venerdì 30 dicembre 2011

VITA DI MANZONI (ITALIANO)

Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 Marzo 1785 da Giulia Beccaria (figlia di Cesare Beccaria,autore de Dei delitti e delle pene) e,anche se alcuni contemporanei ritenevano da Giovanni Verri,il padre legittimo è il conte Pietro Manzoni.
Dopo aver frequentato il collegio dei Padri Somaschi e dei Barnabiti si avvicina al giacobinismo e pubblica nel 1801 Il trionfo della libertà,ma la conoscenza di intellettuali liberali lo indusse presso ad abbandonare il giacobinismo per avvicinarsi ad idee liberali.
Nel 1805 Manzoni si reca a Parigi,dove la madre dopo la separazione dal padre si era trasferita con Carlo Imbonati,il quale nel frattempo era morto.
A Parigi Manzoni scrive il componimento più interessante della sua prima giovinezza,In morte di Carlo Imbonati,in cui si avvicina all’illuminismo.
Nel periodo parigino frequenta gli ultimi idéologues,tra cui Claude Fauriel,che sarà un prezioso collaboratore di Alessandro Manzoni,e che agevolerà il passaggio dell’autore dalle ideologie illuministiche a quelle romantiche;avviene in questi anni anche il primo matrimonio di Manzoni con Enrichetta Blondel.
In questo periodo però Manzoni è ancora profondamente neoclassico,e nel 1809 pubblica il poemetto Urania.
Nel 1810 avviene una svolta decisiva nell’autore,la conversione religiosa,che sarà accompagnata anche dai primi disturbi psicologici.
Dopo il ritorno a Milano,avviene tra il 1812 e il 1815 una svolta poetica con la pubblicazione degli Inni sacri.
Dal 1815 inizia il cosiddetto decennio dei capolavori,in cui Manzoni grazie alla sua favorevole situazione economica può dedicarsi solamente alla produzione letteraria.
In questo periodo pubblica due tragedie,Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822),due odi,Marzo 1821 e Il cinque maggio (entrambe pubblicate nel 1821),la lettera a Cesare D’Azeglio e la Pentecoste.
Nel 1823 termina la prima edizione dei Promessi sposi,intitolata Fermo e Lucia,e l’Appendice storica su la colonna infame.
Nel 1827 pubblica la seconda edizione dei Promessi sposi,detta ‘ventisettana’.
Dal 1827 Manzoni comincia a dedicare il suo interesse più che alla produzione letteraria ad interessi di tipo linguistico,adopera anche una revisione linguistica della ‘ventisettana’,che porterà all’ultima pubblicazione dei Promessi sposi nel 1840.
Nel 1837 avviene il secondo matrimonio di Manzoni con Teresa Borri,la prima moglie era infatti morta nel 1833.
Dopo la pubblicazione della ‘quarantana’ sono poche le opere significative.
Nel 1860 è nominato senatore,e viene incaricato come presidente della commissione parlamentare sulla lingua.
Muore nel 1873 a Milano.

mercoledì 21 dicembre 2011

DISKOBOLOS (SENZA LE VARIE CENSURE)

DISKOBOLOS: RIPRENDONO LE DANZE
Del resto si sa, le cose belle si fanno sempre in due…Erano in due Achille e Patroclo, erano in due Elton John e David Furnish, George Micheal e Kenny Goss, erano in due Domenico Dolce e Stefano Gabbana, così come Din e Dan, sono sempre in due anche i carabinieri ( Lombardini docet ), sono in due quelli che ci odiano, in due quelli che se ne fregano,saranno in due(cento) i nostri affezionati lettori.
Come ben sapete lo scorso anno le vostre lacrime hanno segnato la conclusione di un ciclo, una delle DUE muse venali incaricate dall’alta volumptas di redigere questa rubrica ha lasciato le sacre sponde PIAZZIANE (- perpentiane)) dove il suo corpo fanciulletto giacque,  verso i lidi milanesi. Ora noi per lui e per il suo amabil ricciolo canteremo sublimi note ( mi ritorni in menteee, bello come seeei…).
Dunque dei vecchi andres androsaqonoi uno è rimasto,ma il vento divino ha presto indicato il suo nuovo compagno e la ruota ha finalmente ripreso a girare.
Perciò ora noi,gai del nostro ruolo di vati,abbiamo il dovere morale di portare avanti il fardello e di dire la nostra riguardo ai vari fatti concernenti la nostra beneamata squola.
E’ autunno anche al piazzi, le foglie cadono e,come ogni anno,nuove leve prendono le armi,come sempre sotto il pugno di ferro di lui,l’invincibile,l’ineffabile,l’innominabile,l’inenarrabile,il fiero capo istruttore Piedoni. “Attenti Palle di Lardo! Farò venire a tutti degli addominali d’acciaio”.
(dopo aver fatto venti piegamenti per averlo inopportunamente nominato,ricominciamo a scrivere,,ndr)
Nuovi amori nascono e altri attraversano periodi bui,come quello fra Camilla M. e l’eroico Laerziade,reo di averla sedotta e abbandonata,negandole ciò che le aveva promesso.Egli, ghermito dunque da una forte confusione sentimentale,è presto giunto a decisioni alternative,del tutto contrarie al passato,simile ad un’hegeliana coscienza signorile,non ancora conscia della propria dipendenza dal lavoro servile.
Passando ora ad argomenti più lieti, accogliamo con gaudio il fatto che il fresco Spagnolin, garzoncello scherzoso che con noi condivide dei capelli il biondo, già voglia toccare con mano la Rappresentanza d’istituto, senza però non tenere l’altra mano sulla coscia femminea di qualche ginnasiale: proprio ora, dalle retrovie della Pio Rajna, possiamo osservarlo all’opera e,da quello che vediamo,il ragazzo ha del talento,ma ci sono ampi margini di miglioramento.
Di certo potrebbe imparare, come anche noi abbiamo fatto a nostro tempo, dall’ ormai pregiatissimo dottor Tazza, raro nelle sue apparizioni mondane come un tartufo d’alba, ma che sempre ci ha stupito con il suo savoir faire.
Ora però, in qualità di giornalisti, e di conseguenza sempre attenti anche alla politica, non possiamo non parlare dell’ascesa al potere della nostra Lucrezia Canovi e della sua  bassezza ( morale )manifestatasi nel porre ,come promessa per l’elezione, il principio dello sballo metodico, proprio di un epicureismo degenere e di una persona che, a causa di ciò, dovrà essere da noi duramente moralizzata. I più attendono quindi con sbarellante impazienza la prossima assemblea d’istituto, in cui la quota versata dagli studenti prevederà due consumazioni. Uno sballo totale insomma.
Sempre per parlare di comportamenti deplorevoli e meritevoli di sanzione,è doveroso menzionare con sdegno gli indecorosi studenti della 3ACL,colti in flagrante mentre banchettavano allegramente alle macchinette del primo piano in orario curricolare;giustamente etichettati come inqualificabili,poiché giammai una cosa del genere era avvenuta nella nostra scuola e mai un simile tabù era stato infranto,questi ragazzi,evidentemente caratterizzati da una forte attitudine criminale,verranno segnalati ogni qual volta usciranno dalla loro classe.
Dunque,cari lettori,in merito a tali questioni ci pareva giusto sottoporvi il nostro parere,sulla base del quale ognuno di voi potrà poi con calma riflettere,come la prof.Zizzi ama dire,nel chiuso della propria cameretta.
Oi Stocàzzontes (i cercatori)



lunedì 12 dicembre 2011

COLERIDGE (INGLESE)



LIFE AND WORKS
pag.D94/D95
Samuel Taylor Coleridge was born in Devonshire, but
very soon he moved to London. In 1797 he
met William Wordsworth, in 1798 they published the Lyrical Ballads. He and
Wordsworth are the first romantic poets. The first poem of the collection
Lyrical Ballads is “The Rime of the
Ancient Mariner”, written by Coleridge. Rime stays for ballad, in fact it is a
literary ballad that tells the story of the voyage of a ship. Coleridge uses a
lot of archaic words, he often goes back with the language to the middle ages. He
may have taken inspiration from “The Flying Dutchman” (where is told the story
of a phantom ship that has to go over the Cape of good Hope) and also from “The
Wandering Jew” ( a novel where a Jew taunted Jesus and so his punishment
was to wander till his life ended).
Generally medieval ballads have: 4-line stanzas, a short and simple
story line, a lot of direct speeches, universal themes (love, death, war…), the
supernatural (something that is not rational), use of repetitions and
alliterations.
In
“The Rime of the Ancient Mariner” we have 4-line
stanzas, direct speeches, universal themes, the supernatural, use
of repetitions and alliterations; but we also have three things that are not
traditional: the length, the moral at the end and the description of the
landscape.
Extremely important in Coleridge’s masterpiece are numbers: number 3 and
9 are important and we often find them, but also number 7 is important as we
often find it and also all the poem is divided in seven parts. Number 3 is a
powerful number, it is connected with the supernatural (probably Coleridge tells us that we must expect
something supernatural), number 9 goes towards divinity.
Also birds were somehow divine: because they came from the sky, they
were considered messengers from God. Especially on ships the albatross is considered the reincarnation of dead
sailors.
Number 7 is supernatural, it represent
death but also rebirth.

THE KILLING OF THE ALBATROSS pag.D98/D99/D100
An ancient (old) mariner meets three hosts that are
going to a wedding and he stops one of them to tell him his story. That wedding
guest is forced (by the mariner’s
glittering eyes) to listen to the true story that the mariner tells. A
ship leaves the harbor and goes southward; in the equator there’s a terrible
storm that pushes the ship again southward, until the crew get to the South
Pole. Here there is only ice and fog. The atmosphere is eerie, because there’s
a very loud noise and the ice has a sort of greenish color. The ship is stuck.
Then an albatross comes and the crew of the ship is very happy to see it
(verses 65-66). They feed the bird that comes every day, and the ship manages
to move. Then the ancient mariner shoots the albatross, but we don’t know why
he does that thing.
It is an
ancient Mariner,
And he
stoppeth one of three.
«By thy long
grey beard and glittering eye,
Now
wherefore stopp’st thou me?

The
Bridegroom’s doors are opened wide,
And I am
next of kin ;
The guests
are met, the feast is set:
May’st hear
the merry din.»

He holds him
with his skinny hand,
«There was a
ship,» quoth he.
«Hold off !
unhand me, grey-beard loon !»
Eftsoons his
hand dropt he.


He holds him
with his glittering eye—
The
Wedding-Guest stood still,
And listens
like a three years’ child:
The Mariner
hath his will.

The
Wedding-Guest sat on a stone:
He cannot choose but hear;
And thus
spake on that ancient man,
The
bright-eyed Mariner

«The ship
was cheered, the harbour cleared,
Merrily did we drop
Below the kirk, below the hill,
Below the
light-house top.

The Sun came
upon the left,
Out of the sea came he!
And the
shone bright, and on the right
Went down
into the sea.

Higher and
higher every day,
Till over
the mast at noon—»
The
Wedding-Guest here beat his breast,
For he heard the loud bassoon.

The bride
hath paced into the hall,
Red as a rose is she;
Nodding their heads before her goes
The merry minstrelsy.

The
Wedding-Guest here beat his breast,
Yet he cannot choose but hear;
And thus spake on the ancient man,
The
bright-eyed Mariner,
«And now the
storm-blast came, and he
Was tyrannous and strong:
He struck with his o’ertaking wings,
And chased us south along.

With sloping
masts and dipping prow,
As who
pursued with yell and blow
Still treads
the shadow of his foe,
And forward
bends his head,
The ship
drove fast, loud roared the blast,
And
southward aye we fled.

