domenica 12 febbraio 2012

ELETTROMAGNETISMO 2 (FISICA)

MOTO DI UNA CARICA IN UN CAMPO ELETTRICO: (da p 175 a p 176)
Le leggi della meccanica in questo caso valgono anche in elettrostatica e quindi, fissato un asse di riferimento x diretto nella direzione del campo elettrico E, la posizione della carica è individuata da una legge oraria del tipo: x = ½ at2 + vot = ½ q/m Et2 + vot. Dalla dinamica infatti sappiamo che F = ma e dall’ elettrostatica che F = qE, per cui, confrontando le due relazioni e ricavando a si ottiene che a = q/mE.

LA MISURA DELLA CARICA ELETTRONICA E L’ESPERIMENTO DI MILLIKAN : (da p 178 a 179)

Come è già stato detto la carica elettrica misurata nei fenomeni su scala macroscopica è data da un elevatissimo numero di cariche fondamentali del valore di 1,6 x 10-19 C ( positive o negative ) : noi sappiamo infatti che la carica elettrica è quantizzata e quindi che una qualsiasi carica elettrica q è sempre un multiplo intero(n) della carica elettrica fondamentale ( o quella del protone o quella dell'elettrone). Ossia si ha sempre : q = ne oppure q = np.

A riuscire a calcolare per primo l’effettivo valore di tale carica, fu , nel 1910, lo scienziato americano Robert Millikan, il quale individuò direttamente tale valore mediante un esperimento in cui riuscì a misurare l’entità della forza agente su un corpo su cui era depositata una carica pari a quella dell’elettrone ( o a multipli di essa).






L’apparato di cui si servì per tale esperimento (mostrato nell'immagine sopra riportata) è costituito da due armature piane e parallele caricate con segno opposto in modo che tra le due si formi un campo elettrico uniforme ( si trattava quindi di un condensatore piano parallelo) . Se si spruzzassero delle piccole goccioline d’olio (elettricamente scariche) all’interno di tale apparato, esse si muoverebbero verso il basso sotto l’azione della forza di gravità, senza risentire della tensione tra le due armature. In questa situazione le goccioline cadrebbero in un primo momento con un’ accelerazione g ma poi, raggiunta la velocità di regime, essa sarebbe eguagliata dalla forza d’attrito viscoso dell’aria e le goccioline continuerebbero quindi a muoversi con velocità costante.
Supponendo però che le goccioline siano state precedentemente caricate, il loro moto potrà essere:
*accelerato, se la forza elettrica è concorde con quella gravitazionale
*decelerato, se la forza elettrica è discorde rispetto a quella gravitazionale ma minore di essa
*accelerato verso l’alto, se la forza elettrica è opposta a quella di gravità e più intensa di essa
*fermato, se la forza elettrica è opposta e uguale in modulo a quella di gravità (la gocciolina rimane in sospensione aerea tra le armature del dispositivo)
Millikan riuscì a regolare l’intensità del campo elettrico generato tra le due armature in modo che si verificasse l’ultima situazione. In tal modo egli sapeva che la forza elettrica uguagliava quella di gravità e quindi si ha che
Fe = Fg qE = mg
Dove q è la carica della gocciolina, m la sua massa, E il valore del campo elettrico e g l’accelerazione di gravità.
Si può così ricavare il valore della carica q:
q = mg/E
In questa espressione non è però nota la massa della gocciolina. Essa quindi viene ricavata sperimentalmente.
La determinazione sperimentale del valore della massa mediante una misura diretta era però impossibile da effettuare e dunque richiedeva un metodo di misura indiretto. In assenza di campo elettrico, le goccioline tendono a cadere sotto l’azione della forza peso, ostacolate dalla resistenza dell’aria: dopo un certo tempo esse raggiungono una velocità limite che tendono a mantenere nel seguito ( si tratta dunque di un moto uniforme). Tale velocità limite dipende dalle caratteristiche delle goccioline e da quelle del mezzo viscoso nel quale si muovono secondo la seguente espressione: v = 2/9 gR2ρ/η e quindi R = √9/2 ηv / ρg, dove η è la viscosità dell’aria, R è il raggio delle goccioline e ρ è la densità dell’olio di cui è costituita la gocciolina. La determinazione della velocità limite è facilmente effettuabile nel regime di moto uniforme con l’aiuto di una scala graduata posta sull’oculare del microscopio e di un cronometro, mediante la relazione v = x/t. Una volta misurata la velocità, si può risalire al valore di R( essendo noti i valori di ρ, η e g). In base alla definizione di densità ρ = m/ V, ed essendo il volume della sfera V = 4πR3/3, si ha: m = ρV = ρ4πR3/3 e dunque, dalla misura di R, si può risalire alla misura della massa m.
Le goccioline sono caricate in modo non uniforme : confrontando i diversi dati sperimentali sulle cariche delle goccioline, Millikan poté osservare che esse risultano essere sempre multiple di una stessa quantità, la carica elementare e, dal valore stimato di circa 1,6 x 10-19 C.

