CARATTERI GENERALI DELL’ ETA’
ELLENISTICA
L’ età
ellenistica va, convenzionalmente, dal 323 a.C. (morte di Alessandro Magno) al
31 a.C. ( battaglia di Azio, fine del regno dei Tolomei).
Ovviamente i cambiamenti per la civiltà e la cultura greche sono
enormi: La Grecia diventa un unico regno, in cui la πολις perde la sua autonomia come istituzione
politica e non può più autogovernarsi né legiferare. Oltretutto la Grecia, e
con essa Atene, non ha alcuna centralità a livello economico e perde il suo
primato in campo culturale; Atene resta infatti un centro per la filosofia, ma
non per la letteratura. Ciononostante la lingua e la cultura greche sono molto
diffuse: la Grecia diventa una terra di emigrazione e, insieme ai cittadini, si
sposta anche la cultura. E infatti in questa fase le classi dirigenti dei
diversi regni ellenistici hanno una cultura di matrice greca e si può perfino
parlare di una κοινή
διάλεχτος, un particolare dialetto greco di stampo
attico che era particolarmente diffuso
in tutti i regni ellenistici.
Un
importante centro economico e culturale è l’ Egitto, dove regna la dinastia dei
Tolomei, i quali fecero in modo di far convergere ad Alessandria importanti
intellettuali che si occupavano di discipline molto diverse. Questo fu
possibile grazie all’ istituzione del Museo
e della Biblioteca.
Il Museo
costituisce un importante centro di studi (in questo periodo, ad esempio, si
effettuano molte scoperte in ambito medico, grazie anche alla possibilità di
praticare la dissezione sui corpi umani) ed è proprio in questo contesto che
nascono le scienze; Non nasce però la figura dello scienziato: l’ intellettuale
ellenistico deve avere una conoscenza enciclopedica e non limitata ad un
singolo ambito di indagine. La Biblioteca è invece un luogo in cui vengono
conservati pressappoco tutti i libri esistenti in questo periodo. Qui
convergono, oltre ai testi sacri, anche testi provenienti dalle svariate
culture che erano in contatto con il regno d’ Egitto (tutte le navi che
giungevano al porto di Alessandria dovevano infatti consegnare tutti i rotoli
di papiro che trasportavano, i quali venivano ricopiati per essere collocati
nella biblioteca).
Anche qui emerge una nuova figura, quella del bibliotecario: costui
non solo si occupa di catalogare i testi
che giungono nella biblioteca, ma provvede anche a scriverne una sintesi (Callimaco, ad esempio scrisse le πιναχής, le “Tavole”, un’
opera andata perduta che raccoglieva le sintesi di tutte le opere della
biblioteca) ; ovviamente queste opere venivano anche studiate in maniera
approfondita, e in particolare da un punto di vista filologico ( è in questo
periodo, ad esempio, che ci si accorge di alcune incongruenze presenti nell’
Iliade e nell’ Odissea; nasce la questione omerica).
Gli
studiosi alessandrini prediligevano la catalogazione per tre: di ogni genere
letterario sceglievano i tre autori migliori; di questi abbiamo conservato
molto, mentre degli altri da questo momento in poi cominciano a perdersi molte
opere. Ho parlato di generi letterari perché è proprio in epoca ellenistica che
nasce la letteratura: cominciano in
questo periodo ad essere prodotte delle antologie,
grazie alle quali è possibile riconoscere elementi di continuità e di
distacco tra i diversi autori e definire dunque i diversi generi letterari.
Un
elemento di novità importante in questa fase è dato dalla nascita della letteratura popolare: aumentano l’
alfabetizzazione e la disponibilità di materiale papiraceo, che raggiunge
quindi costi più accessibili. La letteratura, dunque, non è più solo di tipo
erudito e a scopo pedagogico, ma diventa letteratura di evasione, volta a
dilettare e a far diventare un pubblico che non si limita più all’
aristocrazia, ma coinvolge anche quella che si potrebbe definire la borghesia
dell’ epoca.
Diretta
conseguenza di ciò è il cambiamento delle temi in ambito letterario: si
affrontano tematiche quotidiane, molte poesie di quest’ epoca sono dedicate a
piccoli animali o ad oggetti donati (poesia con motivo encomiastico); anche il
paesaggio assume una sua rilevanza: in alcuni casi rimane un paesaggio
evocativo (paesaggio- stato d’animo) come quello della poesia lirica arcaica,
in altri il paesaggio è fine a se stesso: ne viene fatta una descrizione molto
dettagliata, che coglie il paesaggio nel suo momento di massimo splendore (in
primavera o estate, acque fresche e limpide, brezza piacevole ecc..) e non
vuole evocare nient’ altro se non la bellezza del luogo.
