributo di tutti.
Lo stato è il vertice dell’eticità per questo ogni stato appare a se stesso come la totalità etica assoluta  la quale non riconosce alcun superiore di sé. Di qui l’impossibilità di un diritto internazionale che  abbia un fondamento etico come quello kantiano. Il diritto internazionale si riduce ai trattati che gli stati stipulano tra loro ed il cui rispetto dipende solo dalla loro volontà di riconoscerli. Gli stati quindi non hanno altro strumento per risolvere i loro problemi se non la guerra. Hegel ritiene che i rapporti tra i popoli corrispondano alla storia nella cui dimensione spazio temporale si manifesta lo spirito universale sotto forma di spirito del mondo. Quest’ultimo si manifesta in un particolare popolo o personalità che quindi acquisterà una posizione di predominio su tutti gli altri finchè non verrà realizzato un progresso tale da far si che lo spirito del mondo vada a manifestarsi in un altro popolo o personalità.
§  Spirito Assoluto à è l’identità di soggetto e oggetto, è l’autocoscienza dell’Assoluto, il momento in cui l’incondizionato è sia soggetto sia oggetto di conoscenza. L’autocoscienza dell’Assoluto avviene attraverso tre modi diversi:
-Arte: è l’autocoscienza dell’assoluto attraverso l’intuizione. E’ caratterizzata da forma (aspetto esteriore sensibilmente percepibile) e contenuto (l’assoluto).  Se nell’arte orientale il contenuto è ancora “nebuloso” e quindi c’è un forte squilibrio forma-contenuto, tale squilibrio viene risolto con l’arte greca dove c’è una perfetta compenetrazione forma-contenuto (il divino si esprime nella forma umana attraverso per esempio la scultura). Nel romanticismo viene ricreato ancora lo squilibrio e da parte dell’artista c’è una continua insoddisfazione dal momento che il contenuto viene riconosciuto come così ricco da non poter essere espresso concretamente. Si è consapevoli che l’arte non può essere la massima manifestazione dell assoluto.
-Religione: è l’autocoscienza dell’assoluto attraverso la rappresentazione. La religione spiritualizza il contenuto, i suoi dogmi hanno valore speculativo ma il contenuto stesso viene rappresentato attraverso immagini sensibili (padre-figlio-spirito santo). La religione riconosce la struttura dialettica dell’assoluto ma non la spiega razionalmente, la riconosce solo come fede o mistero.
-Filosofia: è l’autocoscienza dell’assoluto attraverso il concetto. La filosofia ci fa riconoscere il valore speculativo della religione e spiega razionalmente lo sviluppo dell’assoluto attraverso un processo dialettico.  La filosofia, ovvero lo studio delle categorie, di tutte le strutture del sistema presenti eternamente corrisponde alla storia della filosofia nella quale invece si indaga la manifestazione in successione, nella storia, delle categorie, della verità. Ogni filosofia quindi esprime la verità anche se con un grado di determinazione sempre maggiore; la verità raggiunge il suo apice con la filosofia hegeliana.


IL “DOPO HEGEL”:






DESTRA E SINISTRA HEGELIANE (pag.61-62):

Dopo la morte di Hegel,coloro che avevano apprezzato maggiormente la sua filosofia si divisero principalmente in due schieramenti contrapposti,conosciuti come destra(o vecchi hegeliani,più vicini alle posizioni di Hegel) e sinistra(i giovani) hegeliane.
I due gruppi si trovano discordi su diverse importanti tematiche.
Per quanto riguarda la dialettica,per la destra essa va intesa come interpretazione della razionalità del reale:la filosofia interpreta le leggi reali e le giustifica(come la nottola,che spicca il volo alla sera,quando tutto è compiuto).
Per la sinistra invece,ogni sintesi dialettica è in realtà tesi di un processo successivo e in base a questo processo si ritiene che la razionalità non trovi ancora piena realizzazione nelle istituzioni politiche e religiose esistenti(funzione critico-rivoluzionaria della dialettica).
Diverse sono anche le riflessioni sullo stato prussiano dell'epoca,ritenuto dalla destra il prodotto più alto della storia,mentre dalla sinistra,un sistema che deve essere necessariamente abbattuto e sostituito da uno migliore.
Infine,in merito alla religione,i vecchi la ritengono perfettamente concigliabile con la filosofia (si parla soprattutto della religione cristiana) e insistono sul contenuto di verità che essa trasmette,anche se la forma in cui tale verità è espressa non è pienamente adeguata.I giovani invece ritengono che la rappresentazione religiosa,proprio per la sua inadeguatezza,debba essere completamente abbandonata e sostituita dalla filosofia.

