mercoledì 18 gennaio 2012

MANZONI (ITALIANO)


ALESSANDRO MANZONI

CONTESTO STORICO

IN EUROPA

Contesto Politico: Con il Congresso di Vienna (1814-1815) inizia la Restaurazione della situazione politica europea precedente la Rivoluzione francese e Napoleone. Quest'immobilità politica si scontrava con le esigenze innovatrici della borghesia e dei popoli sottomessi al dominio straniero. Ciò causò diversi moti rivoluzionari guidati per lo più da democratici e liberali (moti del 20-21 del 30-31) i quali però non ebbero molto successo. Si dovrà attendere fino al 48 per un cambiamento importante in tutt'Europa.
Contesto socio-economico: la rivoluzione industriale si afferma in Inghilterra già dal 1780 e coinvolge successivamente Francia e Germania. Con l'industrializzazione si modifica la struttura sociale: la popolazione aumenta, ma anche i divari economici; la classe viene ora definita in base al processo produttivo. La borghesia capitalistica e imprenditoriale e i grandi proprietari terrieri diventano la classi dominanti.

IN ITALIA

La rivoluzione industriale arrivò tardi (come in Spagna e in Russia) e coinvolse solo il nord: al sud vigeva ancora il sistema feudale. I moti rivoluzionari fallirono anche qui, tranne che nel Regno di Sardegna.
Il Risorgimento trova compimento sotto il moderato Cavour, che sollevò la questione italiana a livello internazionale riuscendo ad ottenere l'aiuto della Francia contro gli austriaci. Grazie a lui e all'azione del democratico Garibaldi, si arrivò all'unità d'Italia nel 1861 (Roma non era ancora inclusa). Le grandi masse non furono però coinvolte in questo processo, condotto esclusivamente da elite.


ROMANTICISMO

Romantico era il termine utilizzato dispregiativamente già nel Seicento per indicare la materia cavalleresca. Nel Settecento perse l'accezione negativa: indicava il mondo lontano dalla realtà, misterioso, il selvaggio. Poi fu utilizzato per indicare il forte rapporto tra paesaggio e stati d'animo.

Il Romanticismo come lo intendiamo noi oggi è la corrente culturale e artistica che nasce in Germania e in Inghilterra nel 1798 e si diffonde in tutt'Europa. Termina nel 1848, tranne che in Italia (1861) e in Germania (1871), dove lo si fa terminare con la conclusione dei rispettivi processi di unificazione.

Il romanticismo ha un carattere fortemente anti-illuminista e anti-classicista: la rivoluzione industriale manda in crisi la figura dell'individuo: c'è sfiducia nella ragione per spiegare il mondo e ci si affida dunque all'intuizione sensibile.
L'uomo non può più dominare la natura, vista ora come organismo vivente di cui si è parte, attraverso la ragione. Avviene quindi la scissione io-mondo, vissuta in due modi diversi:

IN EUROPA (SOPRATTUTTO IN GERMANIA):

si segue una linea ontologica: qui, dove la riv. Industriale si fa più sentire, l'individuo si sente annullato a causa della frammentazione e specializzazione del lavoro: non può più condizionare il reale, è parte di un meccanismo più grande di lui, perciò cerca una compensazione in se stesso; è una linea introspettiva.
Si cercano risposte e si affronta il malessere anche identificandosi nella natura, la quale è vista o come conforto, o come forza avversa all'uomo, piccolo e impotente di fronte a tanta maestosità. (prosegue anche la tradizione illuminista del paesaggio-stato d'animo)

IN ITALIA

Si assume una linea realista: si guarda al vero, si cerca di calare l'ideale nel reale, di condizionare la realtà.
I caratteri del romanticismo italiano sono i seguenti:

. il bello è storico, cambia con le circostanze: non è più eterno (e già raggiunto dagli antichi)
. la religione cristiana viene recuperata: non c'è più quel laicismo illuminato
. la lingua deve essere popolare (rivalutati i dialetti): non più aulica
. l'originalità: non bisogna imitare gli antichi, se mai ispirarsi ai modelli più recenti e non solo della propria nazione.
. il pubblico è la borghesia emergente: non solo l'elite illuminata.

Il dibattito tra classicisti e romantici avvenne grazie all'articolo di Madame De Stael: "Sulla maniera e utilità delle traduzioni",tradotto dal classicista Pietro Giordani e pubblicato sulla Biblioteca italiana. La De Stael si dichiarò a favore del romanticismo e prese una posizione nettamente anti-classicista: secondo lei nella letteratura italiana:
é vecchia, non parla al cuore ma ricerca solo la raffinatezza stilistica, parla solo per parlare e copia.
Invece bisogna che sia originale, che parli al cuore e non si preoccupi troppo dello stile.
Bisogna lasciar perdere la mitologia, ormai è dimenticata.
Bisogna tradurre cose recenti e non imitare.
Bisogna essere aperti al nuovo e guardare oltralpe

Anche Berchet, con "Lettera semiseria di Grisostomo a suo figlio" contribuì alla definizione dei caratteri romantici in Italia, sostenendo che:
il poeta nasce dalla natura e con essa ha un rapporto diretto.
Se i lettori non sanno intendere è inutile essere bravi scrittori.
Il pubblico non può quindi essere nè l'analfabeta nè il parigino, troppo affaticato dall'uso della ragione e lontano dalla natura. Deve essere quindi il popolo borghese.

GIORNALI

A Milano:
Biblioteca italiana: condizionata dagli Asburgo
Il Conciliatore in mano ai liberal-Democratici
Il Politecnico: di carattere più scientifico; radicale
A Firenze:
L'Antologia: in mano ai liberal-democratici


MANZONI: VITA

Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 Marzo 1785 da Giulia Beccaria (figlia di Cesare Beccaria,autore de Dei delitti e delle pene) e molto probabilmente da Giovanni Verri,anche se il padre legittimo è il conte Pietro Manzoni.
Dopo aver frequentato il collegio dei Padri Somaschi e dei Barnabiti si avvicina al giacobinismo e pubblica nel 1801 Il trionfo della libertà,ma la conoscenza di intellettuali liberali lo indusse presso ad abbandonare il giacobinismo per avvicinarsi ad idee liberali.
Nel 1805 Manzoni si reca a Parigi,dove la madre dopo la separazione dal padre si era trasferita con Carlo Imbonati,il quale nel frattempo era morto.
A Parigi Manzoni scrive il componimento più interessante della sua prima giovinezza,In morte di Carlo Imbonati,in cui si avvicina all’illuminismo.
Nel periodo parigino frequenta gli ultimi idéologues,tra cui Claude Fauriel,che sarà un prezioso collaboratore di Alessandro Manzoni,e che agevolerà il passaggio dell’autore dalle ideologie illuministiche a quelle romantiche;avviene in questi anni anche il primo matrimonio di Manzoni con Enrichetta Blondel.
In questo periodo però Manzoni è ancora profondamente neoclassico,e nel 1809 pubblica il poemetto Urania.
Nel 1810 avviene una svolta decisiva nell’autore,la conversione religiosa,che sarà accompagnata anche dai primi disturbi psicologici.
Dopo il ritorno a Milano,avviene tra il 1812 e il 1815 una svolta poetica con la pubblicazione degli Inni sacri.
Dal 1815 inizia il cosiddetto decennio dei capolavori,in cui Manzoni grazie alla sua favorevolissima situazione economica può dedicarsi solamente alla produzione letteraria.
In questo periodo pubblica due tragedie,Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822),due odi,Marzo 1821 e Il cinque maggio (entrambe pubblicate nel 1821),la lettera a Cesare D’Azeglio e la Pentecoste.
Nel 1823 termina la prima edizione dei Promessi sposi,intitolata Fermo e Lucia,e l’Appendice storica su la colonna infame.
Nel 1827 pubblica la seconda edizione dei Promessi sposi,detta ‘ventisettana’.
Dal 1827 Manzoni comincia a dedicare il suo interesse più che alla produzione letteraria ad interessi di tipo linguistico,adopera anche una revisione linguistica della ‘ventisettana’,che porterà all’ultima pubblicazione dei Promessi sposi nel 1840.
Nel 1837 avviene il secondo matrimonio di Manzoni con Teresa Borri,la prima moglie era infatti morta nel 1833.
Dopo la pubblicazione della ‘quarantana’ sono poche le opere significative.
Nel 1860 è nominato senatore,e viene incaricato come presidente della commissione parlamentare sulla lingua.
Muore nel 1873 a Milano.

LETTERA AD AZEGLIO SUL ROMANTICISMO

Pubblicato nel 1870, critica al calssicismo ed esalta il romanticismo.
Secondo Manzoni la poesia deve essere utile (scopo); realista (argomento): deve poter essere compresa, il mito è troppo lontano, dice il falso; interessante (mezzo)
Il pubblico deve essere la massa.
La religione è fondamentale.
(Delinea i seguenti aspetti dicendo cosa non deve essere fatto)

I PROMESSI SPOSI

Si tratta di un Romanzo storico: nasce dall'analisi e dalla ricerca storica del '600 (vengono anche citati documenti di quest'epoca).
Si vuole aderire al vero.
L'idea nasce dopo la delusine dei moti fallimentari di rivoluzione del '21.

Ci sono tre stesure:

Fermo e Lucia ('21-'23): procede per grosse sezioni parallele ciascuna riguardante un personaggio, oltre alle digressioni. È una struttura piuttosto rigida. C'è passionalità, ad esempio i dettagli della storia d'amore tra Egidio e la Monaca, e un forte pessimismo.
I promessi sposi ('27) o Ventisettana (differenze strutturali, cioè c'è un intreccio più elaborato, il pessimismo è stemperato; differenze linguistiche: si avvicina al fiorentino parlato)
I promessi sposi ('40) o Quarantana: edizione definitiva (differenza linguistica: perfeziona il fiorentino dopo essere stato a Firenze e aver avuto suggerimenti dai dotti fiorentini)

RIASSUNTO

I promessi sposi sono divisi in sei principali nuclei narrativi,in cui sono presenti,insieme,o separatamente,Renzo e Lucia.
Alcuni capitoli,che non vedono la presenza dei protagonisti,vengono denominati digressioni,e servono per collegare le vicende disgiunte ma parallele dei due.
Nel romanzo sono presenti tre digressioni.