And now
there come both mist and snow,
And it grew
wondrous cold:
And ice,
mast-high, came floating by,
As green as
emerald.

And through
the drifts the snowy clifts
Did send a
dismal sheen:
Nor shapes
of men nor beasts we ken—
The ice was
all between.

The ice was
here, the ice was there,
The ice was
all around :
It cracked
and growled, and roared and howled,
Like noises
in a swound!

At lenght
did cross an Albatross,
Thorough the
fog it came;
As if it had been a Christian soul,
We hailed it
in God’s name.

It hate the
food in ne’er had eat,
And round
and round it flew.
The ice did
split with a thunder-fit;
The
heilmsman steered us through!

And a good south
wind sprung up behind;
The
Albatross did follow,
And every
day, for food or play,
Came to the
mariners’ hollo!

In mist or
cloud, on mast or shroud,
It perched
for vespers nine;
Whiles all the night, through the fog-smoke white,
Glimmered
the white moon-shine.»

«God save
thee, ancient Mariner!
From the
fiends, that plague thee thus!—
Why look’st
thou so?» —With my cross-bow
I shot the Albatross

C’è un vecchio marinaio, e ferma uno
dei tre: «Per la tua lunga barba grigia e il tuo occhio scintillante, perchè
ora mi fermi?
Le porte dello sposo son già tutte
aperte, e io sono uno stretto parente; i
convitati son già riuniti, il festino è servito, tu puoi udirne di qui
l’allegro rumore.»
Ma egli lo trattiene con mano di
scheletro. «C’era una volta una nave …» comincia a dire. «Lasciami, non mi
trattener più, vecchio vagabondo dalla barba brizzolata!» E quello
immediatamente ritirò la sua mano.
Ma con l’occhio scintillante lo
attrae e lo trattiene. E il Convitato resta come paralizzato, e sta ad
ascoltare come un bambino di tre anni: il vecchio Marinaro è padrone di lui.
Il Convitato si mise a sedere sopra
una pietra: e non può fare a meno di ascoltare attentamente. E cosí parlò allora
quel vecchio uomo, il Marinaio dal magnetico sguardo:

«La nave, salutata, aveva già
lasciato il porto, e lietamente filava sulle onde, dietro la chiesa, dietro la
collina, dietro l’alto faro.
Il Sole si levò da sinistra, si levò
su dal mare. Brillò, e a destra ridiscese nel mare
Ogni giorno piú alto, sempre più
alto finchè diritto sull’albero maestro, a mezzogiorno …» Il Convitato si batte
il petto impaziente, perchè sente risuonare il grave trombone.
La Sposa è apparsa nella sala: essa
è vermiglia come una rosa; la precedono, movendo in cadenza la testa, i felici
menestrelli.
Il Convitato si percuote il petto,
ma non può fare a meno di stare a udire il racconto. E così seguitò a dire
quell’antico uomo, il Marinaio dall’occhio brillante.
«Ed ecco che sopraggiunse la tempesta,
e fu tirannica e forte. Ci colpì con le sue travolgenti ali, e, insistente,ci
cacciò verso sud.
Ad alberi piegati, a bassa prua,
come chi ha inseguito con urli e colpi pur corre a capo chino sull’orma del suo
nemico, la nave correva veloce, la tempesta ruggiva forte, e ci s’inoltrava
sempre piú verso il sud.
Poi vennero insieme la nebbia e la
neve; si fece un freddo terribile: blocchi di ghiaccio, alti come l’albero
della nave, ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.
E traverso il turbine delle
valanghe, le rupi nevose mandavano sinistri bagliori: non si vedeva più forma d’uomo
o di bestia — ghiaccio solo da per tutto.
Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era
là, il ghiaccio era tutto all’intorno: scricchiolava e muggiva, ruggiva ed
urlava, come i rumori che si odono in una svenimento.
Alla fine un albatro passò per aria,
e venne a noi traverso la nebbia. Come se fosse stato un’anima cristiana, lo
salutammo nel nome di Dio.
Mangiò del cibo che gli demmo,
benchè nuovo per lui; e ci volava e rivolava d’intorno. Il ghiaccio a un tratto
si ruppe, e il pilota potè passare in mezzo.
E un buon vento di sud ci soffiò
alle spalle, e l’albatro ci teneva dietro; e ogni giorno veniva a mangiare o giocare
sul bastimento, chiamato e salutato allegramente dai marinai.
Tra la nebbia o tra le nuvole, sull’albero
o su le vele, si appollaiò per nove sere di seguito; mentre tutta la notte
attraverso un bianco vapore splendeva il bianco lume di luna.»
«Che Dio ti salvi, o Marinaio, dal
demonio che ti tormenta! — Perchè mi guardi cosí, Che cos’hai?» — «Con la mia
balestra, io ammazzai l’albatro! »




THE RIME OF THE ANCIENT MARINER doc. T 47
The Mariner begins to suffer punishment for what he
has done; the ship has ceased to move and the sailors are tortured by thirst,
and the only moving things are the horrible creatures in the sea.
The sun now
rose upon the right:
Out of the
sea came he.
Still hid in
mist and on the left
Went down
into the sea.

And the good
south wint still blew behind,
But no sweet
bird did follow,
Nor any day
for food or play
Came to the
mariners’ hollo!

And I had done
a hellish thing,
And it would
work ’em woe:
For all
averred, I had killed the bird
That made
the breeze so blow.
Ah wretch!
said they, the bird to slay,
That made
the breeze to blow!

Nor dim nor
red, like God’s own head,
The glorious
Sun uprist:
Then all
averred, I had killed the bird
That brought
the fog and mist.
’Twas right,
said they, such birds to slay,
That bring
the fog and mist.

The fair
breeze blew, the white foam flew
The furrow
followed free;
We were the
first that ever burst
Into that
silent sea.

Down dropt
the breeze, the sails dropt down
’Twas sad as
sad could be;
And we did
speak only to break
The silence
of the sea!

All in hot
and copper sky,
The bloody
Sun, at noon,
Right up
above the mast did stand,
No bigger
than the Moon.

Day after
day, day after day,
We stuck,
nor breath nor motion;
As idle as a
painted ship
Upon a
painted ocean.


Water,
water, everywhere,
And all the
boards did shrick;
Water,
water, everywhere,
Nor any drop
to drink.

The very
deep did rot: O Christ!
That ever this should be!
Yes, slimy
things did crawl with legs
Upon the
slimy sea.

About,
about, in reel and rout
The
death-fires danced at night;
The water,
like a witch’s oils,
Burnt green, and blue, and white.

And some in
dreams assured were
Of the
spirit that plagued us so;
Nine fathom
deep he had followed us
from the
land of mist and snow.

And every
tongue, through utter drought,
Was withered
at the root;
We could not
speak, no more than if
We had been
chocked with soot.

Ah! well a
day! what evil looks
Had I from
old and young!
Instead of
the cross, tha Albatross
About my
neck was hung.

Il sole ora si levava a destra: si
levava dal mare,nascosto fra la nebbia, e si rituffava nel mare a sinistra.
E il buon vento di sud spirava
ancora dietro a noi, ma nessun dolce uccello lo seguiva, e in nessun giorno
riapparve per cibo o per trastullo al grido dei marinai.
Oh, io avevo commesso un’azione
infernale, e doveva portare a tutti disgrazia; perchè, tutti lo affermavano, io
avevo ucciso l’uccello che faceva soffiare la brezza. Ah, disgraziato,
dicevano, hai ammazzato l’uccello che faceva spirare il buon vento.
Nè fosco nè rosso, ma sfolgorante
come la faccia di Dio, si levò il sole glorioso. Allora tutti asserirono che io
avevo ucciso l’uccello che portava i vapori e le nebbie. È bene, dissero, è
bene ammazzare simili uccelli, che portano i vapori e le nebbie.
La buona brezza soffiava, la bianca
spuma scorreva, il solco era libero: eravamo i primi che comparissero in quel
mare silenzioso…
Il vento cessò, e caddero le vele;
fu una desolazione ineffabile: si parlava soltanto per rompere il silenzio del
mare.
Solitario in un soffocante cielo di
rame, il sole sanguigno, non più grande della luna, si vedeva a mezzogiorno
pender diritto sull’albero maestro.
Per giorni e giorni di seguito,
restammo come impietriti, non un alito, non un moto; inerti come una nave
dipinta sopra un oceano dipinto.
Acqua, acqua da tutte le parti; e
l’intavolato della nave si contraeva per l’eccessivo calore; acqua, acqua da
tutte le parti; e non una goccia da bere!
Il mare stesso marcì. Oh Dio! che
ciò potesse davvero accadere? Sì; delle cose viscose strisciavano trascinandosi
su le gambe sopra un mare viscido.
Attorno, attorno, in turbinio e
tumulto, innumerevoli fuochi fatui danzavano nella notte: l’acqua, come l’olio d’una
strega, bolliva verde, blu, bianca.
E alcuni, in sogno, ebbero conferma
dello spirito che ci colpiva così: a nove braccia di profondità, ci aveva
seguiti dalla regione della nebbia e della neve.
E ogni lingua, per l’estrema sete,
era seccata fino alla radice; non si poteva più articolare parola, quasi
fossimo soffocati dalla fuliggine.
Ohimè! che sguardi terribili mi
gettavano, giovani e vecchi! In luogo di croce, mi fu appeso al collo l’albatro
che avevo ucciso.


DEATH AND LIFE-IN-DEATH pag.D102/D103/D104
The ship is now still stuck in the middle of the ocean
and the mariners are without water, so every throat is parched. The ancient
mariner sees something that is getting closer and closer from the West. As it
is nearer , it seems to be a ship. Since his throat is parched, he bit his arm
and sucks the blood to try to scream. All the mariners are happy because they
think that the ship can save them; but the ship is moving without wind, and
that fact is quite suspicious. When the ship drives between them and the sun,
the ancient mariner understands that it is a phantom ship: two women are
casting dice. Death wins all the others mariners, but life-in-death wins the
ancient mariner.

There passed a weary time.
Each throat was parched, and glazed each eye. A weary time! A weary time!

How glazed
each weary eye!
When looking
westward I beheld
A something
in the sky.

At first it
seemed a little speck,
And then it
seemed a mist;
It moved and
moved, and took at last
A certain
shape, I wist.

A speck, a
mist, a shape. I wist!
And still it
neared and neared:
As if it
dodged a water sprite,
It plunged
and tacked and veered.

With throats
unslaked, with black lips backed,
We could nor
laugh nor wail;
Through
utter drought all dumb we stood!
I bit my
arm, I sucked the blood,
And cried, A
sail! a sail!

With throats
unslaked, with black lips backed,
Agape they
heard me call:
Gramercy!
they for joy did grin,
And all at
once their breath drew in,
As they were
drinking all.

See! see! (I
cried) she tacks no more!
Hither to
work us weal;
Without a
breeze, without a tide,
She steadies
with uproght keel!

The western
wave was all a-flame,
The day was
well nigh done!
Almost upon
the western wave
Rested the
broad bright Sun.
When that
strange shape drove suddendly
Betwixt us
and the Sun.

And straight
the Sun was flecked with bars,
(Heaven’s
Mother send us grace!)
As if
through a dungeon-grate he peered
With broad
and burning face.

Alas!
(thought I, and mi heart beat loud)
How fast she
nears and nears!
Are those
her sails that glance in the Sun,
Like
restless gossameres?

Are those
her ribs through which the Sun
Did peer, as through a grate?
And is that
Woman all her crew?
Is that a Death? and are there two?
Is Death that Woman’s mate?

