lunedì 2 aprile 2012

D'ANNUNZIO (ITALIANO)

GABRIELE D’ANNUNZIO


Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Compiuti gli studi liceali a Prato, si trasferisce nel 1881 a Roma, dove diventa presto noto come giornalista letterario e cronista mondano. Dal 1891al 1893 vive a Napoli: in questo periodo è suggestionato da Nietzsche e Wagner. Poi si trasferisce a Settignano e nel 1910, a causa dei debiti contratti, va in esilio volontario in Francia dove rimane fino al 1915. Scoppiata la guerra, torna in Italia schierandosi tra gli interventisti e partecipando a molte imprese belliche. Terminata la guerra compie nel 1919-20 l’impresa di Fiume. Costretto nel 1921 ad abbandonare fiume, si ritira a Gardone Riviera, nella quale vive fino alla morte, avvenuta il primo marzo del 1938.

Oltre che scrittore, d’Annunzio fu anche un grande ideologo e politico, sostenitore dell’ideologia nazionalistica. Il nazionalismo d’annunziano ha alcuni punti in comune con quello di Pascoli, anche se assume un’inclinazione più individualistica e pomposamente eroica, con aperte concessioni al razzismo. Gli interventi dannunziani esprimono una retorica esibizionistica, fatta più per colpire che per indurre a riflettere, mirante a sedurre e non a convincere, una retorica che inaugura quella fascista, e soprattutto quella mussoliniana. L’ideologia di d’Annunzio è definibile come postpolitica: scavalca le differenze ideologiche, le inconciliabilità tra i gruppi e i partiti, perseguendo una logica che non risponde tanto a criteri oggettivi, ma piuttosto al bisogno oggettivo di ricavare il massimo utile dai meccanismi culturali della civiltà di massa.
Per un altro verso invece, la posizione dannunziana è prepolitica: vi è cioè una riduzione dell’io a puro istinto, a sensazione naturale. L’affermazione del soggetto coincide con la sua fusione panica nell’elemento naturale. L’identificazione con il superuomo avviene al di fuori del conflitti storici e anzi al di fuori e al di là della storia.
Il protagonismo esibizionistico nasconde una sostanziale passività nei confronti del presente, delle strutture sociali e culturali, dei meccanismi di potere. D’Annunzio disprezza le masse, la democrazia e le classi lavoratrici ed esalta la poesia, riproponendo un’idea di essa come pienezza di canto e come esperienza superiore e privilegiata.
L’arte è concepita da d’Annunzio come Bellezza: la Bellezza per lui è al di sopra di tutto, è una valore assoluto.
D’Annunzio concepisce la vita come opera d’arte e considera l’analogia, come la tecnica privilegiata della rappresentazione e come il criterio organizzativo della conoscenza: ogni cosa rimanda ad un’altra, anzi ogni cosa è un’altra. L’analogismo, la metafora, la sinestesia dono i modi per ristabilire il contatto tra uomo e natura, per scavalcare i limiti della civilizzazione senza fare però i conti con essi. L’arte è insomma anche un modo privilegiato per superare il divario tra civiltà e natura, tra cultura ed istinto.

Dopo un periodo di silenzio poetico, nel 1899 d’Annunzio torna a scrivere versi, per dare corpo al vasto progetto delle Laudi. Secondo il progetto dell’autore, le Laudi del cielo, della terra, del mare e degli eroi si sarebbero dovute articolare in sette parti, corrispondenti a sette libri diversi chiamati con il nome delle stelle più luminose delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taipete, Celeno. In realtà le ultime due tappe non verranno neppure tentate dal poeta, mentre la quinta è realizzata in modo soltanto parziale. Delle tre parti compiute, tre escono nel 1903 e una nel 1912. Il tema unificante del ciclo è quello de viaggio, avente come centro la Grecia del mito. L’ispirazione è ricavata dal viaggio-pellegrinaggio dell’autore nell’Ellade.
L’importanza delle Laudi nell’opera di d’Annunzio dipende, oltre che dal valore artistico soprattutto di Alcyone, dalla prodigiosa sperimentazione metrica in esse condotta.
Maia fu composta nel 1903; si tratta di un poema di 8.400 versi. Il poema si apre con la celebrazione dell’eroe greco dei poemi omerici, Ulisse, corrispettivo mitico del superuomo e con l’annuncio della resurrezione del dio pagano Pan. Nel corso del poema, vengono descritti tre viaggi: uno nella Grecia antica, luogo panico per eccellenza, uno nella michelangiolesca Cappella Sistina e uno nel deserto, dove il poeta ritrova se stesso,solo con gli elementi naturali. L’oscillazione tra i luoghi del mito classico e una natura astratta e favolosa non esclude la presenza di riferimenti al presente delle moderne società di massa, manifestazione antieroica per eccellenza, sulla quale il poeta-eroe deve sapersi innalzare; ancora una volta disprezzo aristocratico per la massa e adesione ai valori sociali ed economici della borghesia imprenditoriale si uniscono in d’Annunzio.
Elettra, secondo libro delle Laudi, raccoglie diciotto componimenti, più una vasta sezione dedicata alle Città del silenzio. Nella prima parte si succedono lunghi testi celebrativi, dedicati all’impresa dei Mille e a figure illustri di eroi. Le città del silenzio ripercorre il passato delle città italiane celebrandone la gloria e annunciando la futura rinascita delle virtù nazionali.
Il libro che costituisce la terza tappa delle Laudi, Alcyone, è considerato da molti il capolavori di d’Annunzio. Comprende 88 liriche scritte tra il 1899 e il 1903, ordinate secondo un criterio logico. Dopo la fase eroica e civile dei primi due libri, Alcyone vuole essere una tregua. Non si tratta però di una tregua dal superuomo, ma di una tregua del superuomo. L’atteggiamento volto al dominio e al possesso, tipico de superuomo, resta inalterato, ma viene ora trasferito dalla società alla natura ed è dunque tutto giocato sul tema del panismo.
Il libro, suddiviso in cinque sezioni scandite da quattro ditirambi è costruito secondo una struttura ben calibrata, ricca di simmetrie e di richiami interni. L’ordine compositivo vuole suggerire l’arco di una stagione estiva, dai presentimenti alla conclusione.
In Alcyone l’adesione panica alla natura diventa immedesimazione sensuale nel mondo vegetale e animale. L’io sparisce, il soggetto si dissolve nella natura, smarrendo la propria storicità per divenire mito o paesaggio o l’una e l’altra cosa insieme.