FEUERBACH (da pag.63 a pag.65):

Ludwig Feuerbach,collocabile ideologicamente tra gli hegeliani di sinistra,espone il suo pensiero incentrandolo principalmente sulla questione religiosa.
La religione,che egli vede semplicemente come oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell’uomo e quindi senza alcun fondamento di verità,è però la prima forma di autocoscienza umana(l’uomo,credendo di conoscere Dio,conosce sé stesso) e quindi positiva in quanto momento di passaggio,ma,se essa non viene superata,diventa alienazione.
Da questo punto di vista dunque è l’uomo che fa Dio a propria immagine e somiglianza e non viceversa e i predicati che vengono attribuiti al divino devono essere riscoperti come possibilità e prerogative della stessa essenza umana!
Così il fondamento dell’esperienza risulta essere appunto l’uomo,inteso però in termini concreti,come attività sensibile; senza la dimensione corporea e sensibile non ci può essere il pensiero,che è semplicemente una proprietà,un accidente dell’attività umana.
            La storia,di conseguenza,è proprio la storia dello sviluppo individuale dell’uomo,dalla fase teologica all’antropologia:

1.      PENSIERO ANTICO: vi è il primato della cosa in sé,l’uomo si affida alla teologia(metafisica tradizionale)
2.      PENSIERO MODERNO:vi è un riferimento gnoseologico,il cogito,l’uomo visto in modo astratto,come pensiero,come io trascendentale.
3.      ANTROPOCENTRISMO:è l’ultima tappa:l’uomo inteso in termini concreti,l’uomo come attività sensibile.


L’uomo è caratterizzato però da una contraddizione interna tra il desiderio di infinito e la concretezza della realtà,che appare nella sua finitezza.
Per questo motivo,come detto in precedenza,l’uomo,con i principi religiosi,cerca di colmare questo squilibrio,attraverso la preghiera e le opere,ma ciò non basta.
La religione assume quindi i tratti di una semplice forma di conoscenza,poiché con essa l’uomo conosce sé stesso,ma il raggiungimento della felicità è un compito che spetta alla filosofia,che diventa quindi antropologia,in quanto essa permette di fare comprendere l’origine umana della religione e di spronare l’uomo a operare nella comunità secondo i valori dell’amore e della solidarietà sociale.  (l’uomo esce da sé e poi ritorna a sé!)


_ categoria dell’essere(secondo Feuerbach):
la categoria dell’essere è la più povera,in quanto implicita in tutte le altre;se tutte le categorie,tutti i predicati(libertà,causa ecc..) sono umani,anche la categoria più povera deve essere prettamente umana.

STIRNER:

Max Stirner propone una filosofia del tutto alternativa rispetto ai suoi contemporanei e predecessori.
Egli sostiene che l’individuo,inteso come singolo essere umano al di fuori di qualsiasi comunità,sia l’unico fine e che tutto il resto sia semplice mezzo,poiché non esiste alcun valore assoluto che possa costituire il fondamento della vita umana.
Dunque,secondo questa radicale prospettiva,ciò che conviene al singolo è servirsi dell’esterno e degli altri individui solo per affermarsi individualmente,senza riconoscere alcun tipo di ideale o regola se non funzionale ad accrescere la propria potenza.
Stirner inneggia quindi all’anarchia,negando ogni tipo di stato o di forma di governo.




