lunedì 7 novembre 2011

EURIPIDE (GRECO)


LA VITA

Euripide nacque intorno al 483 a.C. ad Atene da padre possidente terriero e madre nobile. La tradizione lo voleva nato nel giorno della battaglia di Salamina (480 a.C.). Sul finire della vita si allontanò da Atene per trasferirsi in Macedonia alla corte di Archelao, dove morì.

IL TEATRO EURIPIDEO

Euripide fu l’ultimo dei tre grandi tragediografi greci, dopo Eschilo e Sofocle, e dunque sviluppò un nuovo tipo di teatro. Nel teatro euripideo infatti vi è la costante presenza dell’agone verbale: il protagonista ed un suo interlocutore affrontano un problema da punti di vista opposti e non conciliabili, gareggiando per prevalere dialetticamente l’uno sull’altro con la forza delle argomentazioni. E’ comunque difficile giudicare chi ha ragione e chi no: l’importante è creare il dibattito. Tuttavia la vera novità del teatro euripideo è nello spirito che lo anima: le sue trame sono ancora quelle del mito, i personaggi delle tragedie sono ancora gli eroi della guerra di Troia o di altre saghe, ma di costoro vestono solo il costume di scena, perché nel loro intimo, nel loro modo di pensare e di agire, si rivelano uomini e donne del tempo in cui vive il poeta. Grazie anche alle innovazioni da lui apportate, il rapporto di Euripide con il pubblico non fu dei migliori: i giudizi su di lui erano o di estremo apprezzamento o di ferma riprovazione (come nel caso del commediografo Aristofane).

La Morte della Tragedia

Le premesse e le implicazioni, sia religiose sia morali, da cui i miti derivavano, calate ora nella realtà quotidiana subiscono inevitabilmente una revisione. Dunque nasce una tragedia in cui il dato mitico di partenza viene messo in discussione.

Andromaca

Andromaca, vedova di Ettore, è ora schiava di Neottolemo, al quale ha dato un figlio. Questi ha poi sposato la spartana Ermione, figlia di Menelao e di Elena, la quale accusa Andromaca della propria sterilità. Spalleggiata dal padre Menelao, la donna decide di uccidere la schiava insieme al bambino. Andromaca, intuito il pericolo, mette in salvo il piccolo, ma Menelao riesce comunque a catturare il bambino e ne minaccia la morte ad Andromaca se rifiuterà di consegnarsi. A questo punto sopraggiunge il vecchio ma ancora energico Peleo, il quale libera e porta via con se i due prigionieri. Ermione vorrebbe ora uccidersi per paura del marito, ma ne è distolta dall’arrivo di Oreste, il quale le rivela che ha fatto tendere un agguato a Neottolemo, per cui fin d’ora lei può considerarsi vedova e quindi libera di contrarre nuove nozze con lo stesso Oreste. Com’è evidente, il titolo della tragedia si accorda bene solo alla prima parte del dramma, poiché nella seconda prevale la presenza di Ermione e di Peleo. Il tema di fondo di questa tragedia è la guerra, la quale presenta sempre un doppio volto:da una parte la gioia dei vincitori, dall’altra la disperazione dei vinti che, dopo essere stati sconfitti, divenivano schiavi.

Ecuba

Ecuba, ora vedova e schiava, deve subire, impotente, il sacrificio della figlia Polissena, immolata dagli Achei vincitori sul tumulo di Achille. Ancora in lacrime per Polissena, Ecuba apprende che anche il suo giovane figlio Polidoro è stato ucciso: l’assassino è Polimestore, re di Tracia e suo ospite, bramoso di impadronirsi dell’oro che lei ed il marito Priamo avevano affidato al ragazzo quando si erano illusi di metterlo in salvo presso di lui. Ora Polimestore è al campo acheo, alleato di Agamennone. A quest’ultimo, in quanto schiava, Ecuba chiede (ed ottiene) il permesso di vendicarsi. Anche in questa tragedia il tema principale è la guerra. In questo caso però la protagonista non è caratterizzata soltanto dalla disperazione, ma anche da una furia vendicatrice, che esplode qui in un personaggio poco appariscente (l’Iliade quasi la ignora) quale la vedova di Priamo.


 

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