APOLLONIO RODIO
Apollonio
Rodio nasce, approssimativamente, nel 295 a.C. ad Alessandria. E’ contemporaneo
di Callimaco con il quale è in contatto.
Secondo alcune fonti ci sarebbe stata una disputa tra i due, a causa del fatto
che Rodio aveva scritto un poema epico, discostandosi quindi dai canoni della
poesia di Callimaco, che si era schierato contro il tradizionale modo di fare
poesia (e quindi contro la forma del poema epico); il successivo spostamento di
Apollonio a Rodi sarebbe dunque dovuto a questo contrasto con l’ ex maestro
Callimaco.
A ben
indagare, però, le suddette fonti non sono del tutto affidabili e l’ idea di un
contrasto tra i due poeti ha basi del tutto inconsistenti.
E infatti
Apollonio non è enumerato tra i Telechini, ovvero i detrattori di Callimaco, né
si può considerare la sua opera una pura imitazione del poema di stampo
omerico; Apollonio non contravviene ai principi estetici callimachei, anzi, il
suo obbiettivo è proprio quello di riproporre Omero passando attraverso la
lezione di Callimaco ( è facile intuire questo aspetto anche dal fatto che in
diverse situazioni Apollonio viola il
“codice” epico e si avvicina di più alla tragedia e alla lirica monodica, oltre
al fatto che nel suo poema non troviamo più la figura dell’eroe tradizionale,
ma una sorta di “antieroe”).
L’ OPERA- “LE ARGONAUTICHE” ( vedi
trama pag. 139-140)
L’ argomento
dell’ opera ( il viaggio di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’
oro e il loro successivo rientro in Grecia) è antecedente alle vicende narrate
nell’ Iliade e nell’ Odissea ( i suoi protagonisti appartengono alla
generazione precedente) e viene affrontato in maniera molto diversa rispetto ai
poemi omerici:
-
innanzitutto
la lunghezza del poema, solo 4 libri
(cfr. tetralogia tragica, che prevedeva che ogni autore presentasse 3 tragedie
e un dramma satiresco ) contravviene alle norme del codice epico.
-
lo
spazio è chiuso, circolare: il punto di partenza coincide con quello di arrivo
( l’ obbiettivo di Giasone e compagni non è la Colchide, ma la Grecia) ; in
diversi momenti, inoltre, il paesaggio, descritto minuziosamente con
particolare attenzione ai dettagli (si veda il passo “Il passaggio delle
Simplegadi”), contribuisce a creare un’ atmosfera onirica e surreale (in alcuni
momenti gli stessi protagonisti credono di compiere un viaggio verso la morte).
-
La
vicenda non inizia in medias res, come nei poemi omerici, ma
viene narrata seguendo scrupolosamente l’ ordine cronologico delle vicende (nel proemio viene raccontato brevemente l’
antefatto e poi la narrazione comincia dall’ inizio); il tempo viene inoltre
spezzettato dai molti excursus eziologici, dalle analessi e dalle anticipazioni
inserite dall’autore.
-
Elemento
assolutamente innovativo rispetto alla tradizione omerica è l’ intervento dell’
autore: se nell’ epos omerico l’aedo
era solo uno strumento per il canto della Musa, qui l’autore acquista una sua
autonomia ed è consapevole dell’ originalità della propria creazione e della
fama che da essa gli deriverà. Sono
molto frequenti l’ uso della
prima persona e l’ inserimento di commenti, domande, affermazioni,
considerazioni di tipo metaletterario.
