domenica 20 novembre 2011

ORAZIO (LATINO)


ORAZIO
LA VITA: (pag. 180-182)
Quinto Orazio Flacco nasce nel 65 a.c. a Venosa (Puglia). Figlio di un liberto, il padre, proprietario di un piccolo podere, lo portò con se a Roma, per effettuare studi approfonditi di letteratura greca (poeti arcaici) e filosofia ed ebbe contatti con i circoli epicurei. A 20 anni si recò in Grecia
Per perfezionare gli studi. Nel 42 a.c. partecipò alla battaglia di Filippi come “tribunus militum”
Sostenitore della libertà repubblicana. Riportata la sconfitta della sua fazione durante la sua battaglia, Orazio, tornato a Roma, trovò il padre morto e il suo podere confiscato. Essendo in una situazione economica disagiata si impiegò come “scriba quaestorius” ed iniziò a scrivere i suoi componimenti. Venne presentato a Mecenate da Virgilio nel 38 a.c.. nel 37 egli lo accolse nel suo circolo. Si avvicinò, infatti, ad Ottaviano ma rifiutò il ruolo di segretario non solo per continuare a scrivere i suoi componimenti, ma anche perché dopo la battaglia di Filippi non volle avere più niente a che fare con la politica. Nel 33 a.c. l’amico Mecenate li donò un podere nella Sabina dopo la pubblicazione del primo libro delle Satire. A contatto con la natura agreste iniziò la vera e propria produzione di Orazio, che andò avanti fino ai suoi ultimi anni di vita.
Morì nel 8 a.c. e fu sepolto presso la tomba di Mecenate alle pendici dell’Esquilino.
OPERE (pag. 182-183):
41 a.c.: inizia a scrivere Epodon liber e Sermones;
35 a.c.: oubblica il primo libro dei Sermones e il secondo nel 30;
23 a.c.: pubblica i primi 3 libri dei Carmina (ODI);
23-13 a.c.: scrive 2 libri di epistole e li pubblica dopo il 20 a.c.;
17-13 a.c.: compone il Carmen Saeculare, l’ars poetica, il quarto libro dei Carmina.
TESTI E CONTENUTI:
A Taliarco pag.230 (carmina I)
Strofe alcaica, fonte di ispirazione Alceo.
Versi 1-3 Giambici
Verso 4 2 sillabe dattiliche e 2 trocaici
Descrizione iniziale del paesaggio invernale predominato dal colore bianco, e che rimanda alla solitudine e alla tristezza e immobilità. Si parte da un campo visivo lungo (Soratte, piccolo monte romano innevato) fino ad arrivare a scovare i particolari più vicini (fiume, boschi). Orazio riprende il modello arcaico di poesia (la descrizione del paesaggio non è mai fine a sé stessa, il paesaggio reso vivo da certi termini e svolge una funzione evocativa) e anche il modello ellenistico come Catullo (descrizione di un paesaggio talvolta esotico ma sempre conosciuto, come anche in Virgilio). Non sappiamo chi sia Taliarco (nome parlante greco); può essere il simposiarca ( Talia= banchetto + archè= comando) oppure un giovane schiavo addetto a versare il vino durante il simposio. Il nome ci dice che c’è un banchetto greco in un contesto romano.
Dal verso 5 al verso 8 c’è un rimando al testo di Alceo: il merum= vino, con un’aggiunta della denominazione geografia Sabina (vino poco pregiato).
Contrapposizione caldo (ambiente interno) e freddo (esterno). Dal verso 9 al 12 orazio invita l’interlocutore a non preoccuparsi del futuro, ma curarsi solo del presente, poiché l’uomo ha limiti ristretti e quindi non deve pensare ad altro che a bere e scaldarsi, al resto ci pensano gli dei. Dal verso 13 inizia una digressione sulla limitatezza umana: ora il paesaggio assume una funzione evocativa. (C’è una serie di imperativi rivolti a Talirco e anche ai lettori). Si intravede la concezione edonistica epicurea, ma un po’ volgarizzata. Orazio contrappone il verde Virenti (primavera, giovinezza) al bianco Canitiaes (inverno , vecchiaia, neve). Orazio utilizza exempla che rimandano a scene della vita vissuta (ultima strofa) ed anche termini del linguaggio economico (lucro) che concretizzano l’exemplum.
