venerdì 16 marzo 2012

OSCAR WILDE (INGLESE)


LIFE AND WORKS pag.E110/E111
Oscar Wilde was born in Dublin, Ireland, in 1854. After attending school in Dublin, he went to Oxford. He accepted then the aestheticism and the theory of “Art for Art’s Sake”. Wilde believed that only “Art as the cult of Beauty” could save the soul. He thought that the artist was an alien in the materialistic world, that wrote only for his own pleasure. In 1879 he moved to London where he became famous for his eccentricity and for his dress as a dandy. The dandy was, according to Wilde, an aristocrat whose elegance represented the superiority of his spirit. Life was meant for pleasure, and pleasure was an indulgence in the beautiful (clothes, words or boys); Wilde once said that his life was like a work of art. In 1883 he married an irish woman, Constance Lloyd who bore him two children. He wrote a lot of novels and plays. In 1891 he published “The Picture of Dorian Gray” and four years later, in 1895