Linea scientifica che guarda non al Marx filosofo ma al Marx scienziato, al Marx del materialismo storico. La tesi di fondo è la seguente: il materialismo storico di Marx è non solo un modo di interpretare la storia, ma è il modo di funzionare della natura stessa. Condivide questa linea interpretativa:
Althusser(pag.461)
Althusser guarda al Marx che sa evidenziare la molteplicità dei fattori storici che caratterizzano la società, occupandosi quindi della struttura oggettiva della realtà. Il filosofo individua nella realtà stessa diverse contraddizioni. La contraddizione principale tende ad influenzare tutte le altre che a loro volta no sono puramente passive ma svolgono un ruolo attivo; posso quindi influenzare la orassi e incidere su questa. Per questo motivo si è soliti affermare che Althusser riconosce la produzione causale della dimensione sovrastrutturale che non è più sola passività.

Linea filosofica che guarda appunto al Marx filosofo, teeorico della prassi. In questo ambito si collocano due autori:
Gramsci(pag 288) e Lucac(pag 403).
Gramsci innanzitutto sottolinea l’importanza della prassi rivoluzionaria che cambia radicalmente la società. Egli da’ un’interpretazione positiva della rivoluzione bolscevica in quanto i rivoluzionari realizzano proprio la prassi rivoluzionaria: essi, nonostante non siano veri e propri marxisti in quanto ne violano alcune teorie, si concentrano sulla rivoluzione. Il filosofo inoltre assimila il marxismo allo storicismo sottolineando che il marxismo è una forma di filosofia che annulla ogni forma di trascendenza religiosa o metafisica. Concludendo, Gramsci evidenzia lo stretto legame storia filosofia, sostenendo di conseguenza che sia impossibile trovare una filosofia universale: anche il marxismo, quando non saremo più in una società comunista, sarà destinato ad essere superato.
Lucac tende invece a contrapporre il metodo dialettico, cui appartiene il marxismo, alla scienza moderna. Il primo non è settoriale ma ha prospettiva globale, coinvolge soggetto e oggetto e non ha scopo contemplativo-conoscitivo ma rivoluzionario. La scienza moderna ha invece una prospettiva settoriale, intellettualistica ed ha una funzione contemplativa occupandosi solo dei fatti come entità isolate. Lucac tende inoltre a sottolineare l’importanza di una presa di coscienza da parte del proletariato per la realizzazione di una società comunista vera e propria. Anche per lui quindi, la sovrastruttura (ideologia), ha un ruolo attivo. 

MARX:

(da pag.68 a 82)



La filosofia di Marx si concentra su quello che lui stesso chiama materialismo storico. Marx critica infatti Feuerbach che aveva sì giustamente ripreso la dialettica hegeliana ma senza applicarla dal piano della coscienza religiosa al piano della dimensione sensibile e concreta dell’uomo, nonostante avesse ribaltato la posizione hegeliana ponendo a fondamento della sua filosofia la dimensione concreta sensibile dell’uomo; Feuerbach, secondo Marx, descrive l’emancipazione solo ed esclusivamente a livello speculativo senza presentare invece la vera emancipazione ovvero quella che deve avvenire sul piano della prassi, dell’agire concreto. Per questo la filosofia di Feuerbach può essere considerata solo come critica, poiché si limita a rimanere nell’ambito della coscienza religiosa, non considerando che il piano della coscienza è solo un semplice aspetto della realtà umana più complessa della quale a Marx interessa la componente sensibile e concreta. Feuerbach svolge quindi una funzione conservatrice, concentrandosi solo sulla critica teoretica. La vera filosofia invece, secondo Marx, deve essere rivoluzione, deve arrivare all’emancipazione sul piano della prassi. Marx sembra “correggere” Feuerbach con Hegel che invece aveva già studiato la prassi nella dialettica servo-padrone. Marx rimprovera inoltre a Feuerbach il fatto di non riflettere adeguatamente sul fondamento dell’alienazione religiosa: secondo Marx infatti, l’alienazione religiosa ha alla base un’alienazione più profonda che è quella sul piano della prassi. Se si vuole arrivare all’emancipazione dell’uomo bisogna fare una rivoluzione sul piano sociale: solo a questo punto non ci sarà più bisogno della religione che non è altro che uno strumento consolatorio a cui l ‘uomo ricorre perché è alienato a livello della prassi. Un’altra grande differenza tra Feuerbach e Marx riguarda la staticità o no della natura umana. Se per Feuerbach la natura umana è statica, ovvero non può cambiare, secondo Marx, essendo l’uomo autoproduzione e quindi producendo questo la sua stessa essenza, qualora società (essenza dell’uomo) dovesse modificarsi, anche l’essenza dell’uomo muterebbe. E’ la stessa attività dell’uomo però che produce il cambiamento.