Carpe Diem pag. 234-235
Metro: sistema asclepiadeo V (Sclepide, poeta lirico arcaico che si dedica a poesia d’amore)
Leuconoe è un nome parlante che significa mente candida, ovvero rimanda a una ragazza giovane, ingenua e pura. Leuconoe rappresenta una ragazza romana che si interroga riguardo al suo futuro presso gli oracoli.
I romani erano piuttosto superstiziosi e si affidavano a oroscopi orientali, soprattutto babilonesi, che avevano fama e valore; Orazio consiglia di non considerare questi oroscopi, giudicandoli illeciti(nefas) e inutili.
Orazio invita ad accetare quello che quello che viene sia che il tempo rimasto da vivere sia lungo sia che sia breve. L’ambientazione invernale rimanda alla vecchiaia.
L’espressione “spatio brevi” può avere due interpretazioni: può essere inteso come “in breve tempo” (fai in fretta a lasciar perdere le tue speranze!) oppure come “poiché il tempo è breve (abl.ass. con valore causale).
Il termine “resecare” indica un taglio netto un immagine concerta; la speranza va troncata subito come se fosse un ramo da troncare.
Anche in quest’ode si fa riferimento all’ambiente simposiale: il vino aiuta a dimenticare la brevità della vita, non più solo a scaldare (v. Taliarco).
Per l’espressione carpe diem consultare ultima nota del libro pag. 235
A Cloe, la cerbiatta pag. 238
Metro: sistema asclepiadeo III
Cloe: nome parlante che significa “verde” che rimanda alla giovinezza; infatti Cloe è una ragazza giovane, inesperta, bella, con un atteggiamento simile a quello di una cerbiatta impaurita.
Elementi coloristici della strofa: verde, primavera, lucertola che richiamano la stessa Cloe.
Figure di suono: tremolio delle ginocchia e del cuore, fruscio delle foglie.
Siamo calati in un paesaggio primaverile, non più invernale, il cerbiatto è “nuovo” come la primavera.
Il poeta cita due animali esotici, leone e tigre, tipici della poesia ellenistica. I romani vedevano questi animali durante i giochi nell’arena, viene meno l’idea del luogo esotico, si parla di una realtà concreta agli occhi dei romani.
Il poeta non sta chiedendo in sposa la fanciulla, infatti Cloe è una delle tante donne a cui Orazio si riferisce nelle sue odi.
A Postumo (pag. 241-243)
Metro: strofa alcaica
Postumo è un uomo di identità ignota. Questo nome veniva dato ai figli nati dopo la morte del padre. Inoltre l’etimologia della parola POST(umo) fa pensare che sia un nome parlante che rimandi al tema oraziano del ‘non pensare al dopo!’
L’amarezza del passo è data fin dall’apertura con i termini ‘fugaces’ e ‘labuntur’. Le rughe, la vecchiaia ed infine la morte costituiscono un climax ascendente. I due dativi “senectae” e “morti” sono entrambi accompagnati da 2 aggettivi che iniziano per “in”: si crea così un ritmo che si ripete.
Non c’è rispetto per gli dei che tenga: nessuna religiosità vale a fermare il corso del tempo!
L’espressione al verso 10 “noi che ci nutriamo del dono della terra” indica “noi mortali”; si ritrova una simile espressione in Omero; egli chiamava i mortali “ gli uomini che mangiano pane”.
Nella seconda e terza strofa del componimento il periodare è più lungo e complesso così come la sintassi.
Il riferimento al mondo divino sottoterra contribuisce poi a dare un tono triste all’ode così come i cipressi “sgraditi” ovvero quegli alberi piantati in prossimità delle tombe, di per sé tristi e scuri.
Orazio spiega che è inutile stare attenti ai diversi pericoli che possiamo incontrare nella vita, il Fato è sempre inevitabile!
