mercoledì 4 aprile 2012

LEOPARDI (ITALIANO)

LEOPARDI

VITA E OPERE

Nasce nel 1798 a Recanati, ha una formazione ecclesiastica dalla quale prenderò poi le distanze. Studia come un disperato. Si sente oppresso nell'ambiente recanatese dove la famiglia incombe sempre su di lui, ristretta culturalmente e carente d'affetto. Cerca di fuggire ma viene scoperto. Compone i due primi idilli. Solo nel '22, quando avverrà la "conversione filosofica" che lo porta verso il materialismo, assai lontano dall'ideologia cristiana, andrà a Roma dove però rimarrà deluso dall'ambiente. Torna a Recanai e dirà addio alla poesia per un periodo, dedicandosi alle operette morali. Viaggia poi da Bologna a Milano, Firenze e Pisa, dove un momento sereno lo farà riaccostare alla poesia: scrive "A Silvia". In seguito torna a Recanati (dal 28 al 30), dove compone altri grandi canti, e di nuovo Firenze. Qui vivrà la sua grande delusione d'amore per Fanny Targioni Tozzetti per la quale scriverà le canzoni del "Ciclo di Aspasia". Si trasferisce infine a Napoli, la salute peggiora. Scrive gli ultimi due canti tra cui "La Ginestra". Muore nel 1837.


"SISTEMA FILOSOFICO"

Si basa sullo Zibaldone, una raccolta personale di pensieri e riflessioni filosofiche, tentativo di sistematizzare le proprie idee. Non è pensato per essere pubblicato.

La sua filosofia è una risposta a problemi soggettivi che vuole avere un valore universale.

Prima fase
Tratta dell'infelicità dell'uomo. Essa non dipende dalla natura, che è benigna e dà all'uomo illusioni e la speranza di poter essere felice. Essa dipende dalla civiltà umana, la quale ha dato all'uomo la Razionalità, la consapevolezza di non poter raggiungere la felicità. Questo è ilpessimismo storico (cioè dipende dall'elemento storico che è la civiltà).
L'uomo però può riscattarsi e recuperare le illusioni attraverso i valori del mondo antico, attraverso l'eroismo e l'azione (questa fase coincine con la produzione delle Odi).
Ma le delusioni politiche lo portano in crisi.

Seconda fase: (dal 1819 al 1823)
la realtà si legge attraverso i sensi (sensismo)
il comportamento si basa sull'utilità (riprende illuminismo)
l'uomo è il suo corpo, non c'è anima (materialismo e meccanicismo)
Sviluppa la teoria del piacere: l'uomo cerca continuamente la felicità ma non riesce ad ottenerla: il desiderio è illimitato.
La natura ci ha dato le illusioni per proteggerci ma noi le abbiamo perse per colpa della sete di conoscenza, la quale non è altro che una nostra caratteristica dettata dalla natura. Essa è quindi malvagia e la causa della nostra infelicità: ci ha fatti ricercatori del piacere ma incapaci di soddisfarli e consapevoli del nostro limite. Questo è quindi il pessimismo cosmico (cioè dipende dalle condizioni esistenziali dell'uomo).
La civiltà è rivalutata: ha sì distrutto le illusioni ma ci ha anche dato la dignità, la capacità di ragionare (esaltazione della ragione, tipica dell'illuminismo), e la consapevolezza che siamo infelici per colpa della natura.
Ma ha comunque portato svantaggi: l'uomo è diventato più egoista, superficiale, individualista.

Fase di saggezza distaccata ('23-'27)
Si dedica alle Operette morali sospendendo la produzion poetica. Studia il mondo degli antichi greci.