Secondo Marx, la prassi non è altro che l’essenza generica, sociale dell’uomo: riguarda dunque i soggetti che interagiscono tra di loro e con la natura. La prassi si esprime a livelli diversi: dalla creazione dei mezzi di sussistenza, alla produzione artistico-culturale, alla creazione di istituzioni o di sistemi economici. Nel sistema di tipo capitalistico però l’uomo, quanto più produce attraverso il lavoro, tanto più si impoverisce, dal momento che viene privato dell’oggetto del proprio lavoro. Questo prende il nome di alienazione. Il significato dei termini alienazione e oggettivazione è analogo al significato che ne dava Feuerbach: l’oggettivazione è l’immissione della propria essenza attraverso il lavoro nell’oggetto del proprio lavoro; l’alienazione è il mancato appropriarsi dell’oggetto del proprio lavoro in quanto questo viene sottratto e quindi l’essere privati della propria essenza. Nel documento a pagina 91 del volume 3 Marx afferma che nella società capitalista l’alienazione avviene su 4 livelli:
- l’uomo viene privato dell’oggetto del proprio lavoro
- e quindi anche della stessa attività lavorativa: il lavoro diventa quindi costrittivo e unilaterare(=specializzazione in un solo settore) e si assiste allo sconvolgimento del rapporto mezzo-fine. Il lavoro infatti invece di essere il fine diventa solo un mezzo con il quale soddisfare le inclinazioni bestiali dell’uomo (nutrizione e riproduzione) che potrebbero essere considerate non solo bestiali ma anche umane solo qualora fossero solo un mezzo.
-Dal momento che l’attività lavorativa libera e cosciente dell’uomo definisce la sua essenza generica, l’uomo viene privato anche di quest’ultima e considera il lavoro
mezzo per soddisfare i propri interessi individuali.
-Il lavoro alienato quindi estranea l’uomo dagli altri uomini spezzando il suo legame organico con tutti i membri del genere umano, sia con i capitalisti ma anche con gli altri operai con i quali si stabiliscono dei rapporti di concorrenza e competizione.
Il materialismo storico di Marx, in base al grado di divisione del lavoro, individua diverse forme di proprietà:
-proprietà tribale: è caratterizzata da attività quali la pastorizia, la caccia e la pesca e non prevede nessuna forma di proprietà privata
-proprietà della comunità antica: gli schiavi cominciano ad essere utilizzati come forza lavoro e cominciano a nascere le prime forme di capitale
-proprietà feudale: predomina l agricoltura e si genera il capitale
-proprietà capitalistica: predomina l’industria.
Marx prevede un netta divisione tra la struttura e la sovrastruttura. La prima determina la seconda. La struttura è la trasformazione dialettica della prassi e la cui modifica è dovuta al conflitto tra rapporti di produzione e forze produttive. (esempio: il capitalismo emerge nella società feudale cambiandola completamente ma anche il capitalismo stesso non è l’ultimo livello di sviluppo della prassi: questo sarà superato dal comunismo.)
La sovrastruttura o coscienza dipende invece dalla struttura ed è quindi l’insieme dei caratteri ideologici di un popolo: arte, cultura, sistema filosofico o politico, ecc. Secondo Marx l’ideologia da’ solamente l’impressione di essere autonoma; in realtà non è altro che un prodotto della struttura e quindi il riflesso della classe dominante; perciò il considerare l’ideologia o sovrastruttura come autonoma è negativo: in questo modo si fornisce infatti una visione distorta della realtà, tendendo inoltre a giustificare la azioni della classe dominante.
Un altro aspetto di cui Marx si occupa nel suo testo “Critica all’ideologia tedesca” è il seguente: considerare l’ideologia come autonoma rispetto alla struttura significa escludere la possibilità che la filosofia possa essere intesa come rivoluzionaria, come un mezzo per cambiare la prassi. Per questo la critica agli hegeliani di sinistra è sempre molto forte: la loro posizione conservatrice non è accettata la Marx.
Marx è portato a criticare anche il metodo utilizzato dagli economisti classici (Smith e Ricardo) in quanto lo considera metodo intellettualistico: così come l’intelletto oppone soggetto e oggetto e tende ad assolutizzare l’universale, essi tendono ad assolutizzare alcune nozioni astraendole dal processo storico in cui sono inscritte; per esempio il concetto di capitalismo, proprietà private o le stesse leggi che stanno alla base del capitalismo, considerato, tra l’altro, parte della natura umana. Il loro è un metodo ideologico dice Marx, e non dialettico: considerano il capitalismo sempre valido e non come una fase di un processo dialettico, destinata appunto ad essere superata. Il metodo di Marx prevede invece il partire da fatti concreti dai quali successivamente si ricavano concetti astratti e che poi devono essere inseriti all’interno del processo storico senza essere assolutizzati. Quest’ultimo punto era quello che mancava al metodo degli economisti classici.