-Primo nucleo narrativo (da cap. I a cap. VIII)

Il romanzo inizia con due bravi che, inviati da Don Rodrigo,intimano a Don Abbondio di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia.
Don Abbondio spaventato dalle parole dei bravi rifiuta quindi di celebrare il matrimonio.
Agnese,madre di Lucia,propone ai due giovani di ricorrere all’aiuto di un avvocato,e Renzo si reca così dall’Azzeccagarbugli,mentre Lucia cerca l’aiuto di Fra Cristoforo.
Ma mentre Fra Cristoforo si reca in aiuto dei due giovani,così non fa l’Azzeccagarbugli il quale,essendo amico di Don Rodrigo,scaccia Renzo.
Padre Cristoforo si reca al palazzotto di Don Rodrigo,ma il colloquio con il signorotto di paese non da alcun risultato.
Su consiglio di Agnese viene organizzato un matrimonio clandestino e i protagonisti vanno a casa di Don Abbondio,con Tonio e Gervasio che saranno i due testimoni.
I bravi su ordine di Don Rodrigo si recano intanto a casa di Lucia per rapirla,ma non trovano né lei né la madre,in quanto si trovano da Don Abbondio.
Fallito anche il tentativo del matrimonio clandestino i due giovani,con l’aiuto di Fra Cristoforo,lasciano il paese.
Questi capitoli sono detti capitoli borghigiani in quanto solamente ambientati nel paese d’origine dei protagonisti.

-Secondo nucleo narrativo (cap. IX e X)

Renzo e Lucia si separano,il primo si reca a Milano mentre la seconda a Monza.

-Prima digressione (parte finale del capitolo IX e parte del capitolo X)

Storia di Gertrude e della sua monacazione non desiderata.

-Terzo nucleo narrativo (da cap. XI a cap. XVII)

Renzo giunge a Milano dove viene attratto dai tumulti per il pane,e dopo l’assedio ai forni,si atteggia da protettore della folla nell’assedio della casa del vicario di provvisione.
Stanco si reca ad un’osteria,dove viene denunciato dall’oste e arrestato,ma fortunatamente liberato dalla folla.
A Gorgonzola in un’altra osteria viene a sapere della sua notorietà attraverso la storia di un mercante. Il giovane decide quindi di lasciare il Ducato di Milano e di attraversare l’Adda per raggiungere la Repubblica di Venezia,e precisamente la città di Bergamo dove vive suo cugino Bortolo.

-Seconda digressione (cap. XVIII e XIX)

Attilio,cugino di Don Rodrigo,si rivolge al Conte zio per far trasferire Fra Cristoforo,che è quindi costretto a recarsi a Rimini.
Don Rodrigo,venuto intanto a sapere che Lucia si trova nel convento di Gertrude,chiede aiuto all’Innominato per rapirla.

-Quarto nucleo narrativo (da cap. XX a cap.XXVII)

L’Innominato attraverso l’aiuto di Egidio,amante di Gertrude,riesce a rapire Lucia,che viene condotta nel suo castello.
L’uomo pieno di rimorsi si reca la notte da Lucia e rimane profondamente turbato dal colloquio con la fanciulla,la quale fa voto di castità se riuscirà a salvarsi.
La mattina seguente l’Innominato,ormai convertito,si reca dal cardinale Federigo Borromeo,che si trova in un paese vicino al castello,e insieme a lui trova un modo per salvare Lucia.
Lucia dopo essere tornata al paese va a Milano a casa di Donna Prassede,e Renzo inizia una faticosa corrispondenza con Agnese.

-Terza digressione (da cap. XXVIII a cap. XXXII)

Storia della discesa dei lanzichenecchi ,della diffusione della peste e della caccia agli untori.

-Quinto nucleo narrativo (da cap. XXXIII a cap. XXXV)

Don Rodrigo si ammala di peste e,dopo essere stato tradito dal Griso,viene portato al lazzaretto.
Anche Renzo contrae la malattia,ma guarito si reca a cercare Lucia,dopo essere quindi stato al paese va a Milano a casa di Donna Prassede,dove scopre che Lucia malata è stata portata al lazzaretto.
Scambiato per un untore riesce a mettersi in salvo sul carro dei monatti.
Giunto al lazzaretto incontra padre Cristoforo,che pur malato continua ad assistere i bisognosi,e vedendo la condizione di Don Rodrigo lo perdona.

-Sesto nucleo narrativo (da cap. XXXVI a cap. XXXVIII)

Renzo ritrova Lucia,che sta guarendo dalla peste,la quale però vuole mantenere fede al voto di castità; grazie a Fra Cristoforo si riesce però a sciogliere il voto.
Renzo si reca al borgo natio con Agnese,dove aspettano Lucia fino al termine della quarantena.
Con la notizia della morte di Don Rodrigo e grazie all’appoggio del nuovo signorotto Don Abbondio si celebra finalmente il matrimonio,dopo il quale Renzo,Lucia e Agnese si trasferiscono nel bergamasco.
La prima figlia dei due protagonisti verrà chiamata Maria.

SPAZIO-TEMPO

Cronotopi: il tempo e lo spazio si influenzano a vicenda, l'uno va a determinare l'altro e sono quindi inscindibili. Un determinato luogo non può essere pensato tale se non in quel determinato contesto temporale e viceversa:

Paese: tempo lento, ripetitivo, è il tempo delle tradizioni, ma ormai contaminato: il potere e la violenza sono arrivati anche qui.

Città: tempo frenetico, c'è la violenza, il potere, la politica.

Quando Lucia però deve abbandonare il paese si vede però come già sia stato contaminato dalle vicende storiche: c'è il Palazzo di Don Rodrigo che rappresenta la violenza, ormai parte del contesto del paese. Lucia l'aveva dunque idealizzato, ma la realtà è diversa.

Srada: il tempo è dinamico: è il luogo del cambiamento, della crescita, dello sforzo per cercare di raggiungere qualcosa di diverso.

Casa: Lucia si trova sempre in casa

Palazzo di Don Rodrigo: tempo della storia, del passato glorioso: ci sono i quadri degli antenati appesi alle pareti. É un luogo che simboleggia anche il potere, in particolare il potere civile: infatti si trovia in cima a un monte attorniato dalle case dei bravi e domina sul paese. È comunque un tempo reale, legato al fluire storico.

Castello dell'innominato: è isolato, è un luogo di confine, circondato da un paesaggio ostile e privo di vita (rupi, sassi). È fuori da una collocazione spazio-temporale reale: sopra di lui c'è solo Dio, alle pareti non ci sono ritratti del passato, bensì armi. Capiamo che è un luogo eccezionale: l'Innominato sembra un personaggio mitico.

Monastero: luogo chiuso per eccellenza. Tempo della ripetitività e della costrizione: le giornate sono scandite dalla Regola e dalla preghiere (poco "religiose"). Non ci sono speranze di cambiamento. Il luogo subisce sconvolgimenti se ha contatti con l'esterno (ad esempio con l'arrivo di Lucia).

Osterie (sono 3): luogo chiuso ma che non potrebbe sopravvivere senza i contatti con l'esterno. Tempo dell'ozio, del non-lavoro.

Lazzaretto: luogo della disperazione ma anche della speranza: tempo dell'attesa, poichè le cose evolvono e c'è chi si impegna per migliorare la situazione.

PERSONAGGI principali

Sono otto e si può giocare con diverse combinazioni binarie:

Renzo e Luncia: protagonisti - popolani - buoni
Don Rodrigo: oppositore - nobile - potere civile
Innominato: oppositore - nobile - potere civile
Fra Cristoforo: aiutante - popolano – chiesa buona
Borromeo: aiutante – nobile – chiesa buona
Gertrude: braccio di oppositore - nobile - chiesa cattiva
Don Abbondio: braccio di oppositore – popolano – chiesa cattiva

Nobiltà e potere civile si oppongono agli umili, sono avversi ai protagonisti, sono tipici degli oppressori.

NARRATORE

Ci sono due narratori: quello anonimo del presunto manoscritto del '600 e l'io-narrante manzoniano che, con una finzione letteraria, sostiene di averl riadattato.
L'io-narrante è onniscente, conosce la storia, ma spesso la vicenda assume l'ottica dei vari personaggi: polifonia.
In più il Manzoni interviene con commenti e ironia.
Tutta la vicenda è raccontata e filtrata dalla sua ottica liberal-cattolica.


MESSAGGIO

Ci sono due livelli di lettura:

. un messaggio (socio-politico) è infatti dedicato a un PUBBLICO ampio, cioè la borghesia: bisogna agire seguendo la morale cristiana, pazientare, avere fede e buon senzo, e affidarsi alla mediazione della Chiesa.

. l'altro invece, più profondo, (filosofico) è per un PUBBLICO elitario, costituito cioè da pochi colti intellettuali (i quali costituiscono il NARRATARIO, ossia il pubblico per il quale Manzoni dichiara di scrivere ): il bene e il male esistono, i guai ci arrivano addosso senza che noi li andiamo a cercare, ma bisogna aver fede nella provvidenza divina, la quale però è imperscrutabile e non può quindi essere capita da noi uomini: siamo nelle mani di Dio. Lui decide se, come e quando operare per mezzo della Grazia ma a noi non è dato saperlo.

Emerge anche la visione Giansenista di Dio, il quale è attivo e forte, porta il bene ma anche il male (la peste), la sua immagine è più biblica che evangelica.


LINGUA

Plurilinguismo e pluristilismo.


COCLUSIONE

Lucia porta il messaggio filosofico, Renzo quello social-economico: Lucia infatti non ha cercato i guai ma le sono lo stesso andati incontro mentre Renzo dai suoi errori ha imparato a seguire la morale cattolica e ha così ottenuto ciò che desiderava.