LA CAPACITA’: ( da p 179 a p 182)

Nella maggior parte dei condensatori piani, la differenza di potenziale tra le armature è direttamente proporzionale alla carica Q presente su di esse. Introducendo una costante di proporzionalità, questa relazione diventa l’equazione Q = CV, da cui mi posso ricavare C = Q/V. La costante di proporzionalità C viene chiamata capacità ed esprime la carica elettrica accumulata per differenza di potenziale unitaria. L’unità di misura di questa grandezza fisica è il farad ( F), dove un farad ( 1 F ) è uguale a un coulomb al volt ( 1 C/V).

Sappiamo inoltre che la capacità di un condensatore piano è direttamente proporzionale alla superficie delle armature e inversamente proporzionale alla loro distanza. Introducendo la costante dielettrica del mezzo materiale ε, questa relazione diventa l’equazione : C = εS/d.
Nel caso di un condensatore sferico di raggio R la capacità vale: C = 4π εR.

ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA IMMAGAZZINATA NEL CONDENSATORE: ( p 182)

Sappiamo che l’energia immagazzinata nel condensatore ( o il lavoro svolto dal generatore per caricare il condensatore è espressa da : U = L = ½ QV. Questo ,perché ,se ci immaginiamo di rappresentare il tutto su un grafico cartesiano e in particolare ci immaginiamo di posizionare sull’asse x la carica Q e sull’asse y la differenza di potenziale elettrico V ,ci accorgiamo che l’energia immagazzinata nel condensatore si può trovare calcolando l’area del triangolo rettangolo che nel mio grafico cartesiano ha come cateti Q e V; per calcolare l’area di un triangolo rettangolo devo moltiplicare la base per l’altezza ( in questo caso particolare, i due cateti) e dividere tutto per due ed arrivo dunque alla formula U = L = ½ QV.
Dato che Q = CV, questa equazione può anche essere scritta in altri modi, a seconda di cosa ricaviamo : L = U = ½ QV = Q2/2C = ½ CV2.
Mediante altre operazioni è possibile mettere in relazione l’energia immagazzinata in un condensatore piano con il campo elettrico che si crea tra le sue armature; infatti , in base all’equazione C = εS/d, si può scrivere l’equazione precedente in modi diversi, a seconda di cosa ricaviamo : L = U = ½ CV2 = ½ εS/dV2 = ½ εS/d E2d2 = ½ E2Sd.

I DIELETTRICI : ( da p 182 a p 185 )

Per dielettrico si intende un materiale isolante che, nella maggior parte dei condensatori, viene inserito tra le due armature ( esso può essere per esempio un foglio di materiale isolante appunto, come di carta o di plastica) e che ha diverse funzioni.
Innanzitutto, impedisce che le due armature vengano a contatto, cosa che permetterebbe agli elettroni di rifluire indietro sull’armatura positiva, neutralizzando in tal modo la carica del condensatore e l’energia in esso immagazzinata. Dà inoltre la possibilità di arrotolare a forma di cilindro coppie di armature flessibili in foglio di alluminio, permettendo di ottenere così condensatori di dimensioni più contenute. Infine, accresce la quantità di energia immagazzinabile nel condensatore. Quest’ultima proprietà dipende dal materiale scelto come dielettrico ed è quantificata dalla cosiddetta costante dielettrica relativa al mezzo materiale εr, che sarebbe uguale al rapporto tra la costante dielettrica del mezzo materiale ε e la costante dielettrica del vuoto εo, pari a circa 8,85 x 10-12 C2/Nm2; la costante dielettrica relativa al mezzo materiale è un numero puro(ε = εo εr).

E’ chiaro che l’inserimento di un dielettrico tra le due armature di un condensatore è uno dei modi per aumentare la capacità C del condensatore stesso, come anche lo sono il fatto di aumentare la superficie dei due condensatori oppure di diminuire la loro distanza (C = εS/d).