IL CAPITALE (pag. 78)

Il capitale è uno dei testi più importanti di Marx nel quale egli analizza la struttura del capitalismo senza però astrarlo dal processo storico ma considerando gli sviluppi della prassi nelle società passate e anche gli sviluppi successivi della prassi(=superamento capitalismo e avvento del comunismo).
Marx si preoccupa ne Capitale di dare una definizione al valore che le merci hanno e che si manifesta attraverso il loro prezzo. Ci sono due tipi di valore:
-valore d’uso: è il valore delle merci definito in base ai bisogni che queste soddisfano. In base a questo criterio le merci, le quali ovviamente soddisfano bisogni diversi, sono considerate diverse tra loro;
-valore di scambio: è il valore delle merci definito in base al lavoro socialmente necessario per realizzarlo. L’identità consiste nel lavoro incorporato nelle merci. Inoltre, secondo Marx, lavoro e merce sono inscindibili: se fossero divisi, la merce diventerebbe allora un feticcio, proprio come in quelle religioni nelle quali la divinità è creata dall’uomo che la considera poi un’entità in sé e per sé. Non è quindi corretto considerare la merce come se avesse un valore di per sé.
La differenza principale tra i sistemi pre-capitalistici e la società capitalista sta nello schema dialettico che le caratterizza. Nella società pre-capitalista il punto di partenza (TESI) è la merce con la quale poi si acquisisce del denaro(ANTITESI) e con cui poi si recupera altra merce (SINTESI). Il punto di partenza e di arrivo corrisponde dunque alla merce. Nella società capitalista invece, lo schema è opposto: il punto di partenza è il denaro usato poi per acquistare materie prime e mezzi di produzione e dal quale si ricava della merce, venduta per ottenere una maggiore quantità di denaro. Ora ci si chiede: da dove viene la quantità di denaro in più? Questa deriva dal lavoro dell’operaio che vende al capitalista la propria forza lavoro. Parte del valore che produce viene ricompensato attraverso il salario (necessario al sostentamento dell’operaio); il valore che invece viene prodotto dal plus lavoro, lavoro non compensato con salario, diventa plusvalore. Anche se potrebbero sembrare due sinonimi, plusvalore e profitto presentano delle differenze: il plusvalore è il rapporto tra il tempo di pluslavoro e il tempo impiegato per produrre la sussistenza del lavoratore. Il profitto è invece tutto ciò che rimane al capitalista dopo aver pagato i salari o le spese per i mezzi di produzione. Il fine della società capitalistica è appunto il profitto, il cui aumento è determinato da una particolare organizzazione del sistema:
1. Aumentare le ore di lavoro e ridurre i salari limiti: i salari non possono scendere oltre un certo livello
2. Specializzazione del lavoro formazione di un “lavoro sociale” che favorisce la cooperazione e la collaborazione
3. Utilizzo dei macchinari il lavoro diventa costrittivo e l’operaio è un’appendice della macchina.
Essendo Marx appartenente alla corrente degli hegeliani di sinistra che negano l’esistente (ogni sintesi è la tesi di un processo dialettico successivo), egli, come già detto prima, sostiene che il capitalismo sia un sistema che sarà portato alla dissoluzione viste le contraddizioni interne che lo caratterizzano:
- i capitalisti assolutizzano il principio della libertà individuale ma intanto parlano di cooperazione e di lavoro sociale;
- l’obiettivo dei capitalisti è aumentare il profitto ma di fatto si registra una caduta tendenziale del saggio di profitto a cui Marx da questa spiegazione: saggio di profitto= plusvalore fratto capitale variabile(usato per pagare i salari) più capitale costante (valore investito per l’acquisto dei macchinari). Il saggio di plusvalore è invece il rapporto tra plusvalore e capitale variabile. Dal momento che il rapporto tra plusvalore e capitale variabile è da considerare costante; in quanto i salari sotto un certo livello non possono scendere, ci troviamo a riscontrare che il saggio di profitto diminuisce perché aumenta il capitale costante. (il rapporto profitto capitale costante è infatti inversamente proporzionale).
Da questa riflessione alcuni critici hanno colto una contraddizione interna al ragionamento di Marx: se consideriamo infatti la definizione che lui da di saggio di plusvalore, citata poco sopra, sembra che la sua tesi abbia come presupposto il fatto che solo il lavoro dell’operaio è fonte di valore. Prima però aveva affermato che il sistema capitalistico, grazie ai macchinari, riesce ad aumentare il plusvalore. La contraddizione è la seguente: se si afferma che attraverso l’introduzione di macchinari il plusvalore aumenta, non si può contemporaneamente affermare che il saggio di plusvalore è il rapporto tra plusvalore e capitale variabile senza introdurre il capitale costante.