Her lips
were red, her looks were free.
Her locks
were yellow as gold:
Her skin was
as white as leprosy,
The
Night-mare Life-in-Death was she,
Who thicks
man’s blood with cold.

The naked
hulk alongside came,
And the
twain were casting dice:
«The game is
done! I’ve won, I’ve won !»
Quoth she,
and whistles thrice.

The Sun’s
rim dips, the stars rush out:
At one
stride comes the dark;
With
far-heard whisper o’er the sea,
Off shot the
spectre-bark


We listened
and looked sideways up!
Fear at my
heart, as at a cup,
My
life-blood seemed to sip!
The stars
were dim, and thick the night,
The
steersman’s face by his lamp gleamed white;


From the
sails the dew did drip—
Till clomb
above the eastern bar
The horned
Moon, with one bright star
Within the
neither tip.

One after
one, by the star-dogged Moon,
Too quick
for groan or sigh,
Each turned
his face with a ghastly pang,
And cursed
me withe his eye.


Four times
fifty living men,
(And I heard
nor sigh nor groan)
With heavy
tump, a lifeless lump,
They dropped
down one by one.


The souls
did from their bodies fly,—
They flied
to bliss or woe!
And every
soul it passed me by
Like the
whizz of my cross-bow.


Passò un
triste tempo. Ogni gola era riarsa, ogni occhio era vitreo. Un triste tempo, un
triste tempo! E come mi fissavano tutti quegli occhi stanchi! Quand’ecco,
guardando verso occidente, io scorsi qualche cosa nel cielo.
Da prima,
pareva una piccola macchia, una specie di nebbia; si moveva, si moveva, e alla
fine parve prendere una certa forma.
Una macchia,
una nebbia, una forma, che sempre più si faceva vicina: e come se volesse
sottrarsi ed evitare un fantasma marino, si tuffava, si piegava, si rigirava.
Con gole
asciutte, con labbra nere arse, non si poteva nè ridere nè piangere. In
quell’eccesso di sete, stavano tutti muti. Io mi morsi un braccio, ne succhiai
il sangue, e gridai: Una vela! Una vela!
Con arse
gole, con nere labbra bruciate, attoniti mi udirono gridare. Risero
convulsamente di gioia: e tutti insieme aspirarono l’aria, come in atto di
bere.
Vedete!
vedete! (io gridai) essa non gira più, ma vien dritta a recarci salvezza: senza
un alito di vento, senza corrente, avanza con la chiglia elevata.
A occidente
l’acqua era tutta fiammeggiante; il giorno era presso a finire. Sull’onda
occidentale posava il grande splendido sole quand’ecco quella strana forma
s’interpose fra il sole e noi.
E a un
tratto il sole apparve striato di sbarre (che la celeste Madre ci assista!)
come se guardasse dalla inferriata di una prigione con la sua faccia larga ed
accesa.
Ohimè!
(pensavo io, e il cuore mi batteva forte), come si avvicina rapidamente, ogni
momento di più! Son quelle le sue vele, che scintillano al sole come spiritate
ragnatele?
Son quelle
le sue coste, traverso a cui il sole guarda come traverso a una grata? E quella
donna là è tutto l’equipaggio? È forse la Morte? o ve ne son due? o è la Morte
la compagna di quella donna?
Le sue labbra
eran rosse, franchi gli sguardi, i capelli gialli com’oro: ma la pelle
biancastra come la lebbra… Essa era l’Incubo Vita-in-Morte,
che congela il sangue dell’uomo.
Quella nuda
carcassa di nave ci passò di fianco, e le due giocavano ai dadi. «Il gioco è finito!
ho vinto, ho vinto!» dice l’una, e fischia tre volte.
L’ultimo
lembo di sole scompare: le stelle accorrono a un tratto: senza intervallo di
tramonto, è già notte. Con un mormorio prolungato fuggì via sul mare quel
battello-fantasma.
Noi udivamo,
e guardavamo di sbieco, in su. Il terrore pareva succhiare dal mio cuore, come
da una coppa, tutto il mio sangue vitale. Le stelle erano torbide, fitta la
notte, e il viso del timoniere splendeva pallido e bianco sotto la sua
lanterna.
La rugiada
gocciava dalle vele; finchè il corno lunare pervenne alla linea orientale,
avendo alla sua estremità inferiore una fulgida stella,
L’un dopo
l’altro, al lume della luna che pareva inseguita dalle stelle, senza aver tempo
di mandare un gemito o un sospiro, ogni marinaro torse la faccia in uno spasimo
atroce, e mi maledisse con gli occhi.
Duecento
uomini viventi (e io non udii nè un sospiro nè un gemito), con un grave tonfo,
come una inerte massa, caddero giù l’un dopo l’altro.
Le anime
volaron via dai loro corpi — volarono alla beatitudine o alla dannazione; ed
ogni anima mi passò accanto sibilando, come il rumore della mia balestra.


THE WATER SNAKES pag.D105/D106/D107/D108
The wedding guest fears the ancient mariner because he
thinks that the mariner is a ghost, but the mariner tells him that he is not
dead. On the ship the dead mariners continue to look the ancient mariner with
curse in their eyes. When the ancient mariner blesses the water snakes, the
ship moves, and some spirits enter the dead bodies on the deck, so that they
can work. When they get home, they are still dead.

«I fear thee, ancient Mariner,
I fear thy
skinny hand !
And thou art
long, and lank, and brown,
As is the
ribbed sea-sand,

I fear thee
and thy glittering eye
And thy
skinny hand, so brown.» —
«Fear not,
fear not, thou Wedding-Guest!
This body
dropt not down.

Alone,
alone, all, all alone,
Alone on a
wide, wide sea!
And never a
saint took pity on
My soul in
agony.

The many
men, so beatiful!
And they all
dead did lie:
And a
thousand thousand slimy things
Lived on;
and so did I.

I looked
upon the rotting sea,
And drew my
eyes away;
I looked
upon the rotting deck
And there
the dead men lay.

I looked to
heaven, and tried to pray;
But or ever
a prayer had gusht,
A wicked
whisper came, and made
My heart as
dry as dust.

I closed my
lids, and kept them close,
And the
balls like pulses beat;
For the sky
and the sea and the sea and the sky
Lay like a
load on my weary eye,
And the dead
were at my feet.

The cold
sweat melted from their limbs,
Nor rot nor
reek did they:
The look
with which they looked on me
Had never
passed away.

An orphan’s
curse would drag to Hell
A spirit
from on high;
But oh! more
horrible than that
Is a curse
in a dead man’s eye!
Seven days,
seven nights, I saw that curse,
And yet I
could not die.


The moving
Moon went up the sky,
And nowhere did abide:
Softly she was going up,
And a star or two beside—

Her beams
bemocked the suiltry main,
Like April
hoar-frost spread;
But where
the ship’s huge shadow lay,
The charmed
water burnt alway
A still and
awful red.

Beyond the
shadow of the ship,
I watched
the water-snakes:
They moved
in tracks of shining white,
And when
they reared, the elfish light
Fell off in
hoary flakes.

Within the
shadow of the ship,
I watched
their rich attire:
Blue glossy
green, and velvet black,
They coiled
and swam; and every track
Was a flash
of golden fire.

O happy
living things! no tongue
Their beauty
might declare:
A spring of
love gushed from my heart,
And I
blessed them unaware:
Sure my kind
saint took pity on me,
And I
blessed them unaware.

The self
same moment I could pray;
And from my
neck so free
The
Albatross fell off, and sank
Like lead
into the sea.

«Tu mi spaventi, vecchio Marinaio!
La tua scarna mano mi fa pura! Tu sei lungo, magro, bruno come la ruvida sabbia
del mare.
Ho paura di te, e del tuo occhio
brillante, e della tua bruna mano di scheletro…»— «Non temere, non temere, o
Convitato! Questo mio corpo non cadde fra i morti. Solo, solo, completamente
solo — solo in un immenso mare! E nessun santo ebbe compassione di me, della
mia anima agonizzante.
Tutti quegli uomini così belli,
tutti ora giacevano morti! e migliaia e migliaia di creature striscianti e
viscose continuavano a vivere, e anch’io vivevo.
Guardavo quel putrido mare, e
torcevo subito gli occhi dall’orribile vista; guardavo sul ponte marcito, e là
erano distesi i morti.
Alzai gli occhi al cielo, e tentai
di pregare; ma appena mormoravo una preghiera, udivo quel maledetto sibilo, e
il mio cuore diventava arido come la polvere.
Chiusi le palpebre, e le mantenni
chiuse; e le pupille battevano come pulsazioni; perchè il mare ed il cielo, il
cielo ed il mare, pesavano opprimenti sui miei stanchi occhi; e ai miei piedi
stavano i morti.
Un sudore freddo stillava dalle loro
membra, ma non imputridivano, nè puzzavano: mi guardavano sempre fissi, col
medesimo sguardo con cui mi guardaron da vivi.
La maledizione di un orfano avrebbe
la forza di tirar giù un’anima dal cielo all’inferno; ma oh! più orribile
ancora è la maledizione negli occhi di un morto! Per sette giorni e sette notti
io vidi quella maledizione… eppure non potevo morire.
La vagante luna ascendeva in cielo e
non si fermava mai: dolcemente saliva , saliva in compagnia di una o due
stelle.
I suoi raggi illusori davano aspetto
di una distesa bianca brina d’aprile a quel mare putrido e ribollente; ma dove
si rifletteva la grande ombra della nave, l’acqua incantata ardeva in un
monotono e orribile color rosso.
Al di là di quell’ombra, io vedevo i
serpenti di mare muoversi a gruppi di un lucente candore; e quando si alzavano
a fior d’acqua, la magica luce si rifrangeva in candidi fiocchi spioventi.
Nell’ombra della nave, guardavo
ammirando la ricchezza dei loro colori; blu, verde-lucidi, nero- velluto, si
attorcigliavano e nuotavano; e ovunque movessero, era uno scintillio di fuochi
d’oro.
O felici creature viventi! Nessuna
lingua può esprimere la loro bellezza: e una sorgente d’amore scaturì dal mio
cuore, e istintivamente li benedissi. Certo il mio buon santo ebbe allora pietà
di me, e io inconsciamente li benedissi.
Nel momento stesso potei pregare; e
allora l’albatro si staccò dal mio collo, e cadde, e affondò come piombo nel
mare.


A SADDER
AND WISER MAN pag.D109

Listening to the mariner’s story has made the wedding guest a sadder and
wiser man.

Farewell,
farewell! but this I tell
To thee,
thou Wedding-Guest,
He prayeth
well, who loveth well
Both man and
bird and beast.

He prayeth
best, who loveth best
All things
both great and small;
For the dear
Good who loveth us
He made and
loveth all.»

The Mariner,
whose eye is bright,
Whose beard
with age is hoar,
Is gone: and
now the Wedding-Guest
Turned from
the bridgeroom’s door.


He went like
one that hath been stunned,
And is of
sense forlorn:
A sadder and
a wiser man,
He rose the
morrow morn.

Addio, addio! Ma questo io dico a
te, o Convitato: prega bene sol chi ben ama e gli uomini e gli uccelli e le
bestie.
Prega bene colui che meglio ama
tutte le creature, piccole e grandi; poichè il buon Dio che ci ama, ha fatto e
ama tutti.
Il marinaio dall’occhio brillante,
dalla barba bianca dagli anni, è sparito — e ora il Convitato non si dirige più
alla porta dello sposo.
Egli se ne andò, come stordito, e
fuori dai sensi. E quando si levò la mattina dopo, era un uomo più triste e più
saggio.