Questo è
dovuto alla realtà urbana dei regni ellenistici: se nella Grecia antica città e
campagna erano poco distinguibili, una dentro l’altra, nei nuovi regni
ellenistici la distinzione è molto evidente; Alessandria, ad esempio, è una
metropoli nettamente distinta dalla campagna circostante. La campagna diventa un
luogo di svago e riposo per i cittadini e per questo si tende a idealizzarla, a
rappresentarla come esageratamente bella e ricca.
Anche il
mito è presente, ma gli autori ellenistici preferiscono inserire nelle loro
opere quei miti più ricercati e meno noti al pubblico, piuttosto che riprendere
i miti più famosi.
Un altro
elemento di novità è dato dalle figure trattate: a partire da questo momento
assumono importanza donne, bambini, schiavi, anziani, personaggi quotidiani che
nella letteratura precedente avevano avuto un ruolo marginale.
Questo è
probabilmente dovuto al fatto che il cittadino greco, in questa fase, non si
sente più cittadino di una πολις, ma cittadino del mondo: i greci hanno
riconosciuto l’ umanità anche in quei popoli che avevano sempre considerato
inferiori e, avendo perso la propria dimensione pubblica, ne hanno acquistata
una privata, prendendo consapevolezza di quei legami più intimi e familiari che
nell’ epoca della πολις
venivano sacrificati in favore di un maggiore impegno politico.
LEGGERE SAGGIO PAG. 24 E SEGUENTI
MENANDRO
E’ l’unico
autore della commedia nuova di cui ci è giunto qualcosa. Fino agli anni ’70 del
secolo scorso avevamo solo qualche frammento, ma in seguito furono rinvenuti
dei papiri contenenti ben cinque commedie, di cui tre in buono stato.
Menandro è
ateniese, nasce intorno alla metà del IV secolo a.C. e muore alla metà del III.
Volendo
fare un confronto con la letteratura latina, si può impostare un’ equazione del
tipo .
Menandro : Aristofane =
Terenzio : Plauto.
Infatti,
sia per Menandro che per Terenzio, la commedia ha la funzione non soltanto di
dilettare, ma di fornire insegnamenti etici e morali e il linguaggio è meno
vario (in Plauto e Aristofane troviamo una grandissima varietà di registri
linguistici).
Nelle
prime commedie di Menandro i personaggi sono dei tipi fissi, ovvero sono personaggi statici che non conoscono un
cambiamento durante il corso della vicenda (si pensi al Δυσκολός),
mentre nell’ ultima fase della sua produzione a noi giunta, i personaggi sono
meno statici.
Ovviamente
la commedia menandrea non affronta nessun tema politico, mentre si concentra
sulla dimensione interiore dei personaggi. E infatti i protagonisti sono
generalmente gli abitanti di una cittadina tranquilla, impegnati in un’
esistenza che ha nella famiglia e nei suoi valori l’ unico fulcro di interesse.
In genere un elemento di perturbazione
di questa società “borghese” è la presenza dell’ ètera, che spesso dà avvio alla vicenda (si pensi a “L’
arbitrato”).
Inoltre
molto spesso nelle commedie di Menandro sono presenti accenni ad alcuni mali
della società, come ad esempio i riferimenti alla diffusione di fenomeni quali
la prostituzione o l’ esposizione dei neonati.
In queste
commedie si ripropongono sempre le medesime situazioni; generalizzando: all’
inizio si trova un personaggio positivo che incontra delle difficoltà nel
raggiungimento del suo obbiettivo (l’ amore per una fanciulla, la scoperta
delle proprie origini ecc..), il protagonista affronta tali sfide mantenendo
sempre un comportamento positivo (rispetto dei valori, buon senso) per poi
raggiungere il suo obbiettivo. Le vicende hanno sempre un lieto fine e il
momento educativo sta proprio nel premio ricevuto dal personaggio positivo.
Importante
è l’ elemento della divinità: in questa fase il ruolo determinante che gli dei
dell’ Olimpo avevano avuto nelle vicende umane viene meno; i personaggi non
sono più guidati come marionette dalla volontà divina. L’unica divinità che
venerano è Tyche, la sorte della quale è impossibile conoscere il percorso.