INTERPRETAZIONI DI MARX:



KIERKEGAARD:

VITA E OPERE (pag.11-12):
Autore dalla forte formazione teologica e circa sulla linea di Hegel ,Schelling e del romanticismo tedesco,Soren Kierkegaard viene considerato il padre dell’esistenzialismo.
Egli,nei suoi scritti,pubblicati utilizzando degli pseudonimi,proprio per distinguersi dal contenuto di essi,si possono trovare confronti con Hegel e soprattutto con il pensiero antico,con una particolare attenzione per Socrate,dal quale egli trae anche ispirazione per l’organizzazione dei suoi trattati,nei quali l’autore,con l’uso anche dell’ironia,lascia intendere il suo pensiero,ma senza pronunciarsi apertamente.

LA VERITA’ SOGGETTIVA:

Per spiegare il concetto di “verità soggettiva” Kierkegaard immagina di analizzare un qualsiasi uomo che si attiene ai principi cristiani,ma soltanto con lo scopo di ottenere benevolenza.Questo uomo,dal punto di vista della realtà oggettiva,ovvero per come appare agli altri uomini,è un vero cristiano,ma,secondo la verità soggettiva,questo uomo non si rapporta al vero Dio,ma ad un idolo.
Interessa dunque non il fatto che ci si rapporti a certe verità,ma il come ci si rapporta ad esse e questo vale in ogni ambito,non solo in quello religioso.