Orazio vuole mostrare la propria cultura ed inserisce continui riferimenti al mito greco (vedi note libro). Inoltre non omette mai i riferimenti al mondo Romano, come il vento Austro ed il vino Cecubo (vino campano molto pregiato e protetto poiché sorseggiato solo nelle occasioni importanti).
Il vino assume una funzione diversa rispetto agli altri componimenti: deve essere bevuto subito, prima che venga sprecato, bevuto in scioltezza e versato sul pavimento dai posteri! Si ha quindi una ripresa del Carpe diem ( E’ inutile che conservi i tuoi beni! Non perdere tempo, godi delle cose belle e buone che possiedi!Non pensare al dopo!)
Alla fonte Bandusia (pag 246-247)
Metro: sistema asclepiadeo III
Bandusia è il nome di una Ninfa a cui è dedicata la fonte che secondo alcuni si trovava vicino a Venosa; per altri essa si trovava nella Sabina e precisamente all’interno del podere regalato ad Orazio dall’amico Mecenate. In ogni caso era una fonte cara al poeta.
La fonte è “degna di un vino dolce non senza fiori” ovvero degna di essere celebrata e onorata con libagioni durante le Fontinalia, feste annuali romane proprio in onore di fonti e sorgenti.
Nella vita del capretto ci potranno essere sia l’amore che i combattimenti, o anche i combattimenti per amore (destino teorico); purtroppo però il piccolo animale non farà in tempo a realizzare ciò che dalla vita si aspetta: verrà infatti sacrificato presto, prima del tempo.
La fonte Bandusia è elogiata dal poeta poiché non intaccata dalla calura estiva e non prosciugata; offre abbeveramento agli animali che passano vicino.
L’Ode è dedicata ad una sorgente, ovvero ad un oggetto: questo fatto evoca un’analogia con la poesia alessandrina; era tipico infatti dei poeti alessandrini dedicare i componimenti agli oggetti che erano stati donati così da elogiare il donatore (motivo encomiastico). Nel caso di Orazio non siamo sicuri che la sorgente fosse stata un “oggetto donato”; se così fosse stata però essa si trovava all’interno del podere donato da Mecenate e l’Ode potrebbe essere un elogio a questo.
La descrizione del paesaggio è anch’essa di stile ellenistico: non è evocativa, descrive il paesaggio in se’, non si vuole aggiungere e dire altro. Forse l’ispiratore di Orazio è Teocrito (anche Virgilio gli si era ispirato per la descrizione di paesaggi); in ogni caso l’Ode potrebbe essere ambientata ovunque, la fonte può essere in qualsiasi posto, questo non è specificato.
La parte finale del componimento esprime uno dei principali “motivi orazioni”: la funzione eternatrice della poesia. La poesia infatti rende il soggetto poetico eterno, quando un grande poeta lo elogia. (Forse il termine “loquaces” al penultimo verso , rimanda al canto del poeta).
Orgoglio di poeta (pag. 248-249)
Metro: sistema asclepiadeo I
Questo componimento è il carmen conclusivo che chiude i primi tre libri delle Odi ed ha carattere riassuntivo. Infatti esprime le considerazioni che valgono per l’intera opera. Il “monumentum” citato da Orazio è infatti l’opera stessa. La parola deriva dal verbo “maneo” ovvero “ammonire”: l’opera infatti non sarà unicamente un ricordo ma servirà anche come “monito” ai lettori. Questo “monumento” sembra più forte e duraturo del bronzo col quale erano costruite le statue, ed anche delle piramidi le quali servivano non solo a ricordare i faraoni ma anche ad ammonire gli egiziani.
“Libitina” è un modo latino ricercato per indicare la morte. Era infatti il nome di una divinità degli inferi identificabile con la dea greca Proserpina.
Il ricordo del poeta non morirà grazie alla sua opera. Se leggiamo il componimento in chiave epicurea Orazio morirà sia in anima che in corpo ma il suo spirito rimarrà insidiato nella sua poesia.
Il ricordo del poeta rimarrà per sempre: per esprimere l’eternità del ricordo Orazio inserisce l’esempio della vestale e del pontefice che risalgono il Campidoglio durante una cerimonia; questo è un fatto che si ripeterà per sempre.