IL CINQUE MAGGIO (pag.136 vol.2 tomo 3)

Il cinque maggio è un’ode civile scritta nel luglio 1821 alla notizia della morte di Napoleone a Sant’Elena.
Le odi civili di Alessandro Manzoni nascono da determinati fatti storici e servono per incoraggiare un movimento,sostenerlo e propagandarne l’azione.
L’ode può essere suddivisa in quattro parti: il prologo formato da quattro strofe,la parte centrale divisibile in due parti di cinque strofe l’una,e la conclusione formata come il prologo da quattro strofe.
Nel prologo Manzoni afferma che egli in vita non lodò mai Napoleone quando si trovava all’apice della sua gloria e di non averlo mai oltraggiato quando si trovava in esilio,e descrive la reazione della popolazione europea,stordita dalla morte di un così grande uomo.
In questa prima parte dell’ode vi sono echi foscoliani espressi attraverso la funzione che l’ode stessa potrebbe avere,ovvero quella di non far morire Napoleone ma di farlo ricordare in eterno.
Nei versi che vanno dal 25 al 54 si parla delle gloriose vicende dell’imperatore;attraverso una serie di antitesi vengono presentate le campagne militari di Napoleone e si afferma che la gloria stessa dell’imperatore proviene dalla volontà di Dio (è proprio per volere divino che due volte cadde e due volte si rialzò).
L’età napoleonica fu a cavallo di due secoli,il 700 e l’800,e Napoleone nella sua figura di imperatore li sottomise e ne racchiuse i principali aspetti nella sua persona.
Nei versi che invece vanno dal 55 all’ 84 si parla di Napoleone in esilio,la cui inattività porta l’imperatore a pensare al tempo trascorso in guerra sui campi di battaglia..
Con l’esilio vi è il definitivo naufragio dell’ambizione napoleonica.
Nella conclusione vi è una visione cristiana della morte di Napoleone,la mano divina accompagna infatti l’imperatore sul letto di morte,mano che appartiene a un Dio giansenista simile quindi al Dio biblico.
Sul punto di morte la fede è riuscita,quindi, a piegare anche un uomo che non aveva mai creduto nel sacrificio di Cristo (emerge qui la concezione di Manzoni secondo cui tutto fa parte del progetto divino).
Lo stile dell’ode è molto ricercato,essa è infatti divisa in diciotto strofe di sei settenari ciascuna e l’ultima parola di ogni strofa rima con l’ultima di quella successiva.
L’ode è anche ricca di figure retoriche.


L'ADELCHI

L’Adelchi è una tragedia di Manzoni.
Nelle sue tragedie Manzoni cerca di eliminare l’unità di spazio e di tempo,e reintroduce il coro,ripreso dalla tragedia greca,in cui l’autore esprime un proprio giudizio.
La vicenda tragica è ambientata tra il 772 e il 774 nelle terre dei longobardi.
I personaggi e gli avvenimenti sono quasi tutti storici anche se a volte la verità dei fatti è alterata dall’autore.
La tragedia inizia con Desiderio,re dei Longobardi,che viene a conoscenza del fatto che sua figlia Ermengarda è stata ripudiata da Carlo Magno,re dei Franchi.
Adirato,Desiderio fa pressione sul Papa affinché vengano reintegrati nella linea di successione al trono franco i figli di Carlomanno,fratello di Carlo Magno,ma il Papa chiede aiuto a Carlo Magno,paladino della cristianità, per essere difeso dall’oppressione di Desiderio.
Carlo Magno marcia quindi sulle terre longobarde e sconfigge l’esercito longobardo guidato da Adelchi,figlio del re.
Intanto Ermengarda,che si è rifugiata nel convento della sorella Ansberga,viene raggiunta dalla notizia del secondo matrimonio di Carlo,ed essendo ancora innamorata del re dei Franchi,muore dopo uno struggente delirio.
Nella parte finale della tragedia Adelchi viene ferito a morte mentre sta difendendo dall’avanzata dei Franchi la città di Verona,e morente esorta il padre a non disperarsi e di abbandonare la vita pubblica.
I protagonisti indiscussi della tragedia sono Adelchi ed Ermengarda,i due fratelli che vivono combattuti tra desiderio e realtà.
Adelchi vorrebbe essere un paladino,un liberatore,e aspirare alla gloria,ma si ritrova ad essere figlio del re di un popolo barbaro,che è conosciuto solo per la sua feroce barbarie,Ermengarda è combattuta invece tra la passione ancora viva per Carlo ed una morale religiosa.
Altri personaggi sono Carlo e Desiderio,che sebbene siano contrapposti condividono l’autorità regale ed il linguaggio del potere.
Adelchi ed Ermengarda condividono una colpa,ovvero il provenire dal ‘popolo del sangue’,che sarà però espiata attraverso la morte dei protagonisti,la quale porterà anche alla loro salvezza,si dice per questo che in Manzoni vi è un ‘pessimismo cristiano’.

-La confessione di Adelchi ad Anfrido (pag.150)

Nel passo Adelchi confessa all’amico Anfrido il sogno irrealizzabile di giungere alla gloria e di farsi paladino delle giuste virtù.
Emerge qui,attraverso le parole di Adelchi,un popolo longobardo connotato come crudele,dedito alla violenza e al furto,il cui unico pregio è quello di essere un popolo numeroso.
I sogni di gloria e di giustizia del protagonista sono distrutti perché egli è costretto a compiere azioni dedite alla violenza,contrarie quindi alla sua volontà,a causa della popolazione a cui appartiene.
Anfrido risponde che non può far nulla per Adelchi, l’unico consiglio che può dargli è quello di soffrire ma di essere grande.
Appare qui evidente in Adelchi la scissione dell’io-mondo.

-Il coro dell’atto quarto (pag.160)

Il coro dell’atto quarto chiude il quarto atto dell’Adelchi,diviso in cinque atti.In questo passo Manzoni compiange la situazione terrena di Ermengarda,combattuta tra la fede religiosa e il passionale ma allo stesso tempo struggente amore per Carlo,e ne descrive la morte,avvenuta a Brescia nel convento della sorella Ansberga.All’inizio del coro viene presentata Ermengarda appena morta attorniata dalle suore che terminano il loro pianto funebre,un’Ermengarda che sul letto di morte avrebbe dovuto dimenticare i ricordi che le avevano causato una grande sofferenza,ma che invece affiorano anche nel termine della sua esistenza.Dopo la descrizione di Ermengarda morente si aprono infatti i suoi stessi ricordi,legati soprattutto alla parte della vita trascorsa in Francia nella corte di Carlo,quando ella era felice, non essendo ancora a conoscenza del fatto che sarebbe stata ripudiata.Nei ricordi di Ermengarda appare la concezione eroica che ella aveva del marito: pur avendo infatti Carlo ucciso un solo cinghiale,grazie ai pensieri della sposa,sembra aver compiuto una grande impresa eroica;appare anche la visione sensuale che Ermengarda aveva di Carlo,quando infatti egli si bagna nel fiume traspaiono le passioni terrene della donna.Dopo la descrizione del tempo trascorso in Francia si apre una similitudine che narra tempi più recenti,i tempi del chiostro.L’amore per Carlo è qui descritto come un sole cocente.Dopo la similitudine la narrazione ritorna sulla figura di Ermengarda che,in letto di morte,si è avvicinata all’amore divino,paragonato al sole calante che è in netta contrapposizione col sole cocente della similitudine.
Ermengarda dopo la morte, grazie alla sua situazione di vittima,ha trovato la grazia divina,pur appartenendo al popolo del sangue,ovvero il popolo longobardo.

lunedì 9 gennaio 2012

MEDEA, EURIPIDE (GRECO)

Dialogo tra Medea ed Egeo, vv. 663-730, pag. 99-105

Durante il seguente dialogo, che si svolge tra Medea ed Egeo, re di Atene, la protagonista cercherà di trovare un rifugio sicuro dove stabilirsi una volta compiuto il delitto.

Nella parte iniziale ci si concentra sulla figura di Egeo: il re di Atene si è appena recato presso l’oracolo di Delfi per avere un responso su come avere dei figli, poiché, pur essendo sposato, ne è ancora privo. Dopo aver ricevuto il vaticinio, che gli imponeva di non unirsi a nessuna donna prima di aver nuovamente raggiunto il focolare dei padri, decide di recarsi a Trezene , presso il re Pitteo, alleato di Egeo, esperto di responsi divini; è proprio sulla strada per Trezene che si ferma a Corinto e incontra Medea.

Nella seconda parte, invece, l’attenzione ritorna sulla protagonista: Egeo, notando il suo aspetto deperito, ne domanda le cause. Di nuovo Medea riassume la sua vicenda, ponendo l’accento sul tradimento ingiusto da parte di Giasone. Non appena Egeo apprende che le nuove nozze hanno un fondamento “politico”, capisce che Medea è veramente rovinata; ella non può più sperare che il marito ritorni sui suoi passi, tanto più che ora è stata esiliata dalla terra corinzia.

Nella parte finale del brano, Medea supplica Egeo di ospitarla nella sua terra; in cambio ella offre i suoi servigi di maga, in modo da consentire ad Egeo di avere una discendenza e, quindi, un futuro felice. All’ idea di figli, infatti, era spesso associata quella di felicità: i figli aiutano e sostengono i genitori nella vecchiaia e inoltre, portano avanti il γενος.

Egeo acconsente, promettendo a Medea di darle un rifugio sicuro e di non consegnarla a nessuno, rispettando così il vincolo dell’ ospitalità. Ma ciò ad una sola condizione: deve essere Medea, di sua volontà, a lasciare Corinto, poiché Egeo non vuole commettere alcuna ingiustizia verso i suoi ospiti.

(Sul concetto di ospitalità e condizione di esule integrare con il testo pag. 96-97 della Medea)

Vi sono tre punti non chiari in questi versi:

- Innanzitutto, non è chiaro come e quando Medea ed Egeo si possano essere conosciuti (all’inizio del dialogo si salutano infatti come “amici”)

- Al verso 680, Medea anticipa la fine del vaticinio: infatti, prima ancora che Egeo abbia finito di parlare, ella domanda “Prima di fare cosa o di aver raggiunto quale terra?”, come se fosse scontato che l’oracolo imponesse una limitazione di questo tipo.