IL CONCETTO DI ESISTENZA:

Il termine “esistenza”,usato nella filosofia contemporanea nella più comune accezione di “realtà di fatto”,per Kierkegaard è assunto specificamente a indicare il modo di essere dell’uomo;esso non si può quindi riferire alla logica, a Dio o a qualsiasi cosa che non sia specifica della natura umana.
La dimensione dell’uomo è caratterizzata da finitezza e infinitezza e vi è fra esse un rapporto non statico,ma dialettico(personalità finita,ma che tende all’infinito,orientata verso l’altro da sé).
L’esistenza è perciò il “tendere verso qualche cosa”,è proiezione,è progetto e non può prescindere quindi dalla decisione di un soggetto, libero di autodeterminarsi,che si trova di fronte a delle possibilità.
Di fondamentale importanza è quindi la categoria del possibile.
In “Aut-aut” Kierkegaard presenta appunto le diverse irriducibili possibilità di esistenza umana e,con questo scritto,punta,pur senza rivelare apertamente la propria posizione,a fare comprendere a pieno il cristianesimo affinchè la vita religiosa appaia come la migliore forma di esistenza possibile per l’uomo.

Pag.27:”esistenza contro essenza”(tratto dalla Postilla)àcritiche a Hegel:_Hegel trascura l'elemento della concretezza umana

L’ESISTENZA ESTETICA (pag.14):

Questa forma di esistenza,fortemente caratterizzata dall’individualità,è la condizione di partenza di ciascun uomo ed è per questo la più diffusa(c’è poi chi vi rimane e chi passa invece alla vita etica).
Essa è concentrata sul piacere presente ed annulla la condizione del passato,se non usato per trarre godimento(tramite ricordi piacevoli),e del futuro.
Questo modo di rapportarsi con il tempo è comune,per esempio,a tre famose forme di estetismo:la musica di Mozart,il Don Giovanni e Faust.
Tuttavia,mentre la prima può essere considerata una “forma pura”,poiché priva di riflessione(per il solo fatto di esistere,seduce),le altre due,in quanto riferite a personalità umane,presentano una,se pur superficiale,forma di riflessione:Giovanni,il seduttore infatti seduce per la soddisfazione della conquista e Faust,personaggio molto colto,ha una riflessione massima,ma trae godimento dal constatare quanto le scienze antiche siano inutili.
Altro elemento peculiare della vita estetica è il rifiuto dei legami(con passato,futuro,società ecc.) e ogni relazione è dunque o occasionale e di diletto o imposta dall’esterno.
Si rifiuta altresì in modo assoluto la ripetizione,poiché crea noia ed uccide il godimento,e si opera una ricerca di novità sempre più difficile.Quando si comprende che questa ricerca non può portare sempre dei frutti,si sprofonda nella disperazione e molti valutano la possibilità di passare alla vita etica.
Per Hegel questo passaggio è necessario,mentre per Kierkegaard vi è una mediazione che rende questo passaggio possibile,non necessario!
Conta la decisione interiore del singolo,assolutamente sua e libera,senza che egli sia condizionato.

L’ESISTENZA ETICA (pag.14-15):

In questa condizione esistenziale,nella quale prevale l’universalità e l’intersoggettività,c’è la consapevolezza e la volontà di vivere secondo regole e costumi.
Colui che segue questa linea continua a ripetere le proprie azioni,perché le ritiene giuste.
Essenziale è quindi,per l’uomo etico a differenza che per l’esteta,l’elemento del legame(verso famiglia,figli,moglie,religione,amici..) e della ripetizione.
Per quanto riguarda il rapporto con il tempo,mentre l’esteta non ha storia,l’uomo etico si rapporta al proprio passato per poi proiettarsi verso il futuro.
                Per descrivere al meglio questo modello di vita,Kierkegaard,in “Aut aut”,prende come esempio un certo Guglielmo,onesto funzionario di Stato che opera in modo più fedele possibile alle regole della società in cui è inserito,ma che successivamente si rende conto di non riuscire ad adempiere completamente a ciascuna di esse;lo stesso accade anche per Agamennone,che Kierkegaard cita in “Timore e tremore”,definendolo eroe tragico(l’eroe tragico mette in luce i limiti della vita etica).
Naturale conseguenza della vita etica è perciò il conflitto di valori,il fatto di trovarsi dinnanzi ad una scelta di determinati valori compromettendone altri.
Con questa contraddizione quindi ciò che prima aveva valore ora crolla e l’uomo etico prova il sentimento dell’angoscia,che può portare al livello successivo,quello della scelta religiosa.