Questa
crisi della religione tradizionale seguì la caduta della πολις ed
è uno degli elementi caratterizzanti dell’ età ellenistica.
Il Misantropo: La prima produzione
teatrale di Menandro è il Duskolos,
titolo reso in italiano con Il misantropo.
Il "misantropo" del titolo è Cnemone, un vecchio contadino che,
insofferente del genere umano, ha abbandonato la moglie ed il figliastro Gorgia
e vive lontano da tutti; unica compagnia, una vecchia serva ed una giovane
figlia devota a Pan il quale, per premiarla della sua devozione, ha fatto
innamorare di lei un ricco giovane di nome Sostrato. Questi gli antefatti. La
scontrosità di Cnemone rende difficile qualsiasi approccio del giovane, che
viene però inaspettatamente aiutato da un incidente occorso al vecchio: nel
tentativo di recuperare alcuni attrezzi accidentalmente caduti in un pozzo
questi vi precipita dentro, e solo l'intervento di Sostrato e di Gorgia gli
evita la morte. Ancora in affanno per il rischio corso, Cnemone si rende conto
dell'inumanità del proprio modo di vivere, e così adotta Gorgia come figlio e
lo incarica di trovare un marito alla sorella. Gorgia fidanza la fanciulla con
Sostrato e questi, per parte sua, convince il proprio padre Callippide a dare
in sposa a Gorgia la figlia, nonostante la disparità economica tra le due
famiglie. Al festino per le duplici nozze viene invitato anche Cnemone, ma il
vecchio è tornato quello di prima, e non vuole saperne di banchetti: ci
penseranno il servo Geta ed il cuoco a vendicarsi di lui trascinandolo a forza,
ancora dolorante, al pranzo di nozze.
L'Arbitrato: Sono solo
considerazioni inerenti allo stile quelle che inducono a collocare in una fase
più matura della produzione menandrea l'Epitrepontes,
L'arbitrato (il titolo di questa
commedia significa "coloro che si rivolgono ad un arbitro", ma si usa
renderlo più sbrigativamente con "l'arbitrato"). Un neonato esposto
viene raccolto dal pastore Davo, che però il giorno dopo lo cede ad un
carbonaio, tenendo per sé gli oggetti lasciati accanto al piccino. Il carbonaio
ora reclama anche quei monili, indispensabili per accertare l'identità del
trovatello, ma il pastore rifiuta e fra i due sorge una contesa. I litiganti
trovano casualmente un arbitro nel vecchio Smicrine, che ignora di essere nonno
del neonato, partorito da sua figlia Panfile pochi giorni prima e subito da lei
fatto esporre: infatti, sposata da appena cinque mesi con Carisio, la donna si
era ritrovata incinta per la violenza subita prima del matrimonio da uno
sconosciuto. Carisio, di ritorno da un viaggio, aveva saputo della gravidanza
della moglie e, certo che il figlio non fosse suo, se ne era andato da casa
cercando distrazione nell'etera Abrotono, nonostante fosse innamorato di
Panfile. L'arbitrato di Smicrine dà ragione al carbonaio, che così trattiene
per sé gli gnwrismata, ma Onesimo,
servo di Carisio, riconosce fra essi un anello del padrone, da lui perduto
durante una festa riservata a sole donne, e ne fa cenno ad Abrotono. A questo
punto l'etera ricorda di avere saputo dello stupro di una fanciulla avvenuto
durante una cerimonia del genere, e sospetta che il padre del bambino possa essere
proprio Carisio. Per accertarsene mostra a costui l'anello, fingendosi vittima
di quella violenza, ed il giovane ammette di averla commessa. Allora Smicrine,
saputa la cosa, preme sulla figlia perché si separi dal marito colpevole e si
faccia restituire la dote: ma Panfile, che ama ancora Carisio, si rifiuta di
farlo. Il giovane è frattanto preda di una profonda crisi di coscienza, avendo
ripudiato la moglie solo perché vittima di una violenza analoga a quella che
egli stesso crede di aver perpetrato sull'etera. Alla riconciliazione della
coppia dà la spinta finale Abrotono, che con estrema generosità riconosce a
Panfile la maternità del neonato (benché l'attribuirsela avrebbe potuto
consentirle l'affrancamento dalla sua condizione di prostituta), rivelando a
Carisio che la fanciulla violentata era proprio la sua futura moglie. Quasi
certamente anche Abrotono avrà avuto parte nel lieto fine della commedia.
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