- Al verso 681 Egeo risponde “Prima di giungere nuovamente al focolare dei miei padri”, ma secondo il mito, Egeo “scioglierà il piede sporgente dell’otre” unendosi a Etra, la figlia di Pitteo, a Trezene, e quindi prima di aver raggiunto nuovamente Atene.

Questa incongruenza può forse essere spiegata come una visione “a posteriori”: Trezene è infatti la patria di Teseo, nato dell’unione tra Egeo ed Etra, che sarà poi il fondatore mitico dell’ Attica riunita.

E: Rallegrati, Medea! Infatti nessuno sa rivolgere

un saluto più bello di questo agli amici.

M: Rallegrati anche tu, Egeo, figlio del sapiente

Pandione. Da dove visiti il suolo di questa terra?

E: (Lo visito) Lasciando l’antico oracolo di Febo.

M: Perché sei andato all’ombelico profetico della Terra?

E: Per cercare di capire come avere seme di figli.

M: Per gli dei! Vivi dunque ancora senza figli?

E: Sono privo di figli per volontà di un qualche dio.

M: Hai una moglie o sei inesperto di nozze?

E: Non sono privo del giogo del matrimonio.

M: Che cosa ti ha detto Febo riguardo ai figli?

E: Parole troppo sapienti perché un uomo possa comprenderle.

M: E’ lecito che io conosca il responso del dio?

E: Certo, poiché c’è bisogno di una mente sapiente.

M: Che cosa, dunque, ha vaticinato? Dillo, se è lecito saperlo.

E: Non devo sciogliere il piede sporgente dell’otre

M: Prima di fare cosa o di giungere in quale terra?

E: Prima di giungere di nuovo al focolare dei miei padri.

M: E tu, per quale motivo navighi verso questa terra?

E: C’è un certo Pitteo, signore della terra di Trezene…

M: … figlio di Pelope, come dicono, molto pio.

E: Voglio comunicargli il responso del dio.

M: Infatti è un uomo saggio ed esperto di queste cose.

E: E per me il più caro tra tutti gli alleati.

M: Allora buona fortuna, e che tu ottenga ciò che desideri.

E: Ma perché il tuo sguardo e il tuo volto sono così deperiti?

M: Egeo, mio marito è per me il più cattivo tra tutti i mariti.

M: Cosa dici? Dimmi apertamente le tue sofferenze.

M: Giasone mi fa un torto, senza averne subito alcuno da parte mia.

E: Avendo fatto quale azione? Dimmelo in assoluta libertà.

M: Ha una donna padrona della casa oltre a me.

E: Dunque può aver osato un’azione tanto ignobile?

M: Sappilo bene, io che prima ero cara, ora sono disprezzata.

E: Si è innamorato o aveva in odio il tuo letto?

M: Un grande amore, non è stato fedele agli amici.

E: Vada allora, se, come dici, è malvagio.

M: Ha desiderato imparentarsi con i sovrani.

E: Chi gli concede la sposa Finisci per me il racconto.

M: Creonte, che regna su questa terra di Corinto.

E: Era comprensibile che tu fossi afflitta, donna.

M: Sono rovinata e vengo mandata in esilio.

E: Che dici? Tu racconti un’altra nuova sventura che è una disgrazia.

M: Creonte mi caccia esule dalla terra.

E: E Giasone lo permette? Io non lo approvo.

M: A parole no, ma vuole tollerarlo.

Ti prego, per il tuo mento

e per le tue ginocchia, sono supplice,

abbi pietà, abbi pietà di me infelice

e non permettere che io sia scacciata sola

ma accoglimi nella tua terra, nella tua casa, presso il focolare.

Così Eros sia per te propizio per i figli, per gli dei

e tu possa morire felice.

In ciò non sai che cosa hai trovato:

ti farò smettere di essere senza figli e ti farò

generare seme di figli, io conosco tali sostanze.

E: Sono pronto a donarti questo favore, per molti motivi,

donna, in primo luogo per gli dei, poi per

i figli di cui preannunci la nascita:

a questo sono tutto rivolto.

Per me è così: se tu verrai nella mia terra,

cercherò di proteggerti, perché sono giusto.

Ma questo ti do come avvertimento, donna:

non voglio allontanarti da questa terra,

ma se tu stessa verrai nella mia casa

resterai sicura e non ti consegnerò a nessuno.

Allontana tu stessa i piedi da questa terra:

voglio essere privo di colpe nei confronti degli ospiti.

IL DILEMMA DI MEDEA, pag. 259-263 della letteratura, vol. 2 tomo 1

VENDETTA E AUTODISTRUZIONE, pag. 266-269, letteratura vol. 2 tomo 1

domenica 8 gennaio 2012

IL "DOPO HEGEL"

DESTRA E SINISTRA HEGELIANE (pag.61-62):

Dopo la morte di Hegel,coloro che avevano apprezzato maggiormente la sua filosofia si divisero principalmente in due schieramenti contrapposti,conosciuti come destra(o vecchi hegeliani,più vicini alle posizioni di Hegel) e sinistra(i giovani) hegeliane.
I due gruppi si trovano discordi su diverse importanti tematiche.
Per quanto riguarda la dialettica,per la destra essa va intesa come interpretazione della razionalità del reale:la filosofia interpreta le leggi reali e le giustifica(come la nottola,che spicca il volo alla sera,quando tutto è compiuto).
Per la sinistra invece,ogni sintesi dialettica è in realtà tesi di un processo successivo e in base a questo processo si ritiene che la razionalità non trovi ancora piena realizzazione nelle istituzioni politiche e religiose esistenti(funzione critico-rivoluzionaria della dialettica).
Diverse sono anche le riflessioni sullo stato prussiano dell'epoca,ritenuto dalla destra il prodotto più alto della storia,mentre dalla sinistra,un sistema che deve essere necessariamente abbattuto e sostituito da uno migliore.
Infine,in merito alla religione,i vecchi la ritengono perfettamente concigliabile con la filosofia (si parla soprattutto della religione cristiana) e insistono sul contenuto di verità che essa trasmette,anche se la forma in cui tale verità è espressa non è pienamente adeguata.I giovani invece ritengono che la rappresentazione religiosa,proprio per la sua inadeguatezza,debba essere completamente abbandonata e sostituita dalla filosofia.

FEUERBACH (da pag.63 a pag.65):

Ludwig Feuerbach,collocabile ideologicamente tra gli hegeliani di sinistra,espone il suo pensiero incentrandolo principalmente sulla questione religiosa.
La religione,che egli vede semplicemente come oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell’uomo e quindi senza alcun fondamento di verità,è però la prima forma di autocoscienza umana(l’uomo,credendo di conoscere Dio,conosce sé stesso) e quindi positiva in quanto momento di passaggio,ma,se essa non viene superata,diventa alienazione.
Da questo punto di vista dunque è l’uomo che fa Dio a propria immagine e somiglianza e non viceversa e i predicati che vengono attribuiti al divino devono essere riscoperti come possibilità e prerogative della stessa essenza umana!
Così il fondamento dell’esperienza risulta essere appunto l’uomo,inteso però in termini concreti,come attività sensibile; senza la dimensione corporea e sensibile non ci può essere il pensiero,che è semplicemente una proprietà,un accidente dell’attività umana.
            La storia,di conseguenza,è proprio la storia dello sviluppo individuale dell’uomo,dalla fase teologica all’antropologia:

1.      PENSIERO ANTICO: vi è il primato della cosa in sé,l’uomo si affida alla teologia(metafisica tradizionale)
2.      PENSIERO MODERNO:vi è un riferimento gnoseologico,il cogito,l’uomo visto in modo astratto,come pensiero,come io trascendentale.
3.      ANTROPOCENTRISMO:è l’ultima tappa:l’uomo inteso in termini concreti,l’uomo come attività sensibile.


L’uomo è caratterizzato però da una contraddizione interna tra il desiderio di infinito e la concretezza della realtà,che appare nella sua finitezza.
Per questo motivo,come detto in precedenza,l’uomo,con i principi religiosi,cerca di colmare questo squilibrio,attraverso la preghiera e le opere,ma ciò non basta.
La religione assume quindi i tratti di una semplice forma di conoscenza,poiché con essa l’uomo conosce sé stesso,ma il raggiungimento della felicità è un compito che spetta alla filosofia,che diventa quindi antropologia,in quanto essa permette di fare comprendere l’origine umana della religione e di spronare l’uomo a operare nella comunità secondo i valori dell’amore e della solidarietà sociale.  (l’uomo esce da sé e poi ritorna a sé!)


_ categoria dell’essere(secondo Feuerbach):
la categoria dell’essere è la più povera,in quanto implicita in tutte le altre;se tutte le categorie,tutti i predicati(libertà,causa ecc..) sono umani,anche la categoria più povera deve essere prettamente umana.

STIRNER:

Max Stirner propone una filosofia del tutto alternativa rispetto ai suoi contemporanei e predecessori.
Egli sostiene che l’individuo,inteso come singolo essere umano al di fuori di qualsiasi comunità,sia l’unico fine e che tutto il resto sia semplice mezzo,poiché non esiste alcun valore assoluto che possa costituire il fondamento della vita umana.
Dunque,secondo questa radicale prospettiva,ciò che conviene al singolo è servirsi dell’esterno e degli altri individui solo per affermarsi individualmente,senza riconoscere alcun tipo di ideale o regola se non funzionale ad accrescere la propria potenza.
Stirner inneggia quindi all’anarchia,negando ogni tipo di stato o di forma di governo.

martedì 3 gennaio 2012

I PROMESSI SPOSI-LA VICENDA (ITALIANO)

I promessi sposi sono divisi in sei principali nuclei narrativi,in cui sono presenti,insieme,o separatamente,Renzo e Lucia.
Alcuni capitoli,che non vedono la presenza di Renzo e Lucia,vengono denominati digressioni,e servono per collegare le vicende disgiunte ma parallele dei due protagonisti.
Nel romanzo sono presenti tre digressioni.