COLLEGAMENTO DI CONDENSATORI IN SERIE E IN PARALLELO: ( da p 185 a p 188)


L’immagine sopra riportata è un esempio di come si colleghino in serie due o più condensatori; quando i condensatori sono collegati in serie, la carica è la stessa su tutte le armature : Q = Q1 = Q2 =… Qn.
La somma delle singole cadute di tensione lungo tutti i condensatori è uguale alla tensione ai capi del generatore : V = V1 + V2 + … Vn.
Si definisce capacità equivalente in serie e si indica con Cs, la capacità di un singolo condensatore in grado di sostituire i condensatori in serie; conosciamo inoltre che esiste questa relazione : 1/ Cs = 1/C1 + 1/C2 + …1/Cn.

L’immagine sopra riportata è un esempio di come si colleghino in parallelo due o più condensatori; quando i condensatori sono collegati in parallelo, le differenze di potenziale tra le armature dei vari condensatori sono tutte uguali fra loro e uguali a quella col generatore : V = V1 = V2 = … Vn.
La carica totale è uguale alla somma delle cariche dei singoli condensatori : Q = Q1 + Q2 +… Qn.
Nel caso di condensatori collegati in parallelo, la capacità equivalente Cp, è semplicemente la somma delle singole capacità dei condensatori : Cp = C1 = C2 =… Cn.

IL CONCETTO DI CORRENTE ELETTRICA E L’INTENSITA’ DI CORRENTE ELETTRICA : ( da p 196 a p 199 )

A livello intuitivo con il termine corrente elettrica siamo soliti indicare un flusso di elettroni : essa può essere continua ( se fluisce sempre nello stesso senso, nello stesso verso e con la stessa intensità ) oppure alternata. Il verso effettivo della corrente elettrica è quello che va da punti a potenziale maggiore ( + ) a punti a potenziale minore ( - ), in quanto è questo il verso in cui si muove il flusso di elettroni; tuttavia, per convenzione, si considera il verso della corrente elettrica I opposto a quello in cui si muove il flusso degli elettroni e si dice quindi che il verso convenzionale della corrente elettrica è quello che va da punti a potenziale minore ( - ) a punti a potenziale maggiore ( + ).
Per capire però come la corrente elettrica possa fluire bisogna far riferimento al concetto di dislivello, inteso non in senso meccanico ma in senso elettrico : perché essa possa fluire, è infatti necessario che ai capi del conduttore ci sia una differenza di potenziale, un dislivello elettrico appunto.

A livello quantitativo, invece, con il termine intensità di corrente elettrica, si intende la quantità di carica che attraversa la sezione di un conduttore nell’unità di tempo e si scrive : I = ΔQ/Δt; l’unità di misura dell’intensità di corrente elettrica è l’ampere ( A ) , dove un ampere ( 1 A ) è uguale a un coulomb al secondo ( 1 C / 1 s ).

LA VELOCITA’ DI DERIVA DEGLI ELETTRONI : ( da p 200 a p 201 )

Sotto l’effetto della differenza di potenziale, il flusso effettivo degli elettroni è caratterizzato da una velocità media, chiamata di velocità di deriva, che si somma alle velocità che caratterizzano il moto casuale a cui sono soggetti di per sé gli elettroni e che è molto minore di esse.
La velocità di deriva degli elettroni in un conduttore metallico può essere calcolata in base a un semplice modello microscopico : possiamo, per esempio, considerare un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza l e di sezione costante A, percorso da corrente e possiamo cercare di trovare una relazione tra l’intensità della corrente I circolante nel filo e la velocità di deriva degli elettroni, che indichiamo con vd. Sappiamo che, all’estremità di destra del tratto di un conduttore, l’intensità della corrente è costante, e quindi I = ΔQ/Δt. In un intervallo di tempo t = l/ vd, tale estremità è attraversata da un certo numero N di elettroni, ciascuno di carica e, quindi da una carica complessiva Q = Ne.
Il numero di elettroni è calcolabile moltiplicando il numero di elettroni per unità di volume, che indichiamo con la lettera n minuscola, per il volume V del filo, dato da Al. Quindi la carica complessiva è Q = nAle. La corrente I è data dunque da : I = ΔQ/Δt = nAle / l / vd = nAe vd; da qui possiamo ricavare la velocità di deriva degli elettroni vd = I / nAe.

LA PRIMA E LA SECONDA LEGGE DI OHM E LA RESISTENZA ELETTRICA : ( da p 202 a p 205 )

La prima legge di Ohm afferma che il rapporto tra la differenza di potenziale V tra due punti di un conduttore metallico a temperatura costante e l'intensità di corrente che fluisce in esso è costante. R = V/I V = RI (R = resistenza elettrica). I conduttori che seguono questa legge sono detti ohmici. La resistenza è una grandezza fisica nuova che si misura in Ohm ( Ω ) dove un Ohm ( 1 Ω ) è uguale a un Volt su un Ampere ( 1 V / 1 A ) .