INTERPRETATION
The most relevant interpretation is the one that sees
the poem as a tale of crime and punishment (according to Maurice Bowra). The
crime is irrational so it is also the killing of the albatross.

STORIOGRAFIA IN ETA' IMPERIALE (LATINO)

STORIOGRAFIA IN ETA’ IMPERIALE (pag. 328-335)
Per quanto riguarda la storiografia dell’età imperiale vi erano tre tipi di autori: i primi il cui pensiero era lo stesso di quello dell’imperatore (Velleio Patercolo e Valerio Massimo), i secondi che non approvavano il pensiero dell’imperatore e vi andavano contro (vennero ovviamente tutti sottoposti a censure e pene), i terzi il cui pensiero era diverso da quello dell’imperatore ma non lo davano a vedere (Curzio Rufo, che cerca di “barcamenarsi”, di coprirsi scrivendo sulle imprese di Alessandro Magno). Questi autori sono difficili da tradurre poiché utilizzano periodi lunghi ed articolati cercando di imitare Livio e Cicerone, ma ovviamente non ne sono capaci.
IL PANEGIRICO DI SEIANO – VELLEIO PATERCOLO (pag. 337-338)
Ci si sofferma sulle vicende di Augusto e di Tiberio, ovvero nel punto in cui si era fermato il racconto di Livio.
In base ai gusti dell’imperatore, anche l’autore è più o meno accondiscendente nei confronti di chi sta parlando.
In panegirico è un encomio, un elogio.
Seiano era il prefetto del pretorio che aveva quasi assunto un pieno potere dell’impero dopo che Tiberio si era ritirato a Capri. Seiano era quindi un personaggio che entrò in conflitto con l’imperatore dopo essergli stato amico e nel momento in cui Patercolo scrive Seiano è un uomo potente; non gli si può dunque mettere contro.
Dietro i grandi uomini ci sono altrettanto grandi uomini che il più delle volte non hanno un’origine nobili ma sono nobili d’animo. Seiano viene infatti descritto quasi come un eroe greco, bello dentro e fuori ma anche umile e modesto. Egli fa parte di quel gruppo di personaggi storici che hanno fatto grandi cose anche se non erano di stirpe ed origine nobile, come i cavalieri.
IL RITRATTO DI SEIANO SECONDO TACITO (pag. 339-340)
E’ tipico di Tacito descrivere gli imperatori all’inizio come benevoli e poi come pazzi.
In questo passo tacito mette in rilievo gli aspetti positivi di Seiano (sicurezza e decisione) ma anche quelli negativi (capacità di persuasione del princeps, adulazione, superbia).

PETRONIO (LATINO)

PETRONIO ( pag. 230-239)

Si dice che il “Satyrikon” venne scritto da Petronius Arbiter; di egli non si sa nulla poiché non è noto per altre cose. Di lui ci parla Tacito (pag. 230): egli viveva alla corte di Nerone ed era un consigliere di immagine dell’imperatore (lo consigliava riguardo l’organizzazione di feste, banchetti, abiti ecc..). Il testo che Petronio scrisse risalirebbe infatti all’epoca di Nerone (vi sono trattati temi che possono rimandare all’età neroniana quali un poemetto sulla distruzione di Troia e un dibattito sulla crisi dell’eloquenza e della letteratura).

I più però identificano il “Satyrikon” come un romanzo in cui si trova una commistione di prosa e versi. Esso troverebbe quindi un antecedente nella “fabula Menippea” dell’età ellenistica e una fonte di ispirazione nella “fabula Milesia” (di Mileto, si trattava di un racconto “sporco”, di carattere licenzioso, di cui abbiamo un esempio anche nel “Satirikon” di Petronio.

Il nome dato all’opera poi ci farebbe pensare ad una vera e propria Satira ovvero un racconto di tipo umoristico capace però di far riflettere; in realtà il “Satyrikon” prenderebbe il nome da un piatto ricco e variegato che i supplici offrivano in età antica agli dei.

Il “Satyrikon” è il primo esempio di romanzo latino che trova un antecedente nel romanzo greco.

Il romanzo greco non si sa quando nacque, forse in età ellenistica, anche se prima si faceva risalire solo al I secolo d.C. in corrispondenza non l’età imperiale di Nerone. Il romanzo greco era un genere letterario popolare, mirava ad un destinatario ampio e non avanzato nella scolarizzazione anche se comunque in età ellenistica molta gente sapeva già leggere e scrivere. Si trattava di una letteratura di evasione, che serviva a far divertire il pubblico. Si creavano scenari esotici per una storia d’amore ricca di peripezie ma che aveva sempre un lieto fine. Era già in uso mettere come protagoniste della storia coppie di omosessuali.

Si diceva quindi che il romanzo di Petronio non era altro che una parodia o una caricatura del romanzo greco poiché ha come protagonista un trio di omosessuali e le avventure amorose erano molto licenziose; inoltre rimane anche in Petronio un’ambientazione di tipo esotico. Dopo che venne scoperto che anche nei romanzi greci vi erano coppie di omosessuali come protagonisti il romanzo latino non venne più visto come un a parodia di quello greco.

Nonostante la lettura del romanzo avesse scopo d’evasione gli argomenti di cui trattava erano anche di tipo intellettuale; è più probabile che il destinatario vero e proprio dell’opera fosse l’intera corte di Nerone, di grado più alto rispetto al popolino.

Lo scopo di Petronio è ignoto. Alcuni pensano che l’opera abbia una funzione di critica del bel mondo descritto, in questo caso quello della corte di cui però anche lo stesso Petronio fa parte. Altri pensano invece che si tratti semplicemente di una oggettiva descrizione di quel mondo che è visto da Petronio come “arricchito”; infatti non è formato dagli aristocratici ma piuttosto da diversi liberti che vengono nell’opera criticati da Petronio (nel I secolo d.C. molti liberti erano funzionari di corte ed acquistavano prestigio e denaro pur essendo sempre degli schiavi.). Lui si considera raffinato, loro sono solo invece buzzurri arricchiti.

LATRAMA (pag. 241-242)

LA DECADENZA DELL’ELOQUENZA (pag. 243-245)

Sta parlando Encolpio. Egli afferma che l’educazione retorica del tempo è completamente estranea a ciò che è la vita reale: i giovani che vengono educati nelle scuole, non appena si trovano nel Foro, si trovano spiazzati. Essi vengono educati con le “declamationes” di storie fantasiose o che comunque non accadono mai nella vita quotidiana e che hanno quindi un’utilità pari a zero.

Fino a quel tempo erano tre gli stili utilizzati dagli oratori romani: il primo era quello Attico, sintetico, agile ed essenziale, utilizzato da Cesare, il secondo era quello Asiano (scuola di Pergamo), al contrario era ridondante nella forma ma badava poco alla sostanza, infine vi era lo stile Rodiese che era una via di mezzo tra i due precedenti, utilizzato da Cicerone. Nel nostro caso Petronio parla di una degenerazione dello stile Asiano, chiamato anche Barocco che ha avuto la prevalenza su quello Attico.

Gli oratori del tempo non sono capaci di innovazione come lo furono invece Sofocle ed Euripide, creatori di grandiose opere, Pindaro ed altri, che non avevano imitato il grande Omero.

Inizia poi a parlare il retore Agamennone. Egli dice che se ci si adegua troppo alle richieste degli alunni non si ottiene nulla da loro; sono gli alunni a doversi elevare al livello degli insegnanti e non gli insegnanti a doversi abbassare ai loro comodi. Secondo Agamennone le cause della decadenza dell’eloquenza vanno ricondotte in primo luogo alla scuola stessa che è avulsa dalla realtà; in secondo luogo ai genitori degli alunni ed alla società che sono mossi dall’ambizione e non si preoccupano dell’istruzione che costi fatica ed impegno ma di quella che dia risultati facili e veloci.

Agamennone consiglia che vero oratore non dovrebbe inoltre servire alla volontà dei potenti e neanche essere commissionato dai ricchi ed essere venduto per poco. Dovunque egli risieda deve iniziare con lo studio della poesia, poi della filosofia, poi dell’oratoria ed infine della letteratura latina; a questo punto potrà aggiungere un po’ della propria inventiva e capacità.

OPINIONE DI PERSIO (pag. 245-246)

Persio era un contemporaneo di Petronio.

Egli descrive gli effetti che un certo tipo di declamazione può provocare su chi ascolta.

In quel periodo, dice Persio; si scrive senza tenere conto di cosa ci sia fuori dalla propria casa, pensando che le proprie opere siano di straordinaria bellezza. I declamatori sono ben pettinati, portano un grosso anello, curano la gola e sono gradevoli a vedersi e a sentirsi. Ciò che importa è il modo in cui si pongono e non quello che dicono. I Romani si lasciano turbare e condizionare dai loro discorsi.

LA CENA DI TRIMALCHIONE: LE SORPRENDENTI PORTATE (pag. 246-250)

E’ qui descritta una cena sfarzosa, ostentata e di pessimo gusto, tipica dell’”arricchito”. Si guarda al pregio, al valore, le diverse portate sono arricchite da sorprese, il padrone di casa è ben curato d’aspetto ma bestemmia.

LA CENA DI TRIMALCHIONE: LE RIFLESSIONI SULLA MORTE (pag. 251-253)

Si parla della limitatezza dell’uomo inl quale vive meno che una bottiglia di vino. Questo argomento era ormai un tòpos letterario, un’imitazione di discorsi passati.

UNA SCENATA DI GELOSIA (pag. 254-255)

E’ descritto un momento della narrazione in cui è messo in luce l’ambiente di ultima categoria dell’osteria.

N.B. = LEGGERE LA CRITICA DI PAOLO FEDELI A PAG. 259-260 (SE SI VUOLE TUTTO IL SUO SAGGIO DISPONIBILE IN BIBLIOTECA)

domenica 11 dicembre 2011

GOVERNI CRISPI E INTERMEZZO GIOLITTI (STORIA)

Fase di Francesco Crispi


Francesco Crispi era un ex membro del Partito d’Azione, poi ministro degli Internial governo De Pretis e dall’87 diventa Primo Ministro fino al ’92.

Politica interna: -esce un nuovo codice penale (Zanardelli), che prevede l’eliminazione della pena di morte e vengono tolte le sanzioni a chi scioperava
-viene ridotto il forte accentramento e si allarga il suffragio
-si riprende l’impegno coloniale per riportare prestigio all’Italia (legato alla politica interna)

Politica estera: - ha un orientamento filotedesco
- si forma un orientamento anticlericale (si cerca in un primo momento un accordo con il Papa per risolvere la questione romana ma il Papa rifiuta e quindi si applicano delle restrizioni alla chiesa.


Intermezzo Giolitti (dal ’92 al ’93)

Politica interna: -si vuole introdurre un’imposta progressiva sul reddito (pagamento di tasse in base al reddito) ma la legge non passa
- non vi è politica di repressione nei confronti del neonato partito socialista fondato da Filippo Turati su linea ortodossa del PSD tedesco
- per quanto riguarda i Fasci Siciliani c’è un tentavi di mediazione e non di repressione da parte dello Stato

L’intermezzo Giolitti si concluderà per lo scandalo bancario (vi erano stati dei prestiti delle banche contemporaneamente al boom dell’edilizia; vengono costruite tante case poi non vendute e questo fatto non permette il pagamento dei debiti alle banche stesse; le banche conieranno falsa carta-moneta che sarà poi utilizzata anche per la corruzione politica)ù

Secondo governo Crispi (dal ’93 al ’96)



Politica interna: -viene istituita la banca d’Italia
- repressione dei Fasci siciliani tramite l’esercito (stato d’assedio)
- repressione contro i socialisti che vengono dichiarati fuori legge


Politica estera: -è esclusivamente politica coloniale: Crispi tramite una favorevole interpretazione di un accordo scritto in aramaico, secondo cui l’Etiopia era protettorato italiano, decide di investire fortemente nell’esercito da mandare in Africa, dove sarà sconfitto. Questa sconfitta dell’esercito italiano causerà la caduta di Crispi dal governo.