Ultima fase
Formula una nuova morale nella quale crede che aiuto e solidarietà reciproca possano alleviare le sofferenze. Il suicidio è ora visto negativamente.
L'intellettuale ha un dovere sociale che è quello di rendere evidente il vero, riconoscere il male che c'è nell'uomo ma cercare di superarlo attraverso la fraternità. La società deve combattere la natura. C'è quindi una sorta di titanismo (rimane comunque la concezione pessimistica dell'uomo: siamo malvagi e non possiamo raggiungere il piacere)


OPERETTE MORALI (sopratt. Dal '23 al '28)

Sono 25 prose filosofiche, (nell'edizione finale Leopardi ne escluderà una) dunque trattano del suo "sistema": vuole comunicare il vero.
Le tematiche sono varie: parla della necessità del dolore, vuole smascherare il mondo borgheese confutando dialetticamente le sue idee, e si chiede cosa può fare l'uomo. La risposta, che non è però una vera soluzione, è quella di coltivare le virtù.
Prevale la forma dialogata (come in Platone e Luciano), la forma argomentativa per eccellenza.
PUBBLICO: è la borghesia del Manzoni, ma non si riconosce nei valori che questa porta avnati: l'uomo non è al centro dell'universo, la natura non si cura di noi.
È un materialista, perciò avverso allo spiritualismo cristiano, contro i miti religiosi (che portano avanti l'antropocentrismo), non crede nel progresso.
STILE: è per lo più classico pur nella semplicità sintattica.

.DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE
Scritto nel 1824 esprime il pessimismo cosmico di Leopardi.

Un islandese, vagando per il mondo, arrivò in Africa, dove incontrò la Natura personificata (a forma di donna) la quale appare enorme, domina il piccolo uomo. Iinizia il loro dialogo.
L'islandese spiega che ha cercato di fuggire gli uomini, stolti e violenti gli uni con gli altri, che "tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano"(teoria del piacere a 32). Condanna il vivere sociale (40): nella civiltà è impossibile offendere e essere offeso.
Ma anche in solitudine ha sofferto i "patimenti" che voleva evitare: la natura ostile lo ha fatto soffrire ovunque andasse. Ha trovato tempeste, piogge, terremoti, bestie volte a divorarlo... Quindi non è colpa dell'uomo se non trova la felicità, ma è della natura che manda "ingiurie" a noi che siamo innocenti e oltre a farci mortali ci spinge a ricercare dei piaceri che mai soddisferemo, anzi, ci portano a soffrire: la nostra vita è imperfetta. Cadono le illusioni dell'islandese: la natura è a noi avversa, ogni giorno porta sofferenze, anche a lui che ha cesrcato di astenersi da ogni diletto (cfr Lucia di Manzoni). Essa ci perseguita, ci lacera (enumerazione in climax (120) ci dà senso di angoscia).
La Natura allora risponde con ironia: "immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?" (133) A lei non importa delle conseguenze che il suo vivere porta alla società umana: non si accorgerebbe nemmeno qualora dovesse portare all'estinzione della razza umana. Il mondo non è in funzione dell'uomo.
Ribatte l'islandese: "so bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli". Poi chiede perchè ha creato l'uomo se lo ha creato al solo scopo di farlo soffrire, paragonandola a una cattiva padrona di casa che invita l'ospite e poi non lo tratta bene. Si illude ancora con la sua teoria antropocentrica: pensa che la natura abbia voluto porre l'uomo; teoria che viene smontata dalla risposta della Natura: l'universo è un continuo creare e distruggere e l'uomo è solo parte di questo meccanismo. La natura agisce per preservare se stessa, ecco perchè non le importa se distrugge o preserva la razza umana.
Allora l'islandese chiede "a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tute le cose che lo compongono?"
La domanda rimane senza risposta: due leoni d'improvviso lo sbranano, o secondo altri, giunse un forte vento che seppellì l'uomo con la sabbia.


.DIALOGO DI TRISTANO
E' l'ultima operetta (1832) e parla dell'edizione precedente delle operette (del '27), che erano state assai criticate per il pessimismo e altro.
La chiave di lettura è l'altifrasi: il protagonista, Tristano, portavoce di Leopardi, sembra inizialmente accettare la cultura positivista: attraverso una apparente ritrattazione (o palinodia) delle idee espresse in precedenza contro questa cultura. Si capisce però che non sta facendo altro che confutarla con ironia.
Il dialogo è con un amico positivista che cerca di convincere Tristano della ragionevolezza delle sue teorie.