L’”ego” che Orazio inserisce al verso sette ha valore enfatico. Esso afferma l’io che sopravviverà e addirittura crescerà nel tempo: l’opera di Orazio sarà eterna ed attuale sempre agli occhi dei lettori. Orazio è esplicito nel lodarsi ma non è il primo (anche Catullo lo faceva).
Il poeta, nato in posti marginali e lontani dalla cultura, è diventato famoso e deve la sua fama all’aver saputo adattare ai metri italici la poesia eolica (è il primo autore della storia che ammette ciò). Il riferimento ad Alceo è quindi esplicito. Ciò che ha dato fama ad Orazio è l’essersi rifatto ai modelli greci nei contenuti (attualità, vino, dimensione evocativa del paesaggio, comunicazione di qualcosa ai lettori ed ascoltatori).
Per questo Orazio è chiamato anche poeta “vate”, anche ridendo riesce a dare degli insegnamenti.
Il verbo “dicar”, “sarò detto”al verso 10, tradotto letteralmente e non come “Si dirà che io..” rafforza ed evidenzia di più il concetto di “io”.
La Musa Melpomene sembra l’ispiratrice del poeta. In realtà Orazio non è convinto di questo ma per tradizione introduce la figura della Musa e la invita a dargli un segno tangibile del suo valore poetico: la corona d’alloro.
Melpomene era la Musa della tragedia e della poesia solenne: la poesia di Orazio pur non essendo tragica è comunque di alto livello: per questo Orazio cita il nome di questa particolare Musa.
“Siamo polvere e ombra” pag.252
Metro: sistema archilocheo II
Si tratta di un componimento tratto dal libro numero 4 dei carmina. In questo libro dei carmina, solitamente si trovano in prevalenza temi di carattere civile e politico, questo componimento però si discosta da quelli contenuti in questo libro, infatti si ricollega alle tematiche care ad orazio.
C’è un’attenzione particolare all’alternarsi delle stagioni descritto attraverso elementi reali sia attraverso il mito. Il ciclo delle stagioni corrisponde al passare veloce del tempo; la vita scorre veloce ed quindi è inutile crearsi speranze immortali.
Nell’espressione “pulvis et umbra sumus” viene utilizzato il verbo al presente per indicare un stato destinato a durare nel tempo (cfr.omero-catullo).
I versi 17-18 possono essere ricollegati a postumo (vedi termine “crastina”).
Al verso 23 compare il nome di torquato, al contrario degli altri componimenti letti, questo nome si riferisce a una persona reale, probabilmente un personaggio che apparteneva a una delle gens più importanti di roma.
Compare l’accenno ad una tragedia di Euripide (Ippolito) ai versi finali della poesia, questo è ancora un exempla utilizzato da Orazio per spiegare che dalla morte non si può fuggire.
Nel componimento compaiono tre temi: cogliere la vita-descrizione a carattere mitologico-descrizione del paesaggio (nessun tema/aspetto prevale sull’altro, sono alla pari).
La nave dello stato pag.256
Orazio si rifà alla metafora usata nel mondo greco (vedi Alceo) per cui lo stato viene paragonato alla nave.
Il poeta si rivolge direttamente alla nave, che è già reduce da una navigazione, consigliandole di rimanere in porto perché ha già subito gravi danni durante la prima navigazione; una seconda navigazione potrebbe essere, anzi sarà, molto rischiosa.
Il poeta dà un’accurata descrizione della nave e dei danni da “lei” subiti durante la prima navigazione-
Nell’ultima strofa non descrive più la nave, ma si rivolge direttamente allo stato(si intuisce il chiaro riferimento allegorico); infatti il poeta ha vissuto in prima persona la vita politica (che in passato era fonte di ansia e preoccupazione: “tu che mi fosti un giorno ansioso tedio”) ed ora tutto ciò è fonte di nostalgia.
Confronto con il componimento di Alceo (vedi pag.257):
Analogie/affinità: entrambi descrivono una nave in cattive condizioni, una nave malmessa. C’è un chiaro coinvolgimento da parte dell’Io(ma con delle differenze!)