-
Una grande
differenza si riscontra anche nei personaggi e nella loro caratterizzazione:
innanzitutto, come per tutta la letteratura ellenistica, compaiono personaggi
umili, quali servi e bambini, che acquistano una loro autonomia (si veda Eros
rappresentato e descritto come un
bambino, non come un adulto in miniatura) e la figura della donna ha ormai
acquisito, già a partire da Euripide, un’ importanza pari, se non superiore, a
quella dell’ uomo. Ma la novità più significativa sta proprio nel come questi personaggi vengono
descritti: essi sono umani, non più
idealizzati come avveniva nell’ epos. Si pensi alla figura di Giasone: egli è
caratterizzato, fin dall’ inizio, da incertezza
e incapacità: non è mai sicuro riguardo alla decisione da prendere e nelle
difficoltà non è capace di prendere in mano la situazione e di salvare sé e i
compagni ( si deve sempre attendere l’ intervento divino o l’ aiuto di altri
personaggi quali Medea). La sua caratteristica principale è dunque l’ αμηχανία contrapposta
alla πολυτροπία
di Ulisse.
Il proemio (pag. 147)
La
tradizionale invocazione alla Musa viene qui sostituita da un’ invocazione al
dio Apollo, che sarà molto presente durante tutta la vicenda degli Argonauti.
In questo
proemio viene raccontato l’ antefatto, il che ricorda molto i proemi
informativi di Euripide. Negli ultimi versi emerge inoltre la contrapposizione
tra il poeta e gli autori del passato (“i poeti di un tempo….. ora io…”), il che mostra la
consapevolezza dell’ autore riguardo alla novità costituita dalla sua opera.
La contesa tra Ida e Idmone (pag.
149)
Sono appena
stati celebrati i sacrifici in onore di Apollo e i compagni di Giasone
festeggiano l’ imminente partenza. Solo il protagonista non prende parte ai
festeggiamenti, ma si isola momentaneamente riflettendo sulla scelta compiuta e
sulla pericolosità che la missione comporta per lui e per i suoi compagni ( già
qui possiamo notare l’ indecisione che caratterizzerà Giasone in tutta la
vicenda). A causa di questo atteggiamento, egli viene apostrofato da Ida, che
non accetta di sottostare agli ordini di un condottiero sfiduciato e deride gli
oracoli, affermando la propria autosufficienza rispetto all’ aiuto divino.
La sua
arroganza e la sua hybris vengono ammonite da Idmone, figlio e oracolo del dio
Apollo, il quale definisce Ida “sciagurato” perché “cieco a causa del vino” e i
suoi discorsi “stolti e arroganti”.
Ida
rappresenta l’ eroe omerico tradizionale, mosso da coraggio e determinazione
e impavido di fronte ai pericoli,
nettamente contrapposto all’ indeciso e timoroso Giasone, del quale non può
comprendere l’angosciante solitudine.
Ida è anche
contrapposto a Idmone, a causa della sua tracotanza, che lo porta a
deridere gli oracoli e gli stessi dei.
Il rapimento di Ila (pag. 154)
In questo brano si racconta appunto il
rapimento di Ila, il giovane amato da Eracle; allontanatosi dai compagni per
ricercare una fonte a cui attingere, Ila viene rapito da una Ninfa, invaghitasi
della sua bellezza. Il suo urlo è udito da Polifemo, amico di Eracle che subito
si mette sulle tracce del giovane. Nel bosco incontra Eracle e gli racconta
l’accaduto; l’ eroe, inconsolabile, non si darà pace fino a quando non avrà
ritrovato l’ amato: esplora tutti i luoghi circostanti ma non trova Ila in
nessun luogo. Intanto all’ alba la nave Argo salpa senza di lui.
Questo episodio serve principalmente a
togliere di scena Eracle e ha quindi un importante ruolo nell’ economia di
tutto il poema. L’ autore opera questa scelta perché sa perfettamente che il
più forte e valoroso eroe greco, Eracle, è irriducibile alla figura dell’ eroe
moderno, pieno di dubbi e timori: egli non può dunque essere coinvolto in una
spedizione in cui il condottiero è proprio Giasone, emblema dell’ eroe moderno,
che richiederà l’ aiuto di una donna per portare a termine la sua missione
(ovviamente un eroe tradizionale come Eracle
non l’ avrebbe mai fatto).