Si parte proprio dalla "accusa" dell'amico: "ho letto il vostro libro (...) si vede che questa vita vi pare una gran brutta cosa".
Tristano risponde di aver cambiato idea, nonostante prima fosse certo che la vita non fosse altro che sofferenza e dunque che la critica gli fosse fatta non per la veridicità della teoria bensì sul vantaggio o danno che tali opinioni portassero.
Dunque ora Tristano si è convinto che la vita non è infelice, mentre prima la pensava diversamente: gli uomini negano la verità per cercare la felicità: rifiutandola infatti si illudono che la vita sia "bella e pregevole e si adirano contro chi pensa altrimenti", specialmente non crederanno mai di non saper nulla, di non essere nulla e di non poter sperare in nulla dopo la morte (materialismo). Però la filosofia più dolorosa è comunque la vera filosofia. (titanismo e dignità del vero): gli uomini sono come mariti che credono le mogli fedeli.
Dopo aver esposto quello che pensava prima di cambiare idea (che è ciò che crede vero l'autore) torna a ritrattare qunto detto: si è convinto che "la felicità della vita è una delle grandi scoperte del secolo decimo nono".
Segue un rapido botta e risposta che imita ironicamente la formula cristiana del credo (68-76).
Tristano afferma di credere nel progresso che ha quindi reso possibile lo sviluppo dell'intelletto ma al contempo ci ha reso più deboli nel corpo; (e questa è una critica di Leopardi). Tristano, a ogni modo, afferma di aver fiducia nel futuro.
L'amico chiede se crede che il sapere stia aumentando. Dopo una risposta affermativa il protagonista precisa che in realtà vede che c'è una cultura di massa: il sapere è più distribuito in termini numerici ma il livello è più basso e "dove tutti sanno poco si sa poco". (Solo in Germania il sapere non è stato frantumato nei saperi individuali). È dunque una critica non un elogio del secolo.
Nonostante questo Tristano afferma di credere che il sapere cresca di continuo. Quindi in fondo non ritiene che il secolo decimo nono sia superiore e a causa dell'indebolimento del corpo e per la riduzione della cultura.
L'amico chiede cosa ne farà dunque del libro che è così contrario alle opinioni positiviste.
Tristano non si preoccupa del giudizio dei posteri: tanto la cultura non progredisce e inoltre l'individuo è vinto dalla massa. In più ormai, al contrario di come hanno fatto i grandi maestri del passato, si pretende di scrivere con poca fatica e il basso costo del libro è proporzionale a quanto vale in termini di contenuti; dunque i libri di questo secolo non sopravviveranno a lungo (critica alla letteratura di quel tempo).
Critica nuovamente le masse anonime, le masse di inetti che non riconoscono l'eccezionalità dei pochi grandi, credendosi tutti "illustri" (168-172). "Ma viva sempre il secolo decimo nono!"
L'amico ha finalmente capito l'ironia di Tristano e tenta una difesa: simo in un secolo di transizione.
Tristano ribatte affermando che tutto è sempre in evoluzione, dunque non è una scusa valida. Ma bisogna lasciare che i cambiamenti avvengano senza forzature e non affrettare i tempi.
Per concludere afferma di credere felice sia l'amico che tutti gli altri uomini, ma sa anche di non essere affatto felice, nulla può persuaderlo del contrario. La morte dunque è l'unico desiderio di Tristano, la sola cosa che può liberarlo dalle sofferenze e si sente addirittura vicino alla morte, (217) e ne è sollevato. Se un tempo invidiava gli scocchi, ignari della verità e dunque felici, ora non invidia che i morti. (232) Neanche la gloria e la fama valgono per lui più della morte.