Differenze: Alceo si trova sulla nave durante la tempesta, mentre Orazio è al porto e osserva la nave attraccata. Un’altra differenza è il diverso coinvolgimento dell’io, per Orazio è qualcosa di passato (ora c’è un maggior distacco, o perché è vecchio o perché in questo momento lo stato si trova in un buon momento), per Alceo c’è maggiore coinvolgimento. Altra differenza è il riferimento allegorico (nave-stato) che in Orazio è esplicito (vedi ultimi 4 versi) mentre in Alceo non c’è.
L’esultanza per la morte di Cleopatra pag.258
Metro: strofe alcaica
In questo componimento Orazio fa propri i motivi della propaganda Augustea.
Si sta celebrando la fine della guerra (“bibendum” = bisogna bere; idea della necessità). Nei primi versi c’è un chiaro riferimento ad Alceo (pag.262), ma Orazio è più moderato.
L’espressione “libero piede” (verso1) può voler dire due cose: non c’è pericolo di diventare schiavi o danza sfrenata.
Viene descritta una scena di sacrifici agli dei, celebrazione per la fine della guerra (Salii, antico collegio sacerdotale dedito al dio Marte = Guerra).
“Atto nefando” (verso5), atto non lecito dal punto di vista religioso. Cecubo vino molto pregiato.
Al verso 6 inizia a parlare di Cleopatra che viene descritta come folle di ebbrezza per il potere raggiunto circondata da corteo di Eunuchi, descritti come turbi. A Cleopatra viene riferito “impotens” che ha valore rafforzativo, indica che è molto capace, pronta a tutto. La descrizione della regina continua, ella è ubriaca, dementis, in preda alla follia, al vino ed infine viene descritta come un fatale mostro (= voluto dal desstino o che porta morte).
Propaganda augustea: la battaglia di Azio è stata una vittoria su Cleopatra (barbara folle, ubriaca ecc…) e non su Antonio (sarebbe apparsa come guerra civile).Qui la vittoria appare come quella conseguita su un nemico barbaro, si è sconfitto un regno orientale che voleva dominare Roma.
Ma dal verso 21 Orazio inizia una diversa descrizione della regina, è quasi ammirato. Descrive le doti che avvicinano Cleopatra al coraggio di un uomo. Ella, infatti, non si comporta come un donna avrebbe fatto nella sua stessa situazione, ma fa una scelta da uomo, si toglie la vita, piuttosto di accettare di essere portata a Roma come schiava. Si comporta come una donna del suo rango (viene descritta come “fortis”, lei è forte, non ha paura).
Immagine concreta della reggia abbattuta (verso 26) che indica che il potere di Cleopatra è stato abbattuto.
Importanti le ultime 2 quartine perché mostrano l’atteggiamento di Cleopatra che assume caratteristiche tipicamente maschili.
TEMI E STILE: (pag.188)
Orazio stesso nell’ ”Ars poetica” parla dello stile che il poeta deve adottare. Secondo lui il poeta deve possedere due qualità fondamentali, l’ars (conoscenze tecniche e linguistiche) e l’ingenium (dote naturale- l’ingenio). Attraverso queste 2 qualità si riesce a comporre un opera armonica, ottenuta attraverso un processo di purificazione dagli eccessi e di chiarificazione dell’espressione (Labor Limae).
I caratteri tipici dello stile oraziano sono quindi la limpidezza delle immagini e la chiarezza dell’ espressione (simplicitas). Vi è poi una cura particolare per la costruzione sintattica (callida iunctura). Nei carmina oraziani notiamo inoltre un utilizzo indiscriminato di vari metri lirici tradizionali (es. Alceo).
I temi dei Carmina letti sono la poesia, come strumento per sopravvivere alla morte (exegi monumentom aere perennius) e il ruolo del poeta, cioè di comunicare un messaggio. Una posizione importante occupano l’ amore, inteso come forza passionale, la brevità della vita e lo scorrere inesorabile del tempo (carpe diem); la ricerca del piacere poi è legata a tematiche quali il simposio, la fuga dall’ ansia e l’opposizione tra la giovinezza spensierata e la triste vecchiaia, paragonate al ciclo delle stagioni.

Nessun commento:

Posta un commento