L’ESISTENZA RELIGIOSA (pag.15):

L’esempio di esistenza più alto,per Kierkegaard,è l’uomo religioso,i cui valori sono incarnati nella figura di Abramo.
Anche in Abramo vi è un conflitto che potrebbe sembrare identico a quello di Agamennone o di Guglielmo;anche Abramo infatti deve scegliere tra il suo dovere di padre e il suo voto verso Dio.
Egli era stato chiamato da Dio a lasciare casa e patria verso la terra promessa e gli era stata garantita una discendenza infinita.
Isacco è quindi un miracoloso dono di Dio,poiché Abramo,fino ad allora,non era mai riuscito a procreare,nonostante i molti anni di matrimonio.
All’improvviso il Signore fa però ad Abramo una richiesta enigmatica e inaspettata,gli chiede di sacrificare il figlio Isacco.
Isacco non aveva ancora avuto figli e quindi la promessa di una discendenza sembrava non poter essere mantenuta,ma,di fronte a questa che può essere vista dalla prospettiva etica e razionalista come una enorme contraddizione,Abramo fa una sospensione dell’etica e si affida completamente a Dio.
L’illustre personaggio biblico fa dunque i preparativi per il sacrifici,senza parlarne con nessuno(gli altri non possono comprendere questa scelta,solo lui),fortemente convinto che Dio comunque manterrà la promessa fattagli all’inizio e che lui,in qualche modo,anche se per ora sconosciuto,riavrà Isacco.
In questo passaggio necessario vi è sia l’elemento della rinuncia(e totale abbandono a Dio),in virtù dell’assurdo,sia quello della speranza totale,che fanno sì che la fede sia compiuta.
Abramo,dopo aver riottenuto il figlio,ritorna ad essere un uomo etico dal punto di vista esteriore,ma dentro di sé egli ha un legame unico con il divino.

Kierkegaard analizza la natura paradossale sia dell’esistenza che del cristianesimo e ritiene,per questo motivo,che solo il cristianesimo possa soddisfare i bisogni dell’esistenza.
Il cristianesimo è l’eterno che irrompe nel tempo!

ANGOSCIA e DISPERAZIONE (pag.16-17):

La scelta di fede, quindi l’accettazione del paradosso e il superamento di esso, può portare all’angoscia.
Un esempio di questo sentimento si può trovare nell’episodio biblico di Adamo,il quale riceve un preciso ordine da Dio e viene ammonito del fatto che,nel caso in cui avrebbe trasgredito a questo ordine,sarebbe andato incontro a del dolore.
Adamo entra quindi in una dimensione in cui tutto è possibile,anche la morte,ma vi è comunque un timore verso qualcosa di confuso e indeterminato,poiché egli non conosce ancora dolore e morte;egli è completamente libero di agire e prova paura,ma anche attrazione verso l’ignoto,come un senso di vertigine.
L’angoscia è dunque il puro sentimento del possibile(possibilità di dolore e morte),che è per Kierkegaard necessario per la fede religiosa,poiché con esso l’uomo si distacca dalle cose finite e si rapporta con l’indeterminato(il singolo scopre la propria alterità rispetto al mondo).
La disperazione è invece più profonda dell’angoscia e riguarda la relazione dell’io con sé stesso.
Essa è propriamente l’incapacità di risolvere il rapporto con se stessi ,che può portare a due risultati.
Il primo è la fuga da sé,avente come mezzo o il divertimento o la costruzione di un'altra figura di sé per gli altri,l’altro esempio è invece la disperazione del demoniaco,che porta a voler essere se stessi come se il proprio io fosse la realtà assoluta.
Si può invece avere veramente identità con il proprio io solo se ci si identifica con la natura divina che ci ha fondati e si realizza così la fede autentica.