POESIA

Si può dividere la sua produzione poetica in tre parti: compone:

1) dal 18 al 22: canzoni civili e idilli (e le canzoni del suicidio)

Dopo aver trattato brevemente di alcuni temi scabrosi e quotidiani, subito abbandonati, si passa alle canzoni civili: si tratta di poesia impegnata, patriottica. Il poeta vuole esortare gli italiani alla ribellione, spronarli alle virtù che tanto erano tenute in considerazione dali antichi.
Contemporaneamente si segue un secondo filone, quello degli idilli: qui si riscontra una poesia più lirica, sentimentale: si ha un carattere soggettivo, l'io guarda dentro di sè. C'è una riflessione filosofica sull'eistenza. L'immaginazione è importante.
Lo stile è caratterizzato da un lessico meno classico di quello delle canzoni: è più comune e ricerca il "vago". Per quanto riguarda la metrica Leopardi predilige la canzone e l'endecasillabo sciolto, ricorrendo spesso all'ennjambement
Seguono alla delusioni dei moti del 21, le canzoni del suicidio: rappresentano la disillusione.

2) dal 28 al 30: canti pisano-recanatesi

si parla di poesia-pensiero: vengono coniugati la ricerca interiore lirica e le risposte filosofiche. La poesia diventa soggettiva e oggettiva.
I sentimenti tornano a manifestarsi con slancio, ma ora c'è la consapevolezza dell'avversione della natura, dell'impossibilità di raggiungere il piacere.

3) dal 31 al 37: ciclo di Aspasia, (poi le canzoni sepolcrali), infine componimenti impegnati come "La ginestra"

Sul piane tematico abbiamo l'amore, la riflessione filosofica pessimistica anti-idealistica e critica nei confronti del progresso, una proposta di soliderietà, vista come momento di sollievo alle sofferenze.
Più che all'immaginazione e al senso di vaghezza, ora si dà spazio alla concretezza del presente.
Il ciclo di Aspasia nasce in seguito alla grande delusione amorosa.
Aspasia era una prostituta amata da Pericle, ed è il nome con cui chiama Fanny.
Amore e morte sono i due tempi principali, visti come due forze consolatrici alla sofferenza. Ma quando anche l'amore è deluso cade l'ultima illusione. Dunque Leopardi riconosce il valore che ha l'amore, in quanto esso è un'illusione che rende più sopportabile la vita; allo stesso tempo però, c'è anche la consapevolezza che si tratta di una illusione.

L'INFINITO

Composta a Recanatinel 1819 fa parte degli idilli.

Tema: contrasto traesperienza sensoriale che limita il poeta e la conseguente spinta all' immaginazione (infinita)
La soggettività del poeta emerge chiaramente: abbiamo una sua "esperienza interiore".

I primi tre versi indicano l'esperienza reale servendosi di immagini concrete(colle, siepe...) mentre dal quarto verso (introdotto con un "ma" importante) siamo al di là della siepe, che prima era un limite: oltre essa non riesce ad andare la vista.
Ma adesso ci troviamo nell'ambito dell'immaginazione.Qui gli spazi sono infiniti. Abbiamo cambiato punto di vista, prima eravamo al di qua della siepe, come suggeriscono gliaggettivi dimostrativi "questo" ecc.
Al verso 8 siamo tornati alla realtà ("l'infinito è infatti "quello", cioè lontano). Alle concrettezze della natura (suoni e immagini) il poeta compara l'astrattezza del suo pensiero.
Ora (v. 11) anche iltempo è diventato etrno.
A metà del 13 verso il poeta torna nell'immaginazione, "tra questa immensità", e vi si abbandona completamente: il suo pensiero si annulla nella vastità della vita, che è vento (v. 15)

Importante è che il colle è solitario: la solitudine aiuta la riflessione e ci avvicina all'infinito, infatti il paragone serve per definire, delimitare. Senza confronto è tutto indefinito

La figura metrica chiave è l'enjambement: il discorso (e la sintassi) non vuole essere limitato dal ritmo metrico dell'endecasillabo, bensì lo supera, va oltre (un po' come fa l'immaginazione). Siamo proiettati verso l'infinito.