La seconda legge di Ohm afferma invece che a parità di ogni altra condizione, la resistenza R di un conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e inversamente proporzionale alla sua sezione. Si ha quindi che R = ρl / S ovvero che ρ = RS / l, dove ρ è la resistività o resistenza specifica e ha come unità di misura l’ ohm per metro (Ω x m ). Questo ci dice che la resistenza di un materiale dipende anche dalle caratteristiche proprie del materiale, in quanto ρ varia da materiale a materiale ( ossia dal tipo di atomi che lo costituiscono) : ρ ci esprime infatti la natura chimica della seconda legge, l ed S invece quella geometrica. Un’altra grandezza a cui si fa riferimento a volte è la conducibilità elettrica del materiale , che si indica con la lettera σ e che varia anche essa da materiale a materiale e che è l’inverso della resistività e che ha quindi come unità di misura uno su un ohm per metro (Ω x m )-1 : σ = 1 / ρ.

DIPENDENZA DELLA RESISTENZA E DELLA RESISTIVITA’ DALLA TEMPERATURA : ( da p 206 a p 207 )

Sia la resistenza R sia la resistività ρ non sono indipendenti dalla temperatura : sappiamo infatti che la resistenza e la resistività a una temperatura T, in seguito a una variazione di temperatura ΔT = T – To, sono date rispettivamente da : R = Ro ( 1 + αΔT ) e ρ = ρo ( 1 + αΔT ).
La costante α che compare in queste due equazioni è detta coefficiente di temperatura della resistività ed il suo valore si determina sperimentalmente , mentre ρo e Ro sono i valori di riferimento della resistività e della resistenza a To ( in genere, a 20 gradi centigradi o a 0 gradi ).
L’equazione ρ = ρo ( 1 + αΔT ), che mostra la dipendenza della resistività dalla temperatura, ricorda l’equazione della legge di dilatazione termica l = lo ( 1 + αΔT ).

LA POTENZA ELETTRICA E L’EFFETTO JOULE : ( da p 211 a p 213 )

In generale per potenza si intende la quantità di lavoro compiuto nell’unità di tempo e si scrive : P = ΔL/ Δt; essa è una grandezza fisica che si misura in Watt ( W ), dove un Watt ( 1 W ) è uguale a un joule al secondo ( 1 J / 1 s ). Facendo riferimento in particolare alla potenza elettrica possiamo scrivere così P = ΔL/ Δt = qΔV / Δt = IΔV = V2/ R = I2R.
Parlando di questo argomento è utile introdurre anche il concetto di effetto Joule : noi sappiamo che tutte le volte che abbiamo una resistenza e che facciamo passare della corrente attraverso di essa c’è un cambiamento di temperatura e che in particolare all’aumentare della corrente aumenta la temperatura e viceversa : questo aumento della temperatura è chiamato appunto con il nome di effetto Joule.

COLLEGAMENTO DI RESISTENZE IN SERIE, IN PARALLELO E MISTO : ( da p 214 a p 222 )




L’immagine sopra riportata è un esempio di come si colleghino in serie due o più resistenze ; quando le resistenze sono collegate in serie l’intensità di corrente elettrica I è la stessa in tutto il circuito : I = I1 = I2 = … I n.
La somma delle singole cadute di tensione lungo tutte le resistenze è uguale alla tensione ai capi del generatore : V = V1 + V2 + … Vn.
Si definisce resistenza equivalente in serie di due o più resistori e si indica con Rs , la resistenza di un resistore capace di sostituire i resistori in serie; nel caso di resistenze collegate in parallelo la resistenza equivalente è semplicemente la somma delle singole resistenze dei singoli resistori : Rs = R1 + R2 +… Rn.



L’immagine sopra riportata è un esempio di come si colleghino in parallelo due o più resistenze : quando le resistenze sono collegate in parallelo la differenza di potenziale V è la stessa in tutto il circuito : V = V1 = V2 = … Vn; la somma delle singole intensità di corrente lungo tutte le resistenze è uguale all’intensità di corrente ai capi del generatore : I = I1 + I2 + … I n. Si definisce resistenza equivalente in parallelo di due o più resistori e si indica con Rp , la resistenza di un resistore capace di sostituire i resistori in parallelo.
Sappiamo inoltre che esiste questa relazione : 1/ Rp = 1 / R1 + 1 / R2 + … Rn da cui possiamo ricavare la resistenza equivalente del circuito.

Si parla infine di collegamento misto di resistenze quando alcune resistenze sono collegate in serie e altre in parallelo.

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