Callimaco
La Vita e le Opere: Nato a Cirene, Callimaco era
figlio di Batto, omonimo dell'antico fondatore della città, dal quale la sua
famiglia si vantava di discendere, e "Battìade" fu appunto il
patronimico con cui egli stesso volle essere ricordato. Il poeta si trasferì ad
Alessandria, dove inizialmente si guadagnò da vivere facendo il maestro di scuola.
Tuttavia ben presto egli, segnalatosi per il suo brillante ingegno, entrò nella
cerchia dei poeti che dimoravano presso la corte tolemaica. Assai copiosa fu la
sua produzione poetica, ed ancora più vasta fu la sua attività di erudito
presso la Biblioteca alessandrina. La maggiore opera in campo filologico furono
i cosiddetti Pinakes (cioè
"tavole") in 120 libri, un ponderoso catalogo ragionato di tutta la
letteratura greca. Di ognuno degli autori, distribuiti nelle varie sezioni
dedicate ai diversi generi letterari, si dava l'elenco delle opere, preceduto
da un breve profilo biografico e corredato di note erudite inerenti a problemi
filologici e testuali. A conferma dei suoi svariati interessi culturali si
possono ricordare scritti eruditi quali Sui
fiumi dell'Europa, Sui fiumi del
mondo, Sugli uccelli, Sui venti, Denominazione dei mesi secondo i popoli e le città ed altri ancora.
La Rivoluzione Callimachea: Callimaco rappresenta,
dal punto di vista letterario, l'autore che più di ogni altro rispecchia la
svolta epocale impressa alla civiltà greca dalle conquiste di Alessandro.
Caposcuola di una corrente artistica fortemente innovatrice, destinata ad
influenzare a distanza anche la letteratura latina, egli elabora una poetica di
sostanziale rottura nei confronti della tradizione precedente, tradizione che
aveva avuto nei poemi omerici il suo testo "sacro". Alla pretesa di
riproporre, in pieno Ellenismo, i contenuti e lo stile del poema epico
tradizionale, emulandone anche la sterminata lunghezza, egli oppone un netto
rifiuto. L'antiomerismo di questo autore non tende tanto a mettere in
discussione la grandezza dell'antico epos, quanto a rilevare l'inattualità
della ripresa di esso da parte di goffi imitatori. Inoltre Callimaco sostiene
che la poesia sia fine a se stessa: un testo poetico non deve avere messaggi,
né etici né pedagogici, ed può essere considerata bella soltanto nel caso in
cui sia scritta bene.
Gli Aitia: Con "Cause"
potrebbe rendersi in italiano il titolo di quest'opera, che era costituita da
quattro libri di componimenti in metro elegiaco: ognuno di essi spiegava,
attraverso la rievocazione di un mito, la leggendaria origine di un'usanza, di
una cerimonia, di una festa, del nome di una località, coniugando così gli
interessi storico-antiquari, caratteristici del Callimaco filologo, con quelli
artistici, propri del Callimaco poeta. Gli espedienti cui Callimaco fa ricorso
per introdurre la narrazione etiologica sono i più vari: talvolta parla in
prima persona lo stesso protagonista dell'aition,
mentre in altri casi il racconto viene inserito in una "cornice". Il
poema trae origine da un sogno in cui le Muse appariscono a Callimaco, secondo
uno schema derivato dalla Teogonia
esiodea. Degli Aitia rimangono circa 200 frammenti di varia estensione. L'opera
presenta due proemi: il primo proemio è un prologo di carattere programmatico
in cui il poeta polemizza con i suoi avversari ed espone la propria poetica; il
secondo proemio è la rievocazione di un sogno in cui egli, trasportato in cima
al monte Elicona, discuteva con le Muse sull'origine di usanze e di riti. Il primo
proemio costituisce il documento più rilevante della polemica che oppose
Callimaco ai sostenitori delle forme letterarie tradizionali, soprattutto di
quel "poema unico ed ininterrotto" cui egli contrapponeva il suo
"epos in breve", esemplato appunto nelle elegie che formavano la
raccolta degli Aitia. Callimaco chiama i suoi avversari
"Telchini", dal nome dei maligni demoni sterminati da Apollo; e
appunto all'accusa, mossagli da costoro, di essere poeta "di pochi
versi", egli ribatte sprezzantemente che la poesia non va misurata in base
all'estensione.