Questo breve episodio costituisce un
epillio autonomo all’ interno dell’ opera ed è caratterizzato da alcuni temi
quali l’ Eros e il paesaggio, tipici della letteratura ellenistica.
Questo racconto sarà ripreso anche da
Teocrito.
Il passaggio alle Simplegadi (pag. 157)
Gli Argonauti, durante il loro viaggio
verso la Colchide, devono affrontare il pericolosissimo passaggio delle
Simplegadi, due grandi scogli che non sono immobili, ma che si avvicinano e
allontanano continuamente, rendendo così il passaggio particolarmente
rischioso.
In questo brano si nota, in un primo
momento, la contrapposizione tra le capacità tecniche di cui fanno sfoggio gli
Argonauti e la resistenza opposta dalla natura; nella parte finale del brano,
invece, i protagonisti cadono in una rassegnata αμηχανία, e potranno essere salvati solo dall’
intervento divino (sarà infatti Atena a spingere la nave oltre il passaggio).
Nel dialogo finale, tra Tiphis e
Giasone, emerge l’umanità del protagonista, il quale esprime tutta la sua
angoscia e il timore per l’incolumità dei compagni.
In questo brano emergono tre aspetti
caratteristici dell’ opera di Apollonio:
-
da una parte c’è
la caratterizzazione di Giasone e dei suoi compagni, che ne mette in risalto il
“timore e tremore” a indicare come questi personaggi non siano in grado di
prendere in mano la situazione e di uscire dalle difficoltà senza il sostegno
della divinità; essi sono dunque degli eroi moderni, non più valorosi e
coraggiosi, ma umani, e quindi dotati di una dimensione interiore comprendente
anche dubbi e incertezze.
-
La descrizione
dettagliata del paesaggio che serve a mettere in rilievo da una parte la
difficoltà oggettiva che gli Argonauti si trovano di fronte, dall’ altra il
loro stato d’ animo caratterizzato prevalentemente da paura.
-
Il motivo
eziologico: con l’ inserimento di questo episodio, Apollonio spiega come le
Simplegadi si siano finalmente fermate.
LEGGERE LO STESSO BRANO TRATTO DA VALERIO
FLACCO, PAG. 159 E SEGUENTI.
Il dardo di Eros (pag 163)
Hera e Atena, preoccupate per la sorte
di Giasone, si recano da Afrodite e le chiedono di mandare suo figlio Eros
sulla Terra, affinché colpisca con una delle sue frecce la giovane Medea, in
modo tale da farla innamorare di Giasone. In questo modo l’ eroe potrà avere il
sostegno delle potentissime arti magiche conosciute dalla fanciulla.
Nei versi introduttivi è raccontata la
scena in cui Afrodite dà questo importante incarico al figlioletto,
promettendogli in cambio un regalo (una palla); è singolare la descrizione che
viene fatta di questi due personaggi divini: Eros è un bambino e viene
descritto esattamente come tale e non come un adulto in miniatura. Il dio viene
ritratto mentre sta giocando ed è
contraddistinto da atteggiamenti tipicamente infantili (“aggrappandosi alle
vesti”, “la pregava di dargliela subito, senza aspettare”), mentre Afrodite è
descritta proprio come una madre umana (“lo trasse a sé, lo baciò sulle guance
abbracciandolo”). Questi personaggi non hanno dunque più niente di divino, la
stessa scena potrebbe svolgersi ovunque, in una qualsiasi famiglia; questo
perché, nell’ età ellenistica, gli dei
dell’ Olimpo perdono il loro ruolo di artefici del destino umano: essi
diventano esempi comportamentali o simbolo di qualcosa (ad esempio Eros e
Afrodite vogliono semplicemente significare “amore”), ma non sono più loro a
costruire le vicende umane.