Alla vasta e importante produzione in versi corrisponde in d’Annunzio, una produzione non meno vasta in prosa, comprendente romanzi, racconti e prose d’arte, cioè impressioni frammentarie.
Il piacere è il primo romanzo di d’Annunzio. Con esso penetra per la prima volta in Italia la nuova cultura decadente. Protagonista assoluto del romanzo è Andrea Sperelli, alterego dell’autore ed eroe dell’estetismo. Per Andrea l’arte è il valore assoluto: la vita stessa viene concepita come arte e l’arte dunque diviene uno stile di vita. Per quanto riguarda la vicenda, Andrea fa di Roma ilteatro della propria affermazione sociale e della propria ricerca di raffinatezza. Andrea vive nel palazzo Zuccari e passa da un’avventura galante ad un’altra, immerso nella vita frivola della mondanità. La capacità di gestire questo copione con perfetto equilibrio e superiore distacco è però incrinata dal rimpianto per Elena Muti, un’amante la cui bellezza e la cui forte personalità hanno eccezionalmente turbato Andrea. Interrotta la relazione con lei per un’improvvisa fuga della donna da Roma, Andrea tenta invano di ristabilire i contatti in occasione del ritorno della donna sposata a un ricco e perverso marchese. Andrea diventato consapevole della propria aridità esistenziale,, cerca scampo nella consueta vita frenetica e dissoluta, finchè resta ferito in un duello provocato dalla reazione gelosa di un marito offeso dalla sua intraprendenza, Si apre quindi una parentesi di convalescenza nella villa di campagna. Qui il protagonista recupera una serenità interiore ma la pace è presto turbata dall’arrivo di un’amica della cugina, Maria Ferres, caratterizzata da una femminilità ben diversa da quella di Elena: delicata, sensibile, spirituale. Andrea stabilisce con Maria un’intimità affettuosa, che diviene vero e proprio rapporto d’amore, dopo il ritorno dei due a Roma. Qui l’attrazione per Elena, che ogni tanto continua a rivedere, si mescola all’orrore per la vita torbida di lei, e alla gelosia per una nuova relazione della donna. L’ambivalenza verso le due donne e verso le due situazioni lo spinge infine a pronunciare il nome di Elena mentre è abbracciato a Maria, così che la donna lo lascia. La conclusione del romanzo registra il fallimenti del protagonista e del suo progetto di esteta.
La struttura del romanzo risente della tradizione del Naturalismo, rispetto alla quale però l’autore opera significative trasformazioni. Viene lasciato molto più spazio alla libera manifestazione della soggettività di Andrea, cui si adattano anche i ritmi narrativi e l’intreccio. Al ritmo incalzante della parte conclusiva si contrappone quello dilatato della parentesi nella villa Schifanoja. Nel Piacere si mescolano e si intrecciano la tradizione naturalistica del romanzo d’ambiente e la nuova tendenza decadente della narrativa lirico-evocativa. Lontano dal Naturalismo è anche lo stile, che registra in presa diretta il punto di vista del protagonista o di altri personaggi. Domina dunque la paratassi.

L’altro romanzo importante di d’Annunzio, insieme al Piacere, è il Trionfo della morte. Il protagonista, fratello di Andrea Sperelli e nuovo alter ego dell’autore, vive spesso tra abulia e velleitari tentativi di autoaffermazione. Il romanzo è formato da ventiquattro capitoli divisi in sei parti. Giorgio Aurispa, discendente da antica famiglia abruzzese, è da due anni l’amante di Ippolita Sanzio. La vicenda si apre con il racconto di una passeggiata dei due al Pincio, a Roma, funestata dal suicidio di un passante che si getta nel vuoto. Il ritiro dei due amanti in un albergo è turbato dalla lettura delle innumerevoli lettere scritte da Giorgio a Ippolita in quei due anni: abbondano infatti le testimonianze di una folle gelosia e di una passionalità torbida e inquieta. Durante una breve separazione dei due amanti, Giorgio si reca nella nativa Guardiagrele, in Abruzzo, e qui riprende i contatti con la famiglia. Si apre uno spaccato di tenerezza verso la madre e le sorelle: il padre tradisce la moglie e sperpera le sostanze delle amanti; uno zio, di cui Giorgio è stato l’erede,si è ucciso. Questa figura ossessiona la psicologia sensibile di Giorgio. L’idea della morte lo perseguita, finchè decide di lasciare che la tara famigliare faccia il suo inesorabile corso, e si getta da una scogliera tenendo stretta tra le braccia la riluttante ma impotente Ippolita.
Anche in questo romanzo non manca l’influenza del modello naturalistico.

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