-Primo nucleo narrativo (da cap. I a cap. VIII)

Il romanzo inizia con due bravi che, inviati da Don Rodrigo,intimano a Don Abbondio di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia.
Don Abbondio spaventato dalle parole dei bravi rifiuta di celebrare il matrimonio.
Agnese,madre di Lucia,propone ai due giovani di ricorrere all’aiuto di un avvocato,e Renzo si reca così dall’Azzeccagarbugli,mentre Lucia cerca l’aiuto di Fra Cristoforo.
Ma mentre Fra Cristoforo si reca in aiuto dei due giovani,così non fa l’Azzeccagarbugli il quale,essendo amico di Don Rodrigo,scaccia Renzo.
Padre Cristoforo si reca al palazzotto di Don Rodrigo,ma il colloquio con il signorotto di paese non da alcun risultato.
Su consiglio di Agnese viene organizzato un matrimonio clandestino e i protagonisti vanno a casa di Don Abbondio,con Tonio e Gervasio che saranno i due testimoni.
I bravi su ordine di Don Rodrigo si recano intanto a casa di Lucia per rapirla,ma non trovano né lei né la madre,che si trovano appunto da Don Abbondio.
Fallito anche il tentativo del matrimonio clandestino i due giovani,con l’aiuto di Fra Cristoforo,lasciano il paese.
Questi capitoli sono detti capitoli borghigiani,essendo ambientati unicamente nel paese d’origine dei protagonisti.

-Secondo nucleo narrativo (cap. IX e X)

Renzo e Lucia si separano,il primo si reca a Milano mentre la seconda a Monza.

-Prima digressione (parte finale del capitolo IX e parte del capitolo X)

Storia di Gertrude e della sua monacazione non desiderata.

-Terzo nucleo narrativo (da cap. XI a cap. XVII)

Renzo giunge a Milano dove viene attratto dai tumulti per il pane,e dopo l’assedio ai forni,si atteggia da protettore della folla nell’assedio della casa del vicario di provvisione.
Stanco si reca ad un’osteria,dove viene denunciato dall’oste e arrestato,ma fortunatamente liberato dalla folla.
A Gorgonzola in un’altra osteria viene a sapere della sua notorietà attraverso la storia di un mercante,il giovane decide quindi di lasciare il Ducato di Milano e di attraversare l’Adda per raggiungere la Repubblica di Venezia,e precisamente la città di Bergamo dove vive suo cugino Bortolo.

-Seconda digressione (cap. XVIII e XIX)

Attilio,cugino di Don Rodrigo,si rivolge al Conte zio per far trasferire Fra Cristoforo,che è quindi costretto a recarsi a Rimini.
Don Rodrigo,venuto intanto a sapere che Lucia si trova nel convento di Gertrude,chiede aiuto all’Innominato per rapirla.

-Quarto nucleo narrativo (da cap. XX a cap.XXVII)

L’Innominato attraverso l’aiuto di Egidio,amante di Gertrude,riesce a rapire Lucia,che viene condotta nel suo castello.
L’uomo pieno di rimorsi si reca la notte da Lucia e rimane profondamente turbato dal colloquio con la fanciulla,la quale fa voto di castità se riuscirà a salvarsi.
La mattina seguente l’Innominato,ormai convertito,si reca dal cardinale Federigo Borromeo,che si trova in un paese vicino al castello,e insieme a lui trova un modo per salvare Lucia.
Lucia dopo essere tornata al paese va a Milano a casa di Donna Prassede,e Renzo inizia una faticosa corrispondenza con Agnese.

-Terza digressione (da cap. XXVIII a cap. XXXII)

Storia della discesa dei lanzichenecchi ,della diffusione della peste e della caccia agli untori.

-Quinto nucleo narrativo (da cap. XXXIII a cap. XXXV)

Don Rodrigo si ammala di peste e,dopo essere stato tradito dal Griso,viene portato al lazzaretto.
Anche Renzo contrae la malattia,ma guarito si reca a cercare Lucia,dopo essere stato al paese va a Milano a casa di Donna Prassede,dove scopre che Lucia malata è stata portata al lazzaretto.
Scambiato per un untore riesce a mettersi in salvo sul carro dei monatti.
Giunto al lazzaretto incontra padre Cristoforo,che pur malato continua ad assistere i bisognosi,e vedendo la condizione di Don Rodrigo lo perdona.

-Sesto nucleo narrativo (da cap. XXXVI a cap. XXXVIII)

Renzo ritrova Lucia,che sta guarendo dalla peste,la quale però vuole mantenere fede al voto di castità,grazie a Fra Cristoforo si riesce però a sciogliere il voto.
Renzo si reca al borgo natio con Agnese,dove aspettano Lucia fino al termine della quarantena.
Con la notizia della morte di Don Rodrigo e grazie all’appoggio del nuovo signorotto Don Abbondio celebra finalmente il matrimonio,dopo il quale Renzo,Lucia e Agnese si trasferiscono nel bergamasco.
La prima figlia dei due protagonisti verrà chiamata Maria.

venerdì 30 dicembre 2011

VITA DI MANZONI (ITALIANO)

Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 Marzo 1785 da Giulia Beccaria (figlia di Cesare Beccaria,autore de Dei delitti e delle pene) e,anche se alcuni contemporanei ritenevano da Giovanni Verri,il padre legittimo è il conte Pietro Manzoni.
Dopo aver frequentato il collegio dei Padri Somaschi e dei Barnabiti si avvicina al giacobinismo e pubblica nel 1801 Il trionfo della libertà,ma la conoscenza di intellettuali liberali lo indusse presso ad abbandonare il giacobinismo per avvicinarsi ad idee liberali.
Nel 1805 Manzoni si reca a Parigi,dove la madre dopo la separazione dal padre si era trasferita con Carlo Imbonati,il quale nel frattempo era morto.
A Parigi Manzoni scrive il componimento più interessante della sua prima giovinezza,In morte di Carlo Imbonati,in cui si avvicina all’illuminismo.
Nel periodo parigino frequenta gli ultimi idéologues,tra cui Claude Fauriel,che sarà un prezioso collaboratore di Alessandro Manzoni,e che agevolerà il passaggio dell’autore dalle ideologie illuministiche a quelle romantiche;avviene in questi anni anche il primo matrimonio di Manzoni con Enrichetta Blondel.
In questo periodo però Manzoni è ancora profondamente neoclassico,e nel 1809 pubblica il poemetto Urania.
Nel 1810 avviene una svolta decisiva nell’autore,la conversione religiosa,che sarà accompagnata anche dai primi disturbi psicologici.
Dopo il ritorno a Milano,avviene tra il 1812 e il 1815 una svolta poetica con la pubblicazione degli Inni sacri.
Dal 1815 inizia il cosiddetto decennio dei capolavori,in cui Manzoni grazie alla sua favorevole situazione economica può dedicarsi solamente alla produzione letteraria.
In questo periodo pubblica due tragedie,Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822),due odi,Marzo 1821 e Il cinque maggio (entrambe pubblicate nel 1821),la lettera a Cesare D’Azeglio e la Pentecoste.
Nel 1823 termina la prima edizione dei Promessi sposi,intitolata Fermo e Lucia,e l’Appendice storica su la colonna infame.
Nel 1827 pubblica la seconda edizione dei Promessi sposi,detta ‘ventisettana’.
Dal 1827 Manzoni comincia a dedicare il suo interesse più che alla produzione letteraria ad interessi di tipo linguistico,adopera anche una revisione linguistica della ‘ventisettana’,che porterà all’ultima pubblicazione dei Promessi sposi nel 1840.
Nel 1837 avviene il secondo matrimonio di Manzoni con Teresa Borri,la prima moglie era infatti morta nel 1833.
Dopo la pubblicazione della ‘quarantana’ sono poche le opere significative.
Nel 1860 è nominato senatore,e viene incaricato come presidente della commissione parlamentare sulla lingua.
Muore nel 1873 a Milano.

mercoledì 21 dicembre 2011

DISKOBOLOS (SENZA LE VARIE CENSURE)