Anche nel caso dell’ innamoramento di
Medea, l’input è sì divino ( è il dardo di Eros che fa innamorare Medea), ma il
cambiamento interiore del personaggio avviene attraverso modalità
specificamente umane, abilmente descritte da Apollonio riprendendo alcuni
elementi della lirica corale (Saffo).
Infatti, dopo che Eros “con sguardo
ammiccante, fattosi piccolo” colpisce la giovane con il suo “dardo amaro”
(anticipazione del triste destino di Medea) ed esce di scena “gongolante di
gioia”, ha inizio l’ innamoramento, di cui ci viene descritta la sintomatologia
fisica ed interiore:
la fanciulla si sente ardere come se
avesse un fuoco dentro di sé, gli occhi brillano (in Saffo, la vista si
annebbia), il cuore batte all’impazzata e si fa strada nell’animo di lei un dolce tormento (ossimoro che descrive
efficacemente la condizione di Medea nei momenti immediatamente successivi), il
suo volto passa dal colorito pallido delle guance al rossore.
Singolare è poi il fatto che l’ autore
paragoni la giovane maga a una donna che, alzatasi presto per filare ravviva
continuamente il fuoco per tenersi sveglia, e quindi a una donna ritratta in
un’ attività umana e quotidiana. Questa è un’ altra differenza rispetto al
poema omerico, dove i personaggi venivano paragonati agli dei oppure agli
animali.
Tormento notturno (pag.166)
Viene qui descritto quel “dolce
tormento” che affligge Medea all’ arrivo di Giasone; alla tranquillità e al
silenzio della notte (“mentre il viandante e il guardiano a quell’ ora
agognavano il sonno…. Per la città non più ululati di cani, non forte
frastuono: il silenzio regnava sull’ombra sempre più fitta”), si contrappone il
tumulto interiore di Medea (“Ma il dolce sonno non prese Medea”). Lo stato d’
animo della fanciulla viene paragonato al fenomeno della rifrazione (raggio di
sole riflesso in uno specchio o nell’ acqua, vv. 756- 759).
Ella è infatti combattuta tra l’ amore
per Giasone e il suo pudore virginale; considera le varie possibilità:
scegliere la via dell’ amore significherebbe innanzitutto aiutare Giasone nella
sua missione, salvandolo da morte certa, e abbandonare la casa e i suoi affetti
per tornare in Grecia con lui; oppure
scegliere la via del pudore, aiutando Giasone ma uccidendo se stessa; oppure
ancora restare viva e affrontare il suo “destino di tenebra”. Questo conflitto
interiore porta per un momento Medea a considerare come possibile soluzione il
gesto estremo del suicidio; sta per prendere i filtri con i quali togliersi la
vita, quando “a un tratto nell’animo le venne atroce terrore del cupo regno dei
morti”: il giovanile amore per la vita la porta a retrocedere di fronte a
questo gesto estremo. La giovane comincia ad attendere impazientemente l’ alba,
non tanto per porre fine al suo tormento notturno, ma per rivedere il volto di
Giasone e consegnargli i filtri magici che lo aiuteranno bella sua missione: ha
scelto la via dell’ amore, che la condurrà a un triste destino in una terra
lontana.
La terribile prova:
Nei
versi che descrivono la titanica lotta di Giasone contro le mostruose creature
che si frappongono fra lui ed il magico vello la componente omerica dell'arte
di Apollonio ha un netto sopravvento sugli elementi di "modernità"
che caratterizzano tante parti del poema. La stessa figura dell'eroe, quasi
sempre contraddistinta da una frustrante condizione di amechanìa, di angosciata irresolutezza davanti ad ogni difficoltà
incontrata lungo il suo cammino, assume qui decisamente i tratti del'eroe
epico. Ciò si vede per esempio nei termini utilizzati da Apollonio per
descrivere Giasone: "Era nudo, e somigliava ad Ares in parte, in parte ad
Apollo, che porta la spada dorata."; ben piantato sulle gambe;
infaticabile; pieno di forze; eroe.
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