Contro i Telchini: I primi
versi del proemio contengono una vera e propria enunciazione di poetica, per la
quale Callimaco trae spunto dalla fantastica identificazione dei suoi
detrattori con i Telchini. Da quanto si ricava leggendo questi versi, la
principale accusa che si rivolgeva a Callimaco era quella di essere oligostikos, cioè di scrivere componimenti
brevi, non essendo in grado di cimentarsi con il ben più impegnativo poema
epico. Il poeta non smentisce l'affermazione degli avversari, ma contesta la
spiegazione che essi ne danno, innalzando la leptoths,
l'"esilità" della poesia, a canone fondamentale della propria
concezione artistica, e motivando il rifiuto dell'epos tradizionale con precise
ragioni estetiche. Per fare ciò egli ricorre ad una serie di significative
immagini non allegoriche che contrappongono il suo modo di fare poesia a quello
dei tradizionalisti: da una parte il melodioso usignolo e la canora cicala,
dall'altra la stridula gru e l'asino ragliante; da un lato il pesante carro che
viaggia per strade ampie e già battute, dall'altro l'agile cocchio che si
avventura per impervi ed inesplorati sentieri.
Le città di Sicilia:
L'erudizione storico-geografica costituisce, insieme alla rievocazione di miti
spesso poco noti, la principale caratteristica degli Aitia. Questo brano, che consiste in un dialogo fra lo stesso
Callimaco e la musa Clio, offre infatti lo spunto per rievocare antiche
tradizioni legate alle fondazioni delle città siceliote come il culto dei
fondatori delle città. In particolare nei riti sacrificali volti ad ottenere la
protezione divina sulla città di Zancle (l'antica Messina) non si invocava,
com'era invece costume altrove, il nome dell'eroe fondatore ricorrendo ad una
formula generica.
La storia di Acontio e
Cidippe: Il giovane Acontio si innamora perdutamente della bella Cidippe,
da lui conosciuta a Delo, e riesce a legarla a sé mediante una sorta di incantesimo.
Così, ogni volta che stanno per essere celebrate le nozze di Cidippe con uno
dei pretendenti, essa si ammala misteriosamente, finché un oracolo non rivela
la verità ed i due giovani possono finalmente unirsi in matrimonio. L'unione
fra la stirpe di Acontio e quella di Cidippe, entrambi discendenti da nobili
antenati, viene paragonata da Callimaco alla mistione fra diversi metalli.
La Chioma di Berenice: Si
tratta di uno dei testi più famosi nel mondo antico, divenuto oggetto di
imitazioni e di riscritture, fra cui la più celebre è senz'altro quella di
Catullo. Alla partenza del marito per un'ennesima campagna militare, Berenice
consacra in voto agli dei una ciocca dei suoi capelli, che poi scompare
misteriosamente dal tempio in cui era stata collocata; contemporaneamente
l'astronomo di corte, Conone, scopre un nuovo gruppo di stelle nel quale egli
individua la forma della ciocca stessa, proclamandone la miracolosa metamorfosi
in costellazione. L'espediente di far narrare alla stessa ciocca di capelli la
sua incredibile vicenda costituisce una prosopopea, mentre il tono encomiastico
del componimento è sottolineato dal fatto che i capelli di Berenice soffrono
per non poter più toccare la testa della donna.
L'Ecàle:
L'Ecàle è un breve poema epico di
contenuto mitico - etiologico, e rappresenta il prodotto forse più esemplare
della nuova concezione artistica affermata da Callimaco: la relativa brevità
dell'estensione e l'erudizione antiquaria costituiscono infatti gli elementi
peculiari dell'opera. Teseo si mette in viaggio per affrontare il feroce toro
di Maratona, che infesta quella regione. Sorpreso da un temporale durante il
cammino, egli trova ospitalità presso il modesto casolare di una vecchia
contadina, Ecale. Ripartito il giorno dopo, l'eroe porta a termine felicemente
la sua impresa; quindi fa ritorno alla casa di Ecale, per renderle il dovuto
ringraziamento, ma apprende con dolore che la vecchietta è spirata. Allora
egli, per onorarne la memoria, decide di chiamare con il nome della donna quel
luogo e di edificarvi un tempio in onore di Zeus.
Il ritorno di Teseo: Sulla
via del ritorno da Maratona, Teseo si imbatte in alcuni contadini: atterriti
alla vista dello sconosciuto e del gigantesco toro che egli trascina dietro di
sé, costoro stanno per darsi alla fuga, ma l'eroe li rincuora. Allora tutti
intonano il canto di vittoria e gettano foglie su Teseo in segno di onore,
mentre le donne gli incoronano il capo con fasce. Quest'ultimo particolare
spiega l'origine dell'usanza di fare lo stesso con gli atleti vincitori.
Il discorso della cornacchia:
Questo brano è occupato per la maggior parte dal discorso che una vecchia
cornacchia fa ad un altro uccello per spiegarle quanto sia pericoloso divulgare
avventatamente notizie sgradevoli (il colore nero delle piume delle cornacchie
rappresenta infatti una punizione per aver fatto ciò). Notevole risulta, nella
parte finale del frammento, la realistica descrizione dell'alba, il cui sorgere
è scandito dai suoni della vita che riprende dopo il silenzio del riposo
notturno.
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