DISKOBOLOS: RIPRENDONO LE DANZE
Del resto si sa, le cose belle si fanno sempre in due…Erano in due Achille e Patroclo, erano in due Elton John e David Furnish, George Micheal e Kenny Goss, erano in due Domenico Dolce e Stefano Gabbana, così come Din e Dan, sono sempre in due anche i carabinieri ( Lombardini docet ), sono in due quelli che ci odiano, in due quelli che se ne fregano,saranno in due(cento) i nostri affezionati lettori.
Come ben sapete lo scorso anno le vostre lacrime hanno segnato la conclusione di un ciclo, una delle DUE muse venali incaricate dall’alta volumptas di redigere questa rubrica ha lasciato le sacre sponde PIAZZIANE (- perpentiane)) dove il suo corpo fanciulletto giacque,  verso i lidi milanesi. Ora noi per lui e per il suo amabil ricciolo canteremo sublimi note ( mi ritorni in menteee, bello come seeei…).
Dunque dei vecchi andres androsaqonoi uno è rimasto,ma il vento divino ha presto indicato il suo nuovo compagno e la ruota ha finalmente ripreso a girare.
Perciò ora noi,gai del nostro ruolo di vati,abbiamo il dovere morale di portare avanti il fardello e di dire la nostra riguardo ai vari fatti concernenti la nostra beneamata squola.
E’ autunno anche al piazzi, le foglie cadono e,come ogni anno,nuove leve prendono le armi,come sempre sotto il pugno di ferro di lui,l’invincibile,l’ineffabile,l’innominabile,l’inenarrabile,il fiero capo istruttore Piedoni. “Attenti Palle di Lardo! Farò venire a tutti degli addominali d’acciaio”.
(dopo aver fatto venti piegamenti per averlo inopportunamente nominato,ricominciamo a scrivere,,ndr)
Nuovi amori nascono e altri attraversano periodi bui,come quello fra Camilla M. e l’eroico Laerziade,reo di averla sedotta e abbandonata,negandole ciò che le aveva promesso.Egli, ghermito dunque da una forte confusione sentimentale,è presto giunto a decisioni alternative,del tutto contrarie al passato,simile ad un’hegeliana coscienza signorile,non ancora conscia della propria dipendenza dal lavoro servile.
Passando ora ad argomenti più lieti, accogliamo con gaudio il fatto che il fresco Spagnolin, garzoncello scherzoso che con noi condivide dei capelli il biondo, già voglia toccare con mano la Rappresentanza d’istituto, senza però non tenere l’altra mano sulla coscia femminea di qualche ginnasiale: proprio ora, dalle retrovie della Pio Rajna, possiamo osservarlo all’opera e,da quello che vediamo,il ragazzo ha del talento,ma ci sono ampi margini di miglioramento.
Di certo potrebbe imparare, come anche noi abbiamo fatto a nostro tempo, dall’ ormai pregiatissimo dottor Tazza, raro nelle sue apparizioni mondane come un tartufo d’alba, ma che sempre ci ha stupito con il suo savoir faire.
Ora però, in qualità di giornalisti, e di conseguenza sempre attenti anche alla politica, non possiamo non parlare dell’ascesa al potere della nostra Lucrezia Canovi e della sua  bassezza ( morale )manifestatasi nel porre ,come promessa per l’elezione, il principio dello sballo metodico, proprio di un epicureismo degenere e di una persona che, a causa di ciò, dovrà essere da noi duramente moralizzata. I più attendono quindi con sbarellante impazienza la prossima assemblea d’istituto, in cui la quota versata dagli studenti prevederà due consumazioni. Uno sballo totale insomma.
Sempre per parlare di comportamenti deplorevoli e meritevoli di sanzione,è doveroso menzionare con sdegno gli indecorosi studenti della 3ACL,colti in flagrante mentre banchettavano allegramente alle macchinette del primo piano in orario curricolare;giustamente etichettati come inqualificabili,poiché giammai una cosa del genere era avvenuta nella nostra scuola e mai un simile tabù era stato infranto,questi ragazzi,evidentemente caratterizzati da una forte attitudine criminale,verranno segnalati ogni qual volta usciranno dalla loro classe.
Dunque,cari lettori,in merito a tali questioni ci pareva giusto sottoporvi il nostro parere,sulla base del quale ognuno di voi potrà poi con calma riflettere,come la prof.Zizzi ama dire,nel chiuso della propria cameretta.
Oi Stocàzzontes (i cercatori)



lunedì 12 dicembre 2011

COLERIDGE (INGLESE)



LIFE AND WORKS
pag.D94/D95
Samuel Taylor Coleridge was born in Devonshire, but
very soon he moved to London. In 1797 he
met William Wordsworth, in 1798 they published the Lyrical Ballads. He and
Wordsworth are the first romantic poets. The first poem of the collection
Lyrical Ballads is “The Rime of the
Ancient Mariner”, written by Coleridge. Rime stays for ballad, in fact it is a
literary ballad that tells the story of the voyage of a ship. Coleridge uses a
lot of archaic words, he often goes back with the language to the middle ages. He
may have taken inspiration from “The Flying Dutchman” (where is told the story
of a phantom ship that has to go over the Cape of good Hope) and also from “The
Wandering Jew” ( a novel where a Jew taunted Jesus and so his punishment
was to wander till his life ended).
Generally medieval ballads have: 4-line stanzas, a short and simple
story line, a lot of direct speeches, universal themes (love, death, war…), the
supernatural (something that is not rational), use of repetitions and
alliterations.
In
“The Rime of the Ancient Mariner” we have 4-line
stanzas, direct speeches, universal themes, the supernatural, use
of repetitions and alliterations; but we also have three things that are not
traditional: the length, the moral at the end and the description of the
landscape.
Extremely important in Coleridge’s masterpiece are numbers: number 3 and
9 are important and we often find them, but also number 7 is important as we
often find it and also all the poem is divided in seven parts. Number 3 is a
powerful number, it is connected with the supernatural (probably Coleridge tells us that we must expect
something supernatural), number 9 goes towards divinity.
Also birds were somehow divine: because they came from the sky, they
were considered messengers from God. Especially on ships the albatross is considered the reincarnation of dead
sailors.
Number 7 is supernatural, it represent
death but also rebirth.

THE KILLING OF THE ALBATROSS pag.D98/D99/D100
An ancient (old) mariner meets three hosts that are
going to a wedding and he stops one of them to tell him his story. That wedding
guest is forced (by the mariner’s
glittering eyes) to listen to the true story that the mariner tells. A
ship leaves the harbor and goes southward; in the equator there’s a terrible
storm that pushes the ship again southward, until the crew get to the South
Pole. Here there is only ice and fog. The atmosphere is eerie, because there’s
a very loud noise and the ice has a sort of greenish color. The ship is stuck.
Then an albatross comes and the crew of the ship is very happy to see it
(verses 65-66). They feed the bird that comes every day, and the ship manages
to move. Then the ancient mariner shoots the albatross, but we don’t know why
he does that thing.
It is an
ancient Mariner,
And he
stoppeth one of three.
«By thy long
grey beard and glittering eye,
Now
wherefore stopp’st thou me?

The
Bridegroom’s doors are opened wide,
And I am
next of kin ;
The guests
are met, the feast is set:
May’st hear
the merry din.»

He holds him
with his skinny hand,
«There was a
ship,» quoth he.
«Hold off !
unhand me, grey-beard loon !»
Eftsoons his
hand dropt he.


He holds him
with his glittering eye—
The
Wedding-Guest stood still,
And listens
like a three years’ child:
The Mariner
hath his will.

The
Wedding-Guest sat on a stone:
He cannot choose but hear;
And thus
spake on that ancient man,
The
bright-eyed Mariner

«The ship
was cheered, the harbour cleared,
Merrily did we drop
Below the kirk, below the hill,
Below the
light-house top.

The Sun came
upon the left,
Out of the sea came he!
And the
shone bright, and on the right
Went down
into the sea.

Higher and
higher every day,
Till over
the mast at noon—»
The
Wedding-Guest here beat his breast,
For he heard the loud bassoon.

The bride
hath paced into the hall,
Red as a rose is she;
Nodding their heads before her goes
The merry minstrelsy.

The
Wedding-Guest here beat his breast,
Yet he cannot choose but hear;
And thus spake on the ancient man,
The
bright-eyed Mariner,
«And now the
storm-blast came, and he
Was tyrannous and strong:
He struck with his o’ertaking wings,
And chased us south along.

With sloping
masts and dipping prow,
As who
pursued with yell and blow
Still treads
the shadow of his foe,
And forward
bends his head,
The ship
drove fast, loud roared the blast,
And
southward aye we fled.

And now
there come both mist and snow,
And it grew
wondrous cold:
And ice,
mast-high, came floating by,
As green as
emerald.

And through
the drifts the snowy clifts
Did send a
dismal sheen:
Nor shapes
of men nor beasts we ken—
The ice was
all between.

The ice was
here, the ice was there,
The ice was
all around :
It cracked
and growled, and roared and howled,
Like noises
in a swound!

At lenght
did cross an Albatross,
Thorough the
fog it came;
As if it had been a Christian soul,
We hailed it
in God’s name.

It hate the
food in ne’er had eat,
And round
and round it flew.
The ice did
split with a thunder-fit;
The
heilmsman steered us through!

And a good south
wind sprung up behind;
The
Albatross did follow,
And every
day, for food or play,
Came to the
mariners’ hollo!

In mist or
cloud, on mast or shroud,
It perched
for vespers nine;
Whiles all the night, through the fog-smoke white,
Glimmered
the white moon-shine.»

«God save
thee, ancient Mariner!
From the
fiends, that plague thee thus!—
Why look’st
thou so?» —With my cross-bow
I shot the Albatross

C’è un vecchio marinaio, e ferma uno
dei tre: «Per la tua lunga barba grigia e il tuo occhio scintillante, perchè
ora mi fermi?
Le porte dello sposo son già tutte
aperte, e io sono uno stretto parente; i
convitati son già riuniti, il festino è servito, tu puoi udirne di qui
l’allegro rumore.»
Ma egli lo trattiene con mano di
scheletro. «C’era una volta una nave …» comincia a dire. «Lasciami, non mi
trattener più, vecchio vagabondo dalla barba brizzolata!» E quello
immediatamente ritirò la sua mano.
Ma con l’occhio scintillante lo
attrae e lo trattiene. E il Convitato resta come paralizzato, e sta ad
ascoltare come un bambino di tre anni: il vecchio Marinaro è padrone di lui.
Il Convitato si mise a sedere sopra
una pietra: e non può fare a meno di ascoltare attentamente. E cosí parlò allora
quel vecchio uomo, il Marinaio dal magnetico sguardo:

«La nave, salutata, aveva già
lasciato il porto, e lietamente filava sulle onde, dietro la chiesa, dietro la
collina, dietro l’alto faro.
Il Sole si levò da sinistra, si levò
su dal mare. Brillò, e a destra ridiscese nel mare
Ogni giorno piú alto, sempre più
alto finchè diritto sull’albero maestro, a mezzogiorno …» Il Convitato si batte
il petto impaziente, perchè sente risuonare il grave trombone.
La Sposa è apparsa nella sala: essa
è vermiglia come una rosa; la precedono, movendo in cadenza la testa, i felici
menestrelli.
Il Convitato si percuote il petto,
ma non può fare a meno di stare a udire il racconto. E così seguitò a dire
quell’antico uomo, il Marinaio dall’occhio brillante.
«Ed ecco che sopraggiunse la tempesta,
e fu tirannica e forte. Ci colpì con le sue travolgenti ali, e, insistente,ci
cacciò verso sud.
Ad alberi piegati, a bassa prua,
come chi ha inseguito con urli e colpi pur corre a capo chino sull’orma del suo
nemico, la nave correva veloce, la tempesta ruggiva forte, e ci s’inoltrava
sempre piú verso il sud.
Poi vennero insieme la nebbia e la
neve; si fece un freddo terribile: blocchi di ghiaccio, alti come l’albero
della nave, ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.
E traverso il turbine delle
valanghe, le rupi nevose mandavano sinistri bagliori: non si vedeva più forma d’uomo
o di bestia — ghiaccio solo da per tutto.
Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era
là, il ghiaccio era tutto all’intorno: scricchiolava e muggiva, ruggiva ed
urlava, come i rumori che si odono in una svenimento.
Alla fine un albatro passò per aria,
e venne a noi traverso la nebbia. Come se fosse stato un’anima cristiana, lo
salutammo nel nome di Dio.
Mangiò del cibo che gli demmo,
benchè nuovo per lui; e ci volava e rivolava d’intorno. Il ghiaccio a un tratto
si ruppe, e il pilota potè passare in mezzo.
E un buon vento di sud ci soffiò
alle spalle, e l’albatro ci teneva dietro; e ogni giorno veniva a mangiare o giocare
sul bastimento, chiamato e salutato allegramente dai marinai.
Tra la nebbia o tra le nuvole, sull’albero
o su le vele, si appollaiò per nove sere di seguito; mentre tutta la notte
attraverso un bianco vapore splendeva il bianco lume di luna.»
«Che Dio ti salvi, o Marinaio, dal
demonio che ti tormenta! — Perchè mi guardi cosí, Che cos’hai?» — «Con la mia
balestra, io ammazzai l’albatro! »




THE RIME OF THE ANCIENT MARINER doc. T 47
The Mariner begins to suffer punishment for what he
has done; the ship has ceased to move and the sailors are tortured by thirst,
and the only moving things are the horrible creatures in the sea.
The sun now
rose upon the right:
Out of the
sea came he.
Still hid in
mist and on the left
Went down
into the sea.

And the good
south wint still blew behind,
But no sweet
bird did follow,
Nor any day
for food or play
Came to the
mariners’ hollo!

And I had done
a hellish thing,
And it would
work ’em woe:
For all
averred, I had killed the bird
That made
the breeze so blow.
Ah wretch!
said they, the bird to slay,
That made
the breeze to blow!

Nor dim nor
red, like God’s own head,
The glorious
Sun uprist:
Then all
averred, I had killed the bird
That brought
the fog and mist.
’Twas right,
said they, such birds to slay,
That bring
the fog and mist.

The fair
breeze blew, the white foam flew
The furrow
followed free;
We were the
first that ever burst
Into that
silent sea.

Down dropt
the breeze, the sails dropt down
’Twas sad as
sad could be;
And we did
speak only to break
The silence
of the sea!

All in hot
and copper sky,
The bloody
Sun, at noon,
Right up
above the mast did stand,
No bigger
than the Moon.

Day after
day, day after day,
We stuck,
nor breath nor motion;
As idle as a
painted ship
Upon a
painted ocean.


Water,
water, everywhere,
And all the
boards did shrick;
Water,
water, everywhere,
Nor any drop
to drink.

The very
deep did rot: O Christ!
That ever this should be!
Yes, slimy
things did crawl with legs
Upon the
slimy sea.

About,
about, in reel and rout
The
death-fires danced at night;
The water,
like a witch’s oils,
Burnt green, and blue, and white.

And some in
dreams assured were
Of the
spirit that plagued us so;
Nine fathom
deep he had followed us
from the
land of mist and snow.

And every
tongue, through utter drought,
Was withered
at the root;
We could not
speak, no more than if
We had been
chocked with soot.

Ah! well a
day! what evil looks
Had I from
old and young!
Instead of
the cross, tha Albatross
About my
neck was hung.

Il sole ora si levava a destra: si
levava dal mare,nascosto fra la nebbia, e si rituffava nel mare a sinistra.
E il buon vento di sud spirava
ancora dietro a noi, ma nessun dolce uccello lo seguiva, e in nessun giorno
riapparve per cibo o per trastullo al grido dei marinai.
Oh, io avevo commesso un’azione
infernale, e doveva portare a tutti disgrazia; perchè, tutti lo affermavano, io
avevo ucciso l’uccello che faceva soffiare la brezza. Ah, disgraziato,
dicevano, hai ammazzato l’uccello che faceva spirare il buon vento.
Nè fosco nè rosso, ma sfolgorante
come la faccia di Dio, si levò il sole glorioso. Allora tutti asserirono che io
avevo ucciso l’uccello che portava i vapori e le nebbie. È bene, dissero, è
bene ammazzare simili uccelli, che portano i vapori e le nebbie.
La buona brezza soffiava, la bianca
spuma scorreva, il solco era libero: eravamo i primi che comparissero in quel
mare silenzioso…
Il vento cessò, e caddero le vele;
fu una desolazione ineffabile: si parlava soltanto per rompere il silenzio del
mare.
Solitario in un soffocante cielo di
rame, il sole sanguigno, non più grande della luna, si vedeva a mezzogiorno
pender diritto sull’albero maestro.
Per giorni e giorni di seguito,
restammo come impietriti, non un alito, non un moto; inerti come una nave
dipinta sopra un oceano dipinto.
Acqua, acqua da tutte le parti; e
l’intavolato della nave si contraeva per l’eccessivo calore; acqua, acqua da
tutte le parti; e non una goccia da bere!
Il mare stesso marcì. Oh Dio! che
ciò potesse davvero accadere? Sì; delle cose viscose strisciavano trascinandosi
su le gambe sopra un mare viscido.
Attorno, attorno, in turbinio e
tumulto, innumerevoli fuochi fatui danzavano nella notte: l’acqua, come l’olio d’una
strega, bolliva verde, blu, bianca.
E alcuni, in sogno, ebbero conferma
dello spirito che ci colpiva così: a nove braccia di profondità, ci aveva
seguiti dalla regione della nebbia e della neve.
E ogni lingua, per l’estrema sete,
era seccata fino alla radice; non si poteva più articolare parola, quasi
fossimo soffocati dalla fuliggine.
Ohimè! che sguardi terribili mi
gettavano, giovani e vecchi! In luogo di croce, mi fu appeso al collo l’albatro
che avevo ucciso.


DEATH AND LIFE-IN-DEATH pag.D102/D103/D104
The ship is now still stuck in the middle of the ocean
and the mariners are without water, so every throat is parched. The ancient
mariner sees something that is getting closer and closer from the West. As it
is nearer , it seems to be a ship. Since his throat is parched, he bit his arm
and sucks the blood to try to scream. All the mariners are happy because they
think that the ship can save them; but the ship is moving without wind, and
that fact is quite suspicious. When the ship drives between them and the sun,
the ancient mariner understands that it is a phantom ship: two women are
casting dice. Death wins all the others mariners, but life-in-death wins the
ancient mariner.

There passed a weary time.
Each throat was parched, and glazed each eye. A weary time! A weary time!

How glazed
each weary eye!
When looking
westward I beheld
A something
in the sky.

At first it
seemed a little speck,
And then it
seemed a mist;
It moved and
moved, and took at last
A certain
shape, I wist.

A speck, a
mist, a shape. I wist!
And still it
neared and neared:
As if it
dodged a water sprite,
It plunged
and tacked and veered.

With throats
unslaked, with black lips backed,
We could nor
laugh nor wail;
Through
utter drought all dumb we stood!
I bit my
arm, I sucked the blood,
And cried, A
sail! a sail!

With throats
unslaked, with black lips backed,
Agape they
heard me call:
Gramercy!
they for joy did grin,
And all at
once their breath drew in,
As they were
drinking all.

See! see! (I
cried) she tacks no more!
Hither to
work us weal;
Without a
breeze, without a tide,
She steadies
with uproght keel!

The western
wave was all a-flame,
The day was
well nigh done!
Almost upon
the western wave
Rested the
broad bright Sun.
When that
strange shape drove suddendly
Betwixt us
and the Sun.

And straight
the Sun was flecked with bars,
(Heaven’s
Mother send us grace!)
As if
through a dungeon-grate he peered
With broad
and burning face.

Alas!
(thought I, and mi heart beat loud)
How fast she
nears and nears!
Are those
her sails that glance in the Sun,
Like
restless gossameres?

Are those
her ribs through which the Sun
Did peer, as through a grate?
And is that
Woman all her crew?
Is that a Death? and are there two?
Is Death that Woman’s mate?

Her lips
were red, her looks were free.
Her locks
were yellow as gold:
Her skin was
as white as leprosy,
The
Night-mare Life-in-Death was she,
Who thicks
man’s blood with cold.

The naked
hulk alongside came,
And the
twain were casting dice:
«The game is
done! I’ve won, I’ve won !»
Quoth she,
and whistles thrice.

The Sun’s
rim dips, the stars rush out:
At one
stride comes the dark;
With
far-heard whisper o’er the sea,
Off shot the
spectre-bark


We listened
and looked sideways up!
Fear at my
heart, as at a cup,
My
life-blood seemed to sip!
The stars
were dim, and thick the night,
The
steersman’s face by his lamp gleamed white;


From the
sails the dew did drip—
Till clomb
above the eastern bar
The horned
Moon, with one bright star
Within the
neither tip.

One after
one, by the star-dogged Moon,
Too quick
for groan or sigh,
Each turned
his face with a ghastly pang,
And cursed
me withe his eye.


Four times
fifty living men,
(And I heard
nor sigh nor groan)
With heavy
tump, a lifeless lump,
They dropped
down one by one.


The souls
did from their bodies fly,—
They flied
to bliss or woe!
And every
soul it passed me by
Like the
whizz of my cross-bow.


