lunedì 12 dicembre 2011

PETRONIO (LATINO)

PETRONIO ( pag. 230-239)

Si dice che il “Satyrikon” venne scritto da Petronius Arbiter; di egli non si sa nulla poiché non è noto per altre cose. Di lui ci parla Tacito (pag. 230): egli viveva alla corte di Nerone ed era un consigliere di immagine dell’imperatore (lo consigliava riguardo l’organizzazione di feste, banchetti, abiti ecc..). Il testo che Petronio scrisse risalirebbe infatti all’epoca di Nerone (vi sono trattati temi che possono rimandare all’età neroniana quali un poemetto sulla distruzione di Troia e un dibattito sulla crisi dell’eloquenza e della letteratura).

I più però identificano il “Satyrikon” come un romanzo in cui si trova una commistione di prosa e versi. Esso troverebbe quindi un antecedente nella “fabula Menippea” dell’età ellenistica e una fonte di ispirazione nella “fabula Milesia” (di Mileto, si trattava di un racconto “sporco”, di carattere licenzioso, di cui abbiamo un esempio anche nel “Satirikon” di Petronio.

Il nome dato all’opera poi ci farebbe pensare ad una vera e propria Satira ovvero un racconto di tipo umoristico capace però di far riflettere; in realtà il “Satyrikon” prenderebbe il nome da un piatto ricco e variegato che i supplici offrivano in età antica agli dei.

Il “Satyrikon” è il primo esempio di romanzo latino che trova un antecedente nel romanzo greco.

Il romanzo greco non si sa quando nacque, forse in età ellenistica, anche se prima si faceva risalire solo al I secolo d.C. in corrispondenza non l’età imperiale di Nerone. Il romanzo greco era un genere letterario popolare, mirava ad un destinatario ampio e non avanzato nella scolarizzazione anche se comunque in età ellenistica molta gente sapeva già leggere e scrivere. Si trattava di una letteratura di evasione, che serviva a far divertire il pubblico. Si creavano scenari esotici per una storia d’amore ricca di peripezie ma che aveva sempre un lieto fine. Era già in uso mettere come protagoniste della storia coppie di omosessuali.

Si diceva quindi che il romanzo di Petronio non era altro che una parodia o una caricatura del romanzo greco poiché ha come protagonista un trio di omosessuali e le avventure amorose erano molto licenziose; inoltre rimane anche in Petronio un’ambientazione di tipo esotico. Dopo che venne scoperto che anche nei romanzi greci vi erano coppie di omosessuali come protagonisti il romanzo latino non venne più visto come un a parodia di quello greco.

Nonostante la lettura del romanzo avesse scopo d’evasione gli argomenti di cui trattava erano anche di tipo intellettuale; è più probabile che il destinatario vero e proprio dell’opera fosse l’intera corte di Nerone, di grado più alto rispetto al popolino.

Lo scopo di Petronio è ignoto. Alcuni pensano che l’opera abbia una funzione di critica del bel mondo descritto, in questo caso quello della corte di cui però anche lo stesso Petronio fa parte. Altri pensano invece che si tratti semplicemente di una oggettiva descrizione di quel mondo che è visto da Petronio come “arricchito”; infatti non è formato dagli aristocratici ma piuttosto da diversi liberti che vengono nell’opera criticati da Petronio (nel I secolo d.C. molti liberti erano funzionari di corte ed acquistavano prestigio e denaro pur essendo sempre degli schiavi.). Lui si considera raffinato, loro sono solo invece buzzurri arricchiti.

LATRAMA (pag. 241-242)

LA DECADENZA DELL’ELOQUENZA (pag. 243-245)

Sta parlando Encolpio. Egli afferma che l’educazione retorica del tempo è completamente estranea a ciò che è la vita reale: i giovani che vengono educati nelle scuole, non appena si trovano nel Foro, si trovano spiazzati. Essi vengono educati con le “declamationes” di storie fantasiose o che comunque non accadono mai nella vita quotidiana e che hanno quindi un’utilità pari a zero.

Fino a quel tempo erano tre gli stili utilizzati dagli oratori romani: il primo era quello Attico, sintetico, agile ed essenziale, utilizzato da Cesare, il secondo era quello Asiano (scuola di Pergamo), al contrario era ridondante nella forma ma badava poco alla sostanza, infine vi era lo stile Rodiese che era una via di mezzo tra i due precedenti, utilizzato da Cicerone. Nel nostro caso Petronio parla di una degenerazione dello stile Asiano, chiamato anche Barocco che ha avuto la prevalenza su quello Attico.

Gli oratori del tempo non sono capaci di innovazione come lo furono invece Sofocle ed Euripide, creatori di grandiose opere, Pindaro ed altri, che non avevano imitato il grande Omero.

Inizia poi a parlare il retore Agamennone. Egli dice che se ci si adegua troppo alle richieste degli alunni non si ottiene nulla da loro; sono gli alunni a doversi elevare al livello degli insegnanti e non gli insegnanti a doversi abbassare ai loro comodi. Secondo Agamennone le cause della decadenza dell’eloquenza vanno ricondotte in primo luogo alla scuola stessa che è avulsa dalla realtà; in secondo luogo ai genitori degli alunni ed alla società che sono mossi dall’ambizione e non si preoccupano dell’istruzione che costi fatica ed impegno ma di quella che dia risultati facili e veloci.

Agamennone consiglia che vero oratore non dovrebbe inoltre servire alla volontà dei potenti e neanche essere commissionato dai ricchi ed essere venduto per poco. Dovunque egli risieda deve iniziare con lo studio della poesia, poi della filosofia, poi dell’oratoria ed infine della letteratura latina; a questo punto potrà aggiungere un po’ della propria inventiva e capacità.

OPINIONE DI PERSIO (pag. 245-246)

Persio era un contemporaneo di Petronio.

Egli descrive gli effetti che un certo tipo di declamazione può provocare su chi ascolta.

In quel periodo, dice Persio; si scrive senza tenere conto di cosa ci sia fuori dalla propria casa, pensando che le proprie opere siano di straordinaria bellezza. I declamatori sono ben pettinati, portano un grosso anello, curano la gola e sono gradevoli a vedersi e a sentirsi. Ciò che importa è il modo in cui si pongono e non quello che dicono. I Romani si lasciano turbare e condizionare dai loro discorsi.

LA CENA DI TRIMALCHIONE: LE SORPRENDENTI PORTATE (pag. 246-250)

E’ qui descritta una cena sfarzosa, ostentata e di pessimo gusto, tipica dell’”arricchito”. Si guarda al pregio, al valore, le diverse portate sono arricchite da sorprese, il padrone di casa è ben curato d’aspetto ma bestemmia.

LA CENA DI TRIMALCHIONE: LE RIFLESSIONI SULLA MORTE (pag. 251-253)

Si parla della limitatezza dell’uomo inl quale vive meno che una bottiglia di vino. Questo argomento era ormai un tòpos letterario, un’imitazione di discorsi passati.

UNA SCENATA DI GELOSIA (pag. 254-255)

E’ descritto un momento della narrazione in cui è messo in luce l’ambiente di ultima categoria dell’osteria.

N.B. = LEGGERE LA CRITICA DI PAOLO FEDELI A PAG. 259-260 (SE SI VUOLE TUTTO IL SUO SAGGIO DISPONIBILE IN BIBLIOTECA)

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