A SILVIA

Composta a Pisa nel 1828 fa parte dei canti pisano-recanatesi, in seguito alla morte di Teresa Fattorini per tisi.

Tema: il messaggio filosofico della disillusione e infelicità umana: la natura inganna l'uomo, promette in giovinezza ma poi tradisce le speranze (pessimismo cosmico).

Tutta la poesia gioca sulparallelismo autore/Silvia.
La prima strofa è dedicata alla Silvia di allora, lieta ma comunque pensosa, che fatica a diventar donna.
Nella seconda si parla della sua abitudine di cantare mentre lavorava. Intanto pensava, sperando in un "vago avvenir", cioè ignoto. Siamo in primavera, e anche nella giovinezza di Silvia.
Nella terza entra in gioco l'io, cioè il poeta: egli, da giovane, studiava faticosamenteascoltandola, così come lei lavorava faticosamente la tela.
La focalizzazione nel passato visto da allora passa ora al passato visto da oggi:
Al v. 28 il poeta si strugge per quelle speranze (di entrambi) che sono state distrutte. Segue un'apostrofe accusatoria alla natura.
La spiegazione delladisillusione di lei ci è data nella strofa successiva: Silvia è morta anzitempo.
Per quanto riguarda il poeta, ci dice come sia morta anche la sua speranza nell'ultia strofa ("anche peria...la speranza mia dolce")
Siamo nel presentedal v.56: si ragiona sulla condizione presente in contrasto con quello che si sperava allora, e si estende al genere umano la condizione di infelicità.
Conclude la poesia la parola "lontano": è chiaro dunque il contrasto con quel mondo lontano di illusioni e speranze che ormai è finito, esiste solo nel ricordo e il presente, reale, ma aspro e ostile.

Viene impiegate lacanzone libera (per la prima volta): la disposiz. Dei versi è appunto libera, in funzione dei messaggi da veicolare.

La sintassi è dilatata nelle prime tre strofe, così come i verbi sono all'imperfetto: questo dà un senso di dilatazione del tempo, tempo lieto e imperturbato. Le ultrime tre strofe contengono frasi più brevi, una sintassi più spezzata, quasi a sottolineare il dolore; compaiono il tempo presente e passato remoto, per dare concretezza a ciò di cui sta parlando.


A SE STESSO

Scritta nel 1833 dopo la dolorosa disillusione dell'esperienza amorosa con Fanny Targioni Tozzetti, fa parte del Ciclo di Aspasia.

Tema: fine dell'innamoramento e della speranza, l'insensatezza della vita umana e l'impotenza.

Ricorre più volte l'idea di morte, che sembra essere l'unicaconsolazione al dolore: il cuore ora poserà "per sempre" (e viene ripetuto il sempre), l'illusione "perì" (anche questa parola è ripetuta), "il desiderio è spento"...
Quel cuore però aveva palpitato forte: l'illusione di felicità che gli aveva datol'amore era forte. Ma ora non c'è più motivo di palpitare: il poeta sa che l'uomo non può essere felice.
Questo mondo non è degno del nostro palpitare nè del nostro soffrire, (richiamo alla teoria del piacere); il poeta lo disprezza: non è altro che "amaro", "noia", "fango". La vita è "nulla".
La natura è ostile a tutti (universalità del tema), ci ha donato solo la possibilità di morire. (materialismo)
Tutto è vano, nulla ha senso: non possiamo nulla contro l'invincibile ("brutto") potere della natura.

Non c'è sfondo a questa poesia: niente immaginazione: ormai è morta anche quella.

La sintassi è spezzata, frammentaria: sembra il singhiozzo di Leopardi, esprime il suo dolore.
Lo stesso fa il suono -ai ripetuto diverse volte nelle diverse parole (es. "poserai")

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