Passò un
triste tempo. Ogni gola era riarsa, ogni occhio era vitreo. Un triste tempo, un
triste tempo! E come mi fissavano tutti quegli occhi stanchi! Quand’ecco,
guardando verso occidente, io scorsi qualche cosa nel cielo.
Da prima,
pareva una piccola macchia, una specie di nebbia; si moveva, si moveva, e alla
fine parve prendere una certa forma.
Una macchia,
una nebbia, una forma, che sempre più si faceva vicina: e come se volesse
sottrarsi ed evitare un fantasma marino, si tuffava, si piegava, si rigirava.
Con gole
asciutte, con labbra nere arse, non si poteva nè ridere nè piangere. In
quell’eccesso di sete, stavano tutti muti. Io mi morsi un braccio, ne succhiai
il sangue, e gridai: Una vela! Una vela!
Con arse
gole, con nere labbra bruciate, attoniti mi udirono gridare. Risero
convulsamente di gioia: e tutti insieme aspirarono l’aria, come in atto di
bere.
Vedete!
vedete! (io gridai) essa non gira più, ma vien dritta a recarci salvezza: senza
un alito di vento, senza corrente, avanza con la chiglia elevata.
A occidente
l’acqua era tutta fiammeggiante; il giorno era presso a finire. Sull’onda
occidentale posava il grande splendido sole quand’ecco quella strana forma
s’interpose fra il sole e noi.
E a un
tratto il sole apparve striato di sbarre (che la celeste Madre ci assista!)
come se guardasse dalla inferriata di una prigione con la sua faccia larga ed
accesa.
Ohimè!
(pensavo io, e il cuore mi batteva forte), come si avvicina rapidamente, ogni
momento di più! Son quelle le sue vele, che scintillano al sole come spiritate
ragnatele?
Son quelle
le sue coste, traverso a cui il sole guarda come traverso a una grata? E quella
donna là è tutto l’equipaggio? È forse la Morte? o ve ne son due? o è la Morte
la compagna di quella donna?
Le sue labbra
eran rosse, franchi gli sguardi, i capelli gialli com’oro: ma la pelle
biancastra come la lebbra… Essa era l’Incubo Vita-in-Morte,
che congela il sangue dell’uomo.
Quella nuda
carcassa di nave ci passò di fianco, e le due giocavano ai dadi. «Il gioco è finito!
ho vinto, ho vinto!» dice l’una, e fischia tre volte.
L’ultimo
lembo di sole scompare: le stelle accorrono a un tratto: senza intervallo di
tramonto, è già notte. Con un mormorio prolungato fuggì via sul mare quel
battello-fantasma.
Noi udivamo,
e guardavamo di sbieco, in su. Il terrore pareva succhiare dal mio cuore, come
da una coppa, tutto il mio sangue vitale. Le stelle erano torbide, fitta la
notte, e il viso del timoniere splendeva pallido e bianco sotto la sua
lanterna.
La rugiada
gocciava dalle vele; finchè il corno lunare pervenne alla linea orientale,
avendo alla sua estremità inferiore una fulgida stella,
L’un dopo
l’altro, al lume della luna che pareva inseguita dalle stelle, senza aver tempo
di mandare un gemito o un sospiro, ogni marinaro torse la faccia in uno spasimo
atroce, e mi maledisse con gli occhi.
Duecento
uomini viventi (e io non udii nè un sospiro nè un gemito), con un grave tonfo,
come una inerte massa, caddero giù l’un dopo l’altro.
Le anime
volaron via dai loro corpi — volarono alla beatitudine o alla dannazione; ed
ogni anima mi passò accanto sibilando, come il rumore della mia balestra.


THE WATER SNAKES pag.D105/D106/D107/D108
The wedding guest fears the ancient mariner because he
thinks that the mariner is a ghost, but the mariner tells him that he is not
dead. On the ship the dead mariners continue to look the ancient mariner with
curse in their eyes. When the ancient mariner blesses the water snakes, the
ship moves, and some spirits enter the dead bodies on the deck, so that they
can work. When they get home, they are still dead.

«I fear thee, ancient Mariner,
I fear thy
skinny hand !
And thou art
long, and lank, and brown,
As is the
ribbed sea-sand,

I fear thee
and thy glittering eye
And thy
skinny hand, so brown.» —
«Fear not,
fear not, thou Wedding-Guest!
This body
dropt not down.

Alone,
alone, all, all alone,
Alone on a
wide, wide sea!
And never a
saint took pity on
My soul in
agony.

The many
men, so beatiful!
And they all
dead did lie:
And a
thousand thousand slimy things
Lived on;
and so did I.

I looked
upon the rotting sea,
And drew my
eyes away;
I looked
upon the rotting deck
And there
the dead men lay.

I looked to
heaven, and tried to pray;
But or ever
a prayer had gusht,
A wicked
whisper came, and made
My heart as
dry as dust.

I closed my
lids, and kept them close,
And the
balls like pulses beat;
For the sky
and the sea and the sea and the sky
Lay like a
load on my weary eye,
And the dead
were at my feet.

The cold
sweat melted from their limbs,
Nor rot nor
reek did they:
The look
with which they looked on me
Had never
passed away.

An orphan’s
curse would drag to Hell
A spirit
from on high;
But oh! more
horrible than that
Is a curse
in a dead man’s eye!
Seven days,
seven nights, I saw that curse,
And yet I
could not die.


The moving
Moon went up the sky,
And nowhere did abide:
Softly she was going up,
And a star or two beside—

Her beams
bemocked the suiltry main,
Like April
hoar-frost spread;
But where
the ship’s huge shadow lay,
The charmed
water burnt alway
A still and
awful red.

Beyond the
shadow of the ship,
I watched
the water-snakes:
They moved
in tracks of shining white,
And when
they reared, the elfish light
Fell off in
hoary flakes.

Within the
shadow of the ship,
I watched
their rich attire:
Blue glossy
green, and velvet black,
They coiled
and swam; and every track
Was a flash
of golden fire.

O happy
living things! no tongue
Their beauty
might declare:
A spring of
love gushed from my heart,
And I
blessed them unaware:
Sure my kind
saint took pity on me,
And I
blessed them unaware.

The self
same moment I could pray;
And from my
neck so free
The
Albatross fell off, and sank
Like lead
into the sea.

«Tu mi spaventi, vecchio Marinaio!
La tua scarna mano mi fa pura! Tu sei lungo, magro, bruno come la ruvida sabbia
del mare.
Ho paura di te, e del tuo occhio
brillante, e della tua bruna mano di scheletro…»— «Non temere, non temere, o
Convitato! Questo mio corpo non cadde fra i morti. Solo, solo, completamente
solo — solo in un immenso mare! E nessun santo ebbe compassione di me, della
mia anima agonizzante.
Tutti quegli uomini così belli,
tutti ora giacevano morti! e migliaia e migliaia di creature striscianti e
viscose continuavano a vivere, e anch’io vivevo.
Guardavo quel putrido mare, e
torcevo subito gli occhi dall’orribile vista; guardavo sul ponte marcito, e là
erano distesi i morti.
Alzai gli occhi al cielo, e tentai
di pregare; ma appena mormoravo una preghiera, udivo quel maledetto sibilo, e
il mio cuore diventava arido come la polvere.
Chiusi le palpebre, e le mantenni
chiuse; e le pupille battevano come pulsazioni; perchè il mare ed il cielo, il
cielo ed il mare, pesavano opprimenti sui miei stanchi occhi; e ai miei piedi
stavano i morti.
Un sudore freddo stillava dalle loro
membra, ma non imputridivano, nè puzzavano: mi guardavano sempre fissi, col
medesimo sguardo con cui mi guardaron da vivi.
La maledizione di un orfano avrebbe
la forza di tirar giù un’anima dal cielo all’inferno; ma oh! più orribile
ancora è la maledizione negli occhi di un morto! Per sette giorni e sette notti
io vidi quella maledizione… eppure non potevo morire.
La vagante luna ascendeva in cielo e
non si fermava mai: dolcemente saliva , saliva in compagnia di una o due
stelle.
I suoi raggi illusori davano aspetto
di una distesa bianca brina d’aprile a quel mare putrido e ribollente; ma dove
si rifletteva la grande ombra della nave, l’acqua incantata ardeva in un
monotono e orribile color rosso.
Al di là di quell’ombra, io vedevo i
serpenti di mare muoversi a gruppi di un lucente candore; e quando si alzavano
a fior d’acqua, la magica luce si rifrangeva in candidi fiocchi spioventi.
Nell’ombra della nave, guardavo
ammirando la ricchezza dei loro colori; blu, verde-lucidi, nero- velluto, si
attorcigliavano e nuotavano; e ovunque movessero, era uno scintillio di fuochi
d’oro.
O felici creature viventi! Nessuna
lingua può esprimere la loro bellezza: e una sorgente d’amore scaturì dal mio
cuore, e istintivamente li benedissi. Certo il mio buon santo ebbe allora pietà
di me, e io inconsciamente li benedissi.
Nel momento stesso potei pregare; e
allora l’albatro si staccò dal mio collo, e cadde, e affondò come piombo nel
mare.


A SADDER
AND WISER MAN pag.D109

Listening to the mariner’s story has made the wedding guest a sadder and
wiser man.

Farewell,
farewell! but this I tell
To thee,
thou Wedding-Guest,
He prayeth
well, who loveth well
Both man and
bird and beast.

He prayeth
best, who loveth best
All things
both great and small;
For the dear
Good who loveth us
He made and
loveth all.»

The Mariner,
whose eye is bright,
Whose beard
with age is hoar,
Is gone: and
now the Wedding-Guest
Turned from
the bridgeroom’s door.


He went like
one that hath been stunned,
And is of
sense forlorn:
A sadder and
a wiser man,
He rose the
morrow morn.

Addio, addio! Ma questo io dico a
te, o Convitato: prega bene sol chi ben ama e gli uomini e gli uccelli e le
bestie.
Prega bene colui che meglio ama
tutte le creature, piccole e grandi; poichè il buon Dio che ci ama, ha fatto e
ama tutti.
Il marinaio dall’occhio brillante,
dalla barba bianca dagli anni, è sparito — e ora il Convitato non si dirige più
alla porta dello sposo.
Egli se ne andò, come stordito, e
fuori dai sensi. E quando si levò la mattina dopo, era un uomo più triste e più
saggio.



INTERPRETATION
The most relevant interpretation is the one that sees
the poem as a tale of crime and punishment (according to Maurice Bowra). The
crime is irrational so it is also the killing of the albatross.