IMPERIALISMO NEI VARI STATI (STORIA)

Situazione in Francia durante l’Imperialismo


Dopo la sconfitta subita contro la Prussia, a Parigi scoppiò una ribellione e fu proclamata la Comune, radicale esperimento di democrazia diretta; in essa sono presenti diverse forze rivoluzionarie, che vanno da orientamenti socialisti, a gruppi repubblicani democratici più moderati. La Comune, non accettata dalla popolazione rurale, tentò i di coinvolgere nella rivolta anche la popolazione delle altre città e delle campagne ma non ebbe successo e presto venne sconfitta dall’esercito ufficiale e dai tedeschi. A questo punto fu convocata una assemblea costituente, che doveva dare vita ad un sistema politico costituzionale. La nuova Costituzione prevedeva un parlamento bicamerale, formato dalla Camera bassa, che detiene gran parte del potere legislativo, e dal Senato; molto importante è anche il ruolo del Presidente della Repubblica (eletto dalle Camere riunite), il quale, se aveva la maggioranza all’interno del Senato, poteva sciogliere la Camera bassa.
I socialisti, essendo stati molto presenti nella Comune, furono emarginati dalle forze politiche dominanti (democratici, radicali, opportunisti ecc.); i democratici possono essere più o meno moderati, i radicali hanno un orientamento democratico anticlericale e gli opportunisti (es.Junefery) sono molto impegnati per la laicizzazione dello Stato, per il libero mercato e per il riconoscimento dei diritti politici ma sono poco impegnati nell’ambito delle riforme sociali.
In questo periodo in Francia ci fu molta tensione:
Boulangè: generale repubblicano che riuscì a coalizzare intorno a sé molti consensi che provenivano da diverse parti (esponenti della chiesa cattolica, esponenti filo monarchici ecc.) e tentò il colpo di Statoma senza successo poiché fu capito.
Dreyfus: ufficiale ebreo dell’esercito che fu accusato di alto tradimento in quanto ebreo (in Francia c’era forte antisemitismo); fu processato e condannato, nonostante le prove fossero insufficienti e alla fine fu assolto.


Situazione in Inghilterra durante l’Imperialismo

Politica interna:

1) Questione dei partiti: nel 1884 vi fu un allargamento del suffragio elettorale, che coinvolse anche il settore operaio; questa riforma fu voluta dai liberali, dai settori conservatori guidati da Israeli e dal mondo sindacale (partito laburista). I liberali insistono molto sulla necessità del controllo del Parlamento sul governo e hanno una posizione meno imperialista rispetto ai conservatori; i conservatori invece puntano molto sull’impergno coloniale e insistono molto sul ruolo della corona e del governo, rispetto al Parlamento;
2) Questione irlandese: questo problema fu assunto dal partito liberale, che si era reso conto della necessità di arrivare ad una legge di autonomia; tuttavia non riuscì ad approvarla poiché all’interno del partito, si era formata una opposizione che aveva votato contro la legge di autonomia e ciò fece crollare il governo;
3) Ruolo della Camera dei Lords: aveva il potere di bloccare le leggi di bilancio e, quando bloccò la proposta di aumentare le tasse per le riforme sociali, fu approvata una nuova legge che stabiliva che la Camera dei Lords, avrebbe potuto respingere una legge di bilancio, solo per due volte, ma poi essa doveva entrare in vigore.



Situazione in Russia durante l’Imperialismo


Sotto il governo dello zar Nicola II si forma il partito social democratico russo, il partito social rivoluzionario, che vuole richiamarsi alla tradizione russa, molto critica nei confronti dell’Occidente e favorevoli alle terre comuni (fonti di approvvigionamento per i poveri, nei momenti di maggiore
difficoltà), e il gruppo dei cadetti, detto partito costituzionale democratico (partito liberale, legato ad alcuni nobili e ad alcuni intellettuali.
Rivoluzione del 1905: la Russia era molto interessata al territorio della Manciuria e per questo arrivò ad uno scontro con il Giappone; il Giappone propone allo zar un compromesso, il quale viene respinto dallo zar e il Giappone riesce a vincere sulla Russia, la quale, in seguito a questa sconfitta, dovette affrontare una serie di moti di protesta. A questo punto, lo zar, che è lontano e pertanto non può intervenire direttamente, concesse una assemblea parlamentare a suffragio ristretto (Duma), ma poi lo zar, ripreso il controllo della situazione, restrinse ulteriormente il suffragio dell’assemblea parlamentare, già molto ristretto. Intanto nacquero dei consigli di operai (soviet), che avevano competenze legislative e prendevano le decisioni attraverso delle discussioni.

Dopo il 1905, lo zar lascia spazio alle tendenze riformatrici:
Caso del conte Stolypin: nobile che riteneva che fosse necessario introdurre una riforma agraria in Russia; egli voleva eliminare il sistema feudale medievale e passare ad un sistema di proprietà capitalistica amministrata direttamente dai proprietari, i quali producevano, non solo per l’autoconsumo. Questo progetto fu iniziato ma venne presto interrotto poiché Stolypin fu ucciso; in ogni caso le sue riforme avevano portato ad un peggioramento della situazione dei più disagiati e pertanto non era un progetto efficiente.

venerdì 9 dicembre 2011

ROMANTICISMO(ARTE)


LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA NORD E SUD D’ EUROPA
In linea generale, con la diffusione della corrente romantica di inizio ‘800, l’arte europea si concentrò su due temi diversi: al nord prese piede la pittura della natura, al sud la pittura politico-civile.

Gli artisti di Francia (Gericault, Delacroix), Italia (Hayez) e Spagna si concentrarono quindi sulla rappresentazione personificata di valori civili o eventi politici, come “La Libertà che guida il popolo” di Delacroix (Pag.104). L’italiano Hayez si dedicò soprattutto al ritratto di personaggi noti, ma ritroviamo anche opere di altro genere dello stesso artista, come il famoso “Bacio”. Gli artisti di Gran Bretagna (Constable e Turner) e di Germania (Friedrich) invece rappresentavano nelle loro opere soprattutto paesaggi naturali. La differenza sostanziale tra inglesi e tedeschi era la raffigurazione rispettivamente di una pittura da una parte esclusivamente di paesaggi e dall’altra concentrata sul rapporto uomo-natura. 



FRIEDRICH
In Friedrich sia ne “Il monaco in riva al mare” che ne “Il viandante sul mare di nebbia”, la spiritualità e cristianità dell’autore emerge nel confronto con la grandiosità della natura, espressione del Sublime. I personaggi sono spesso raffigurati di spalle così che ogni osservatore possa immedesimarsi in essi. L'autore non segue le proporzioni accademiche (per esempio: ne "Il monaco in riva al mare", il cielo occupa quasi tutto il dipinto).



CONSTABLE
In Gran Bretagna Constable si dedica ad una pittura di paesaggi, spesso sereni, rievocando il suo luogo d’origine (il pittoresco Lake District). Le sue opere ad acquarello, grazie all’aggiunta di tocchi di bianco, acquistano luce e movimento (possiamo percepire la “vibrazione” del dipinto). Le caratteristiche tipiche dell’autore le troviamo ne “Il mulino di Flatford” (Pag.95, tomo 5) del 1817.


TURNER
Turner tende a raffigurare nelle sue opere la terribilità della natura nelle situazioni più estreme(incendi, tempeste...), al limite del reale. Egli utilizzava episodi storici per dipingere, puntando l'attenzione però sul paesaggio. (Pag. 90) Nell'opera "Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi", Turner dipinge un bufera che sovrasta i personaggi, dipinti nella loro piccolezza e impotenza di fronte alla natura. La natura è vista come espressione del divino; essa è rappresentata, procedendo per macchie di colore (soprattutto tonalità calde). Facendo un confronto con David nel dipinto "Bonaparte che valica il Gran San Bernardo" (Pag. 61) è evidente come Napoleone domini sulla natura, a differenza dei personaggi dipinti da Turner.


GERICAULT

Gericault possiede una formazione di tipo accademico, influenzata dalle opere di altri artisti, osservate nelle sue numerose visite al Louvre. Successivamente si discosta dalla visione accademica e si lascia influenzare dalla corrente romantica. Inizialmente si dedica alla raffigurazione di membri dell'esercito a cavallo, poi parte dalla Francia verso Roma. In Italia subisce l'influenza dell'arte classica e per questo motivo avvia degli studi di anatomia per poter meglio rappresentare i corpi (alla maniera di Michelangelo). Propri per questo alcune figure del dipinto "La zattera della Medusa" (Pag. 98) verranno paragonate ai "Prigioni" di Michelangelo. Tale dipinto rappresenta il salvataggio di una scialuppa di sopravvissuti al naufragio della nave Medusa. Il ritrovamento della scialuppa avvenne però tardi e molti superstiti erano già morti agonizzanti. Il dipinto fu per questa ragione motivo di scandalo per il governo conservatore, che si sentiva preso in causa per i soccorsi tardivi. Lo schema del dipinto potrebbe essere a doppia piramide o a "X"; il tutto converge nel giovane che sventola una stoffa per attirare l'attenzione dei soccorsi. I colori sono in generale freddi, eccezion fatta per i drappi rossi di alcuni personaggi più rilevanti. Gericault segue lo schema compositivo accademico (40%-60% o viceversa per la linea dell'orizzonte, mai 50%-50%).
Altre opere importanti di Gericault sono "Ritratti di alienati" (Pag. 101) e rappresentano vari personaggi con diverse manie (gioco, furto...). Seguendo le teorie di Cesare Lombroso, egli credeva che certe caratteristiche fisiche fossero corrispondenti a precise malattie psichiche (soprattutto la conformazione del cranio). Tali dipinti potrebbero essere ispirati dalle caricature di Leonardo Da Vinci.




DELACROIX 
Delacroix viaggiò molto: alcune delle sue mete furono il Marocco e l’ Algeria, luoghi da cui prese spunto per parte delle sue opere. Molto di moda a quell’epoca è il tema medio-orientale e ne è un esempio il dipinto “Le donne di Algeri nelle loro stanze”(Pag. 107).  Viene definito “maestro del colore” per gli studiati accostamenti cromatici: egli infatti fu precursore dell’impressionismo. Gli impressionisti differiscono da Delacroix per due ragioni: dipingevano per piccole macchie di colore mentre egli stende il colore per masse più ampie e accostavano i colori in maniera più scientifica. Passa dalla corrente classica imparata dal suo maestro, allievo a sua volta di David, a quella romantica, ricca di sentimento. Nel 1822 esordisce con “La barca di Dante” al Salone degli artisti e nel 1824 dipinge “Il massacro di Scio”. Quest’ultimo si riferisce a un avvenimento contemporaneo, ovvero la guerra di indipendenza tra Greci e Turchi. Nel dipinto è rappresentata la sanguinosa repressione dei Turchi sulla popolazione greca inerme. La composizione non è classicheggiante, infatti non abbiamo strutture piramidali o prospettiche, ma diversi nuclei narrativi. In primo piano vediamo le vittime agonizzanti; in secondo piano la lotta e sullo sfondo il paesaggio di cielo e mare. Raffinatezza nelle vesti, nei particolari e nei colori. Il dipinto fu molto criticato: Antoine-Jean Gros lo ritenne il massacro della pittura. Un altro dipinto famoso di Delacroix è “La morte di Sardanapalo” (Pag.106), in cui il protagonista elimina tutti i suoi averi prima di suicidarsi per non cadere nelle mani dei nemici. Nell’opera sono presenti nudi femminili (per cui l’autore venne criticato) e un colore incentrato sul rosso, il bianco e il nero (come faceva Tiziano). Emerge dal dipinto il gusto per l’esotico, molto di moda in quegli anni. Una delle opere più significative dell’autore è “La Libertà che guida il popolo” (Pag.104). La scena è ambientata a Parigi, di cui vediamo alcuni edifici sullo sfondo. La personificazione della Libertà stringe tra le mani la bandiera francese ed è accerchiata da insorti del popolo; intorno alla Libertà si alza della polvere chiara che illumina il dipinto; dietro la polvere il sole splende. Risaltano gli indumenti di colore rosso, blu e bianco dei popolani. Il dipinto venne criticato per la presenza dei peli sotto le ascelle della Libertà (l’idealizzazione non sembra consona) e per il ceto basso a cui appartenevano quasi tutti i personaggi (i più altolocati non si riconoscevano nel dipinto seppur erano presenti anche alcuni personaggi borghesi).


HAYEZ
OPERE: Tipiche di tutte le opere di Hayez sono le ambientazioni medievali, molto di moda a quel tempo. L’esempio ha un’ambientazione storica (come ne “I Promessi Sposi”).
-“PIETRO ROSSI…” (Pag. 122):
Dipinto ricco di sentimento. I parenti e gli amici del protagonista non vogliono che egli parta alla volta di Venezia perché sanno già che gli verrà teso un agguato (facile confronto dei parenti/amici con le donne del “Giuramento degli Orazi” di David).
-“I VESPRI SICILIANI” (Pag. 116): In questo dipinto è chiaro il messaggio patriottico di Hayez: un donna siciliana viene oltraggiata da un francese; il fratello di lei uccide l’uomo e il resto della popolazione prende spunto dal fatto per una rivolta.
-“IL BACIO” (Pag. 124): Il messaggio sentimentale che sembra emergere a prima vista non è il solo del dipinto. Hayez si concentra principalmente sui colori (bianco, rosso, blu e verde), quelli della bandiera di Francia e Italia, alleate per la cacciata degli Austriaci dalla penisola. Notevole è la raffinatezza della seta del vestito della donna. L’uomo è seguito (ombre alle sue spalle): egli deve fuggire, forse a servire la patria. 

martedì 6 dicembre 2011

MANZONI-ADELCHI (ITALIANO)

L’Adelchi è una tragedia di Manzoni.
Nelle sue tragedie Manzoni cerca di eliminare l’unità di spazio e di tempo,e reintroduce il coro,ripreso dalla tragedia greca,in cui l’autore esprime un proprio giudizio.
La vicenda tragica è ambientata tra il 772 e il 774 nelle terre dei longobardi.
I personaggi e gli avvenimenti sono quasi tutti storici anche se a volte la verità dei fatti è alterata dall’autore.
La tragedia inizia con Desiderio,re dei Longobardi,che viene a conoscenza del fatto che sua figlia Ermengarda è stata ripudiata da Carlo Magno,re dei Franchi.
Adirato,Desiderio fa pressione sul Papa affinché vengano reintegrati nella linea di successione al trono franco i figli di Carlomanno,fratello di Carlo Magno,ma il Papa chiede aiuto a Carlo Magno,paladino della cristianità, per essere difeso dall’oppressione di Desiderio.
Carlo Magno marcia quindi sulle terre longobarde e sconfigge l’esercito longobardo guidato da Adelchi,figlio del re.
Intanto Ermengarda,che si è rifugiata nel convento della sorella Ansberga,viene raggiunta dalla notizia del secondo matrimonio di Carlo,ed essendo ancora innamorata del re dei Franchi,muore dopo uno struggente delirio.
Nella parte finale della tragedia Adelchi viene ferito a morte mentre sta difendendo dall’avanzata dei Franchi la città di Verona,e morente esorta il padre a non disperarsi e di abbandonare la vita pubblica.
I protagonisti indiscussi della tragedia sono Adelchi ed Ermengarda,i due fratelli che vivono combattuti tra desiderio e realtà.
Adelchi vorrebbe essere un paladino,un liberatore,e aspirare alla gloria,ma si ritrova ad essere figlio del re di un popolo barbaro,che è conosciuto solo per la sua feroce barbarie,Ermengarda è combattuta invece tra la passione ancora viva per Carlo ed una morale religiosa.
Altri personaggi sono Carlo e Desiderio,che sebbene siano contrapposti condividono l’autorità regale ed il linguaggio del potere.
Adelchi ed Ermengarda condividono una colpa,ovvero il provenire dal ‘popolo del sangue’,che sarà però espiata attraverso la morte dei protagonisti,la quale porterà anche alla loro salvezza,si dice per questo che in Manzoni vi è un ‘pessimismo cristiano’.

-La confessione di Adelchi ad Anfrido (pag.150)

Nel passo Adelchi confessa all’amico Anfrido il sogno irrealizzabile di giungere alla gloria e di farsi paladino delle giuste virtù.
Emerge qui,attraverso le parole di Adelchi,un popolo longobardo connotato come crudele,dedito alla violenza e al furto,il cui unico pregio è quello di essere un popolo numeroso.
I sogni di gloria e di giustizia del protagonista sono distrutti perché egli è costretto a compiere azioni dedite alla violenza,contrarie quindi alla sua volontà,a causa della popolazione a cui appartiene.
Anfrido risponde che non può far nulla per Adelchi, l’unico consiglio che può dargli è quello di soffrire ma di essere grande.
Appare qui evidente in Adelchi la scissione dell’io-mondo.

-Il coro dell’atto quarto (pag.160)

Il coro dell’atto quarto chiude il quarto atto dell’Adelchi,diviso in cinque atti.In questo passo Manzoni compiange la situazione terrena di Ermengarda,combattuta tra la fede religiosa e il passionale ma allo stesso tempo struggente amore per Carlo,e ne descrive la morte,avvenuta a Brescia nel convento della sorella Ansberga.All’inizio del coro viene presentata Ermengarda appena morta attorniata dalle suore che terminano il loro pianto funebre,un’Ermengarda che sul letto di morte avrebbe dovuto dimenticare i ricordi che le avevano causato una grande sofferenza,ma che invece affiorano anche nel termine della sua esistenza.Dopo la descrizione di Ermengarda morente si aprono infatti i suoi stessi ricordi,legati soprattutto alla parte della vita trascorsa in Francia nella corte di Carlo,quando ella era felice, non essendo ancora a conoscenza del fatto che sarebbe stata ripudiata.Nei ricordi di Ermengarda appare la concezione eroica che ella aveva del marito: pur avendo infatti Carlo ucciso un solo cinghiale,grazie ai pensieri della sposa,sembra aver compiuto una grande impresa eroica;appare anche la visione sensuale che Ermengarda aveva di Carlo,quando infatti egli si bagna nel fiume traspaiono le passioni terrene della donna.Dopo la descrizione del tempo trascorso in Francia si apre una similitudine che narra tempi più recenti,i tempi del chiostro.L’amore per Carlo è qui descritto come un sole cocente.Dopo la similitudine la narrazione ritorna sulla figura di Ermengarda che,in letto di morte,si è avvicinata all’amore divino,paragonato al sole calante che è in netta contrapposizione col sole cocente della similitudine.
Ermengarda dopo la morte, grazie alla sua situazione di vittima,ha trovato la grazia divina,pur appartenendo al popolo del sangue,ovvero il popolo longobardo.

lunedì 5 dicembre 2011

SENECA (LATINO)


SENECA
Indotto al suicidio, era un letterato che riuscì ad adeguarsi all’imperatore ma che poi se ne allontanò e pagò per questo con la morte.
EPISTULAE MORALES AD LUCILIUM (pag. 108)
Lucilio era un giovane politico, inesperto discepolo di Seneca, a cui Seneca funge da precettore. Seneca non si considera un uomo alle vette dello stoicismo bensì se ne trova ancora sulla strada; è comunque più avanti negli studi rispetto a Lucilio.
Le epistole che scrive non hanno nulla a che vedere con quelle di Cicerone (egli scriveva a destinatari noti delle lettere reali, raccontava di episodi accaduti davvero; le sue lettere avevano una funzione informativa per l’interlocutore e nascevano da esigenze reali). Per Seneca non è così; le sue lettere infatti hanno comunque un destinatario e fanno riferimento alla vita reale ma trattano soprattutto di argomenti filosofici e morali che riguardano le condizioni dell’uomo nel tempo in cui è collocato; questo genere di epistole forse non sono quindi pensate per essere necessariamente inviate ma piuttosto pubblicate.
Si dice che le epistole di Epicuro siano il precedente greco di quelle di Seneca. Seneca è uno stoico ma fa riferimento anche all’epicureismo quando gli sembra utile ed attinge alla fonte epicurea. Egli si sente come una sentinella che va ne campo nemico (epicureismo) e cerca ciò che gli sembra utile per il suo accampamento.
Lo stile delle epistole è caratterizzato quasi sempre da una brevità essenziale; si fanno molti riferimenti alle immagini concrete della vita quotidiana e quindi è utilizzato un linguaggio che tutti i lettori sono in grado di recepire (escludendo schiavi ed analfabeti).
Seneca non si rivolge più solo ai politici (gruppo stretto intorno all’imperatore) ma anche a persone che costituiscono la fascia popolare degli ex funzionari pubblici: l’autore li vuole rendere più consapevoli poiché la realtà in cui vivono non li soddisfa. Bisogna quindi trovare altri modi per vivere bene e soddisfarsi, nuovi modi per passare il tempo e riscoprire la propria identità, riconciliandosi con sé stessi e ritrovando serenità e tranquillità. Spesso infatti gli ex dipendenti dello Stato erano depressi perché non potevano più occuparsi della vita pubblica. La loro possibilità di parteciparvi si restringe sempre di più durante l’età Giulio-Claudia; non c’è più libertà di espressione e di partecipazione alla vita politica, a differenza dell’età repubblicana.

Sii padrone del tuo tempo (pag. 109-111 libro 3)
Seneca saluta il suo Lucilio.
1. Fai così o mio Lucilio: rivendica a te stesso, e trattieni e conserva il tempo che fino ad adesso o ti era sottratto, o rubato, o fuggiva. Convinciti che le cose stanno così come scrivo: un po’ di tempo ci viene strappato, un po’ ci viene portato via e un po’ sfugge. Tuttavia la perdita più sconveniente è quella che avviene per negligenza. E se vorrai fare attenzione, una grande parte della vita sfugge nell’agir male, la parte più consistente non facendo niente, e tutta la vita facendo altro.
2. Chi mi troverai che ponga un qualche prezzo al tempo, che calcoli il giorno, che capisca di morire ogni giorno? In questo infatti sbagliamo, cioè che proiettiamo in avanti la morte: una gran parte di questa è già passata; tutto il tempo che è alle spalle è dominio della morte. Fai dunque, o mio Lucilio, ciò che stai facendo, e tieni strette tutte le ore; così accadrà che tu dipenda meno dal domani, se afferrerai l’oggi. Mentre si rimanda, la vita trascorre.
3. Tutto, Lucilio, è estraneo, soltanto il tempo è nostro; la natura ci ha dato il possesso di questa sola cosa fugace e fuggevole, da cui allontana chiunque vuole (essere allontanato). E la stoltezza dei mortali è così grande che sopportano che siano imputate loro le cose che sono piccolissime e di pochissimo conto, certamente alle quali c’è rimedio, quando le hanno ottenute, mentre nessuno che ha ricevuto il tempo ritiene di essere debitore di alcunché, quando questo è l’unico bene che neppure colui che è grato può restituire.
4. Tu chiederai forse che cosa faccia io che ti do questi insegnamenti. Te lo dirò sinceramente: ciò che avviene a un amante del lusso ma scrupoloso, tengo il controllo delle spese. Non posso dire di non perderne, ma dirò che cosa perderò e perché e in quale modo; e renderò conto della mia povertà (di tempo). Ma a me capita ciò che capita alla maggior parte di coloro che sono ridotti in povertà non per colpa loro: tutti li perdonano, nessuno li aiuta.
5. E allora? Non credo povero colui per cui è sufficiente quel poco che gli rimane; tuttavia preferisco che tu mantenga i tuoi beni e che tu cominci a farlo ora che è il momento giusto. Infatti, come dicevano i nostri antenati: “L’oculatezza tardiva è sul fondo” (è inutile); infatti non rimane soltanto pochissimo sul fondo ma la parte peggiore. Addio.
COMMENTO
PARTE PRIMA
Questo brano, il primo dell’opera, non ha una funzione premiale anche se in esso troviamo elementi di continuità con il resto dell’opera.
L’esordio è in Medias Res, non c’è un’introduzione, sembra che Seneca stia rispondendo ad una domanda dell’interlocutore che chiede come ci si debba rapportare con il tempo. Seneca dice di “essere padroni si sé stessi” ovvero di mettere al centro della propria vita e del proprio tempo la propria persona. La colpa del passare del tempo o è una sua caratteristica o è colpa degli altri. Per godere del tempo che ci è dato dobbiamo utilizzarlo al meglio per noi stessi (si rivolge ai disoccupati).
Tra le prime due frasi abbiamo sei verbi quasi sinonimi; questa ripetizione è tipica del maestro che vuole far apprendere bene il concetto agli alunni.
La negligenza per Seneca è l’assenza di attività, la passività, il dedicarsi a cose poco importanti.
PARTE SECONDA
Seneca si chiede se ci sia qualcuno che tenga di conto il tempo; esso infatti è come una clessidra: ogni granello che cade è un passo verso la morte.
“Mentre si rimanda, la vita trascorre”: si tratta di una “sententia”. Le “sententiae” sono frasi che hanno un senso pieno anche se estrapolate dal contesto in cui sono inserite. Seneca è un filosofo che si occupa della vita dell’uomo; fornisce infatti indicazioni, consigli e risposte per la vita quotidiana dei lettori affinché essi riescano a dare un senso alla propria vita.
PARTE TERZA
La natura priva del possesso del tempo solo che ne vuole essere privato.
Chi ha ricevuto il tempo non ritiene di essere il debitore di niente e nessuno.
Molti danno peso alle cose di poco conto e non al tempo, il quale non potrà essere restituito. Gli uomini non si danno pensiero di perdere tempo.
L’ultimo periodo di questa parte è molto lungo e articolato all’interno; strano per Seneca!
PARTE QUARTA
Seneca spiega qual è il suo comportamento: egli usa il tempo consapevolmente e conosce bene quanto e come lo perde.


Dio è nel profondo dell’uomo. (pag. 120-123 libro 3)
Seneca saluta il suo Lucilio.
  1. Fai una cosa ottima e vantaggiosa per te se, come scrivi, perseveri a indirizzarti verso la saggezza, che è cosa stolta desiderare dato che puoi ottenerla da te stesso. Le mani non sono da tendere al cielo ne’ bisogna pregare il custode del tempio di lasciarci avvicinare all’orecchio della statua come se potessimo essere ascoltati di più: dio è vicino a te, è con te, è dentro di te.
  2. Così dico, o Lucilio: dentro di noi risiede uno spirito sacro, osservatore e custode dei nostri mali e beni; lo stesso dunque tratta noi a seconda di come esso è trattato da noi. Nessuno è un uomo buono veramente senza dio: ed è possibile che qualcuno si innalzi sopra alla sorte senza l’aiuto di quello? Lui da consigli grandi e nobili. In qualunque degli uomini buoni abita un dio, un dio che è incerto (grassetto = esametro di Virgilio).
  3. Se ti si presenterà un bosco fitto di alberi antichi e più alti del consueto e che copre la vista del cielo con il protendere i rami che si coprono gli uni gli altri, quell’altezza del bosco, l’isolamento del luogo e la meraviglia data dall’ombra così fitta in uno spazio aperto ed ininterrotta, ti spingeranno a credere in una divinità. Se una grotta sosterrà un monte con le sue rocce profondamente erose, non fatta dall’uomo, non scavata da cause naturali fino a così grande profondità, toccherà il tuo animo con il sospetto di una qualche presenza divina. Noi veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; l’improvviso sgorgare dal profondo della terra di un ampio corso d’acqua ha altari, le fonti di acqua calda sono oggetto di culto, sia il colore cupo sia la grande profondità hanno reso sacri alcuni laghi.
  4. Se vedrai un uomo coraggioso nei pericoli, puro dalle passioni, felice nell’avversità, calmo in mezzo agli sconvolgimenti, che guarda gli uomini dall’alto, gli dei allo stesso livello, non si insinuerà in te una venerazione per lui? Non dirai: “Questa cosa è troppo grande ed elevata perché possa essere ritenuta simile a questo piccolo corpo in cui si trova?”
  5. Una forza divina discende in questo; una potenza celeste muove l’animo superiore, equilibrato, che oltrepassa ogni cosa come se fosse di poco conto, che ride di ciò che temiamo e desideriamo. Una cosa così grande non può esistere senza il sostegno di un Nume; e così con la parte più grande di sè è lì da dove arriva. Come i raggi del Sole toccano sì la terra, ma sono là da dove sono emessi, così l’animo grande e sacro, mandato per questo, affinché conosciamo di più le cose divine, si trova sì con noi, ma resta saldo alla sua origine; da là si propaga, là guarda e verso là tende, partecipa alle nostre vicende come se fosse migliore.
  6. Che cos’è dunque questo animo? Ciò che non risplende di nessun bene se non del proprio. Che cos’è infatti più stolto del lodare nell’uomo ciò che gli è estraneo? Cosa è più insensato di colui che ammira le cose che possono passare ad un altro facilmente? Le briglie d’oro non rendono migliore il cavallo (...).
  7. Loda in quell’uomo ciò che non si può sottrarre ne’ dar, ciò che è proprio dell’uomo. Mi chiedi che cosa sia? E’ l’animo e la ragione completa dell’animo. Infatti l’uomo è un animale razionale; e così il suo bene viene portato a perfezione se compie ciò per cui nasce. Cos’è ciò che da lui esige questa ragione? Una cosa facilissima, vivere secondo la propria natura. Ma la pazzia comune rende ciò difficile: l’un l’altro ci spingiamo nei vizi. In che modo possono essere richiamati alla salvezza coloro che nessuno trattiene e che la massa respinge? Addio.
COMMENTO
PARTE PRIMA
La saggezza non è esterna ma è già dentro di noi.
Seneca immagina di rispondere a Lucilio che gli aveva probabilmente chiesto: “faccio bene ad aspirare alla saggezza?”
PARTE SECONDA
La divinità che si identifica con il Logos è qualcosa di esterno che comprende tutto quanto ma è nel contempo proiettato dentro ciascuno di noi.
Per giungere alla saggezza non dobbiamo supplicare nessuno perché il dio ce l’abbiamo già dentro di noi.
Seneca utilizza delle Variatio come: prope + tecum + intus : il primo ed il terzo sono avverbi mentre il secondo è un aggettivo.
Sacer - spiritus – sedet costituiscono una figura retorica di consonanza (s).
Se ascoltiamo la nostra componente divina riusciamo addirittura ad andare al di sopra del fato a noi predestinato.
PARTE TERZA
Uno spettacolo così non può che essere frutto di una azione divina!
La frase è molto lunga per enfatizzare il concetto.
Vi è una serie di periodi ipotetici della realtà.
Gli esempi prima sono pochi e lunghi, poi diventano tanti e brevi.
Bisogna avere fede nella possibilità dell’esistenza di una potenza divina.
PARTE QUARTA
Si parla dell’uomo saggio. Seneca enuncia la consapevolezza della possibilità del raggiungimento della saggezza: bisogna però dare spazio alla scintilla del Logos dentro ad ognuno.
PARTE QUINTA
E’ presentata una descrizione delle nostre potenzialità divine. Il saggio le sa rendere attuali.
L’anima deriva dalla grande anima universale (Logos intero) da cui si staccano le particole: ciò dimostra che l’anima dell’uomo non può esistere così bene se non ci fosse qualcosa di divino che la presiede al suo interno. Come il sole resta attaccato ai suoi raggi, il divino rimane comunque attaccato a ciò che propaga da sé.
PARTE SETTIMA
Tutti siamo presi da questo vortice di vizi: ci si tira l’uno con l’altro. Seneca è avverso alla folla, che considera appunto viziosa.


Il principe e il sapiente ( italiano, pag. 135-136 libro 3)
Chi si occupa di politica guarda sempre ad ambizioni più alte che lo spingono a voler affermarsi e a volere ancora di più. Il sapiente è invece colui che è tranquillo, come lo stesso Seneca, che scrive le lettere quando si è già distaccato dalla vita politica dello Stato.



Giustizia e clemenza, le due doti del buon principe. (pag. 130-132 libro 3)
  1. Ho deciso di scrivere il “De Clementia”, o Nerone Cesare, per servire in qualche modo da specchio e per mostrarti che tu giungerai al piacere più grande di tutti. Infatti, sebbene il vero frutto delle azioni compiute correttamente sia l’averle fatte e benché nessuna ricompensa delle virtù e degna di queste sia al di fuori di queste, giova guardare e ispezionare la buona coscienza, e anche mandare gli occhi verso questa immensa moltitudine discorde, sediziosa, sfrenata, pronta a esultare per la rovina degli altri e in egual modo per la sua, se romperà questo giogo, e così parlare tra sé e sé:
  2. “Sono stato io preferito e scelto tra tutti i mortali, per svolgere il ruolo degli dei sulla terra? Io sono arbitro della vita e della morte dei popoli; quale sorte o condizione abbia ciascuno, è nella mia mano; che cosa la sorte voglia che sia dato a ciascuno dei mortali, lo pronuncia per mio tramite; i popoli e le città traggono i motivi del benessere del nostro responso; nessun luogo gode di benessere senza il mio volere e la mia volontà: queste molte migliaia di spade, che la mia pace tiene ferme, al mio cenno saranno impugnate; dipende da me quali popoli sia necessario si debba distruggere completamente, quali deportare, a quali dare la libertà, a quali toglierla, quali re è opportuno che diventino schiavi e sulla testa di quali è opportuno mettere la corona, quali città debbano andare in rovina, quali nascano.
  3. In questo così grande potere né l’ira, né l’impeto giovanile, né il coraggio degli uomini, né l’ostinazione, che spesso fa perdere la pazienza anche agli uomini più tranquilli, mi spinsero a infliggere ingiusti supplizi, e nemmeno la gloria stessa, spaventosa nel mostrare la potenza attraverso il terrore, ma frequente nei grandi comandi. La spada è riposta anzi, legata vicino a me, è totale anche il risparmio del sangue più spregevole; nessuno, a cui mancano altre cose ma abbia il nome di uomo, non sia ben accetto presso di me.
  4. Ho la severità nascosta ma la clemenza a disposizione. Così mi proteggo, come se dovessi render conto alle leggi che ho chiamato alla luce dal torpore e dalle tenebre. Sono stato mosso dalla giovinezza di uno, dalla vecchiaia dell’altro; ho donato ad uno per il prestigio, a un altro per la umiltà; quanto non trovai nessun motivo di misericordia, ebbi pietà di me stesso. Oggi sono pronto, se gli dei mi chiedessero il conto, ad enumerare il genere umano.
COMMENTO
Il “De Clementia” è stato scritto:
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->O mentre Seneca lavorava ancora per Nerone. In questo caso l’autore mette in luce le virtù che in princeps doveva esercitare nei confronti dei sudditi. Il princeps è assimilato al buon “pater familiare” che deve essere generoso e pietoso ma nel contempo arbitro della vita e della morte di chi dipende da lui; è concessione del princeps togliere le facoltà ai propri sudditi (governo paternalistico).
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->O dopo l’uscita di Seneca dalla vita politica. In questo caso l’opera va vista come un monito a ciò che Nerone non ha fatto, quindi come critica al suo governo (è stato clemente ma solo in senso paternalistico).
PARTE SECONDA
E’ prevalente l’interpretazione del testo scritto dopo l’uscita dalla vita politica.
La concezione del sovrano sembra di tipo assolutistico.
I re e i popoli sono assoggettati a Roma e vengono indicate le azioni che il buon principe per loro grazie al suo arbitrio.
Vi sono rime e molte frasi brevi; alla fine però né scaturisce una frase molto articolata.
Tutto è prerogativa del principe nelle situazioni di conquista, non si parla di Consigli come il Senato.
PARTE TERZA
Nonostante un potere così grande il principe non si è mai lasciato trascinare nel dare pene ingiuste, abusando di questo grande potere. Egli non si è macchiato di tutti quei difetti che hanno di solito i sovrani (forse Nerone si era macchiato di questi difetti, se seguiamo la seconda interpretazione del brano).
Il principe si astiene a spargere il sangue, anche della persona più vile di tutte.
Seneca è portatore del valore dell’Humanitas i quali ideali Nerone probabilmente non portava avanti.
PARTE QUARTA
“procintu”= pronto a combattere, è un vocabolo preso dal linguaggio militare.
Il princeps deve essere severo ma in primo luogo clemente.
Le leggi di cui parla erano probabilmente rimaste nascoste per lungo tempo. Seneca sta volutamente esagerando o per una “captatio benevolentiae” dell’imperatore o per criticarlo abbondantemente.
Vi è una specie di autocensura dell’autore, per salvarsi la pelle e soprattutto per sottostare alle preferenze del sovrano; gli argomenti e gli esempi sono riferiti all’antichità in modo che non interferiscano con i sentimenti del princeps attuale,
Ricorda: comparativo + quam ut + congiuntivo = “troppo…(agg.).. per…(verbo)..”


Otium et negotium (italiano- pag. 150 libro 3)
PRIMA PARTE
Le ricompense e ricchezze che ricevono i funzionari pubblici sono disprezzate.
Praticare il Negotium ci mette in una condizione miseranda; non si riesce a distaccarsi dai propri beni, onori e vanità. E’ come essere sottoposti a schiavitù e tanti sono quelli che ne sono sottoposti e se la tengono cara.
SECONDA PARTE
Tema del tempo: pensiamo di avere un tempo illimitato per fare le cose e continuiamo a rimandarle.
Paura della morte: essa ci porta a peggiorare. Invece dovremmo arrivare alla fine della vita come lo eravamo all’inizio di questa, senza nessun male e nessuna colpa.



Quintiliano parla di Seneca (italiano-pag 145)
-          Seneca aveva anche una produzione scientifica (sintetizza le concezioni antiche riguardi i fenomeni di cui vuole trattare) a quei tempi però la trattatistica era solo di tipo compilatorio.
-          Per la tragedia si rifà al mito greco per gli argomenti. Non si sa datare la produzione tragica di Seneca:
  1. O durante il governo di Nerone. In questo caso anche le tragedie sono parte dell’insegnamento per il princeps. Si parla delle conseguenze nefaste derivanti dal lasciarsi prendere dalle passioni che avrebbero effetti deleteri sul principe.
  2. O dopo aver lavorato per Nerone. In questo caso le nefaste conseguenze sarebbero quelle in cui è incorso il princeps stesso.
-          le tragedie vennero scritte per poi essere rappresentate o soltanto per essere lette? Non si sa. In quel periodo avevano preso piede le “recitationes” ovvero davanti a un pubblico ampio ed anche popolare si leggevano opere o brani che dovevano servire come spunto per un dibattito seguente. Di ciò si occupavano gli oratori e gli scrittori tra i quali forse anche Seneca..
-          C’è chi dice che le tragedie di Seneca non vennero mai rappresentate perché in esse erano presenti scene di morte che non potevano, secondo la tradizione e la convenzione, essere presentate visivamente agli spettatori. Inoltre chi sostiene questa tesi fa notare che nelle tragedie di seneca si esce dall’unità di tempo, si descrivono eventi che non si svolgono nell’arco di uno o pochi giorni, ma in molto più tempo: questo rendeva irrealizzabile la rappresentazione della tragedia.
-          C’è chi invece sostiene che le tragedie di Seneca vennero rappresentate: d’altronde, dicono, chi dice che a Roma non si potesse nel I secolo d.C. rappresentare scene di morte??
-          Quintiliano è critico nei confronti di Seneca: lo ritiene poco accurato nella filosofia poiché sembra non avere mai posizioni definitive. Inoltre lo stile è considerato corrotto ( Quintiliano è sostenitore di Cicerone e scriverà in un modo simile a quello di Cicerone; nonostante questo nel suo modo di scrivere si intuisce che Seneca lo ha influenzato inevitabilmente, avendolo letto e studiato anche il critico Quintiliano è stato influenzato dal predecessore.)
-          Lo stile di Seneca, dice Quintiliano, è caratterizzato da “difetti attraenti” come l’omettere, il sottintendere ecc. Questo modo di scrivere piace, fa presa soprattutto sui ragazzi e non sugli uomini di cultura; il consiglio di Quintiliano è: va bene leggere Seneca per i colti che “sanno come prenderlo” ma non per i ragazzi e i giovani che ne verrebbero influenzati troppo.




 De Otio “il saggio sa giovare agli altri anche nella vita ritirata” pag 136-137 2. Le due scuole degli epicurei e degli stoici sono in grandissimo disaccordo anche su queste cose ma entrambe anche se per vie diverse indirizzano all’inattività. Epicuro dice: “il sapiente non arriverà alla politica a meno che non succeda qualcosa”; Zenone dice: “accederà alla vita pubblica a meno che non ci sia qualcosa che lo impedisca”. 3. L’uno cerca di proposito l’inattività, l’altro per un motivo. Ma quel motivo ha un vasto campo di applicazione: se lo stato è troppo corrotto per poter essere aiutato, se (lo stato) controllato da malvagi, il saggio non si adopererà inutilmente e non si impegnerà sapendo che non potrà giovare in niente; se avrà poca autorità o forza e lo stato non avrà intenzione di accoglierlo, se la salute glielo impedirà come non metterebbe in acqua una nave distrutta, come un malato non si arruolerebbe così non intraprenderà un percorso che sa essere impraticabile. 4. Anche colui che ha ancora tutto in suo potere, ancora prima di provare una qualche tempesta può rimanere al sicuro e affidarsi completamente alle virtù e reclamare un’inattività intatta, fautore delle virtù che possono essere esercitate anche delle persone più tranquille (che si sono dedicate completamente all’inattività). 5. Proprio questo è richiesto all’uomo, cioè che porti beneficio agli uomini; se è possibile (giova) a molti, se no a pochi, se no ai più vicini, se no a se stesso. Infatti quando rende se stesso utile a tutti gli altri, agisce nel bene comune: come colui che si rende peggiore non solo nuoce a se stesso ma anche a tutti quelli a cui avrebbe potuto giovare se fosse diventato migliore, così chi si comporta bene con se stesso giova agli altri proprio in questo poiché prepara un uomo che gioverà agli altri. 1. Abbracciamo con l’animo le due repubbliche: l’una grande e davvero pubblica nella quale sono compresi dei e uomini, nella quale non guardiamo questo o quell’angolo, ma limitiamo con il sole i confini del nostro stato; l’altra (è quella) a cui ci assegnò la condizione di nascita (questa sarà o degli Ateniesi o dei Cartaginesi o di una qualunque altra città), che interessa non a tutti gli uomini, ma solo ad alcuni. Alcuni allo stesso tempo si occupano di entrambe le repubbliche, di quella maggiore e di quella minore; alcuni sono della minore altri della maggiore. 2. Possiamo servire questa repubblica più grande anche nell’inattività, anzi a dire il vero non so se (la possiamo servire) meglio nell’inattività, in modo da ricavare che cosa sia la virtù, se sia una sola o se siano molte, se la natura o l’arte renda buoni gli uomini. COMMENTO Il De Otio si colloca negli ultimi anni della produzione di Seneca. È dedicato all’amico Sereno il quale appartiene ai ceti alti e che un tempo, come lo stesso Seneca, faceva parte della vita pubblica. Sereno si rivolge all’amico Seneca per chiedergli aiuto dato che ora la maggior parte della sua vita è dedicata all’otio (inattività). Ora lui ah una funzione nella vita pubblica di tipo passivo, ovvero come guida dei suoi simili. Questa “risposta” è una spiegazione che può valere per chiunque si trova nella situazione di Seneca o Sereno. PARTE 3.2 Entrambe queste scuole nascono per rispondere a una domanda comune nata durante il periodo ellenista: cosa fare dato che non ci si può più occupare della vita pubblica? Entrambe le scuole prevedono un arrivo comune incentrate sull’uomo e sul cammino che compie, che risulta diverso per le due scuole di pensiero. Epicuro dice che si può da subito ad astenersi dalla vita politica, mentre Zenone dice che bisogna partecipare alla vita polita a meno che qualcosa non lo impedisca. PARTE 3.3 I motivi per cui uno stoico deve ritirarsi dalla vita pubblica sono: × Lo stato è corrotto e controllato da malvagi; × Il saggio non è in grado di guidare lo stato; × Qualcuno impedisce al saggio di guidare lo stato; × Il saggio è malato. PARTE 3.4 Tuttavia anche chi non è stato colpito da una “tempesta”, ovvero che non è stato colpito da uno dei motivi sopra elencati ed ha ancora tutte le sue forze, può dedicarsi alla virtù. L’otio non è un ripiego alla vita pubblica ma può essere una scelta e un punto d’inizio. PARTE 3.5 Chi è utile a se stesso inevitabilmente gioverà meglio anche agli altri e migliorando se stesso migliorerà anche gli altri. Questa è la risposta al fatto che si possa in partenza scegliere l’otio perché risulta una scelta che migliora se stessi e gli altri. Non è una scelta contemplata dallo stoicismo romano, ma è una scelta dettata dalla propria situazione personale, Seneca è partito dalla corte di Nerone ma ciò non ha giovato a nessuno. PARTE 4.1 La repubblica più piccola si identifica con lo Stato, mentre è visibile una visione cosmopolita tipica del mondo greco in cui la patria è il mondo (patria che abbraccia tutti i popoli, gli dei, il cielo ecc…) Il compito primo dell’uomo è quello di giovare prima a tutti gli uomini e poi solo ad alcuni. PARTE 4.2 Dedicarsi all’inattività, e solo a questa, non aiuta solo lo stato in cui si è nati ma anche la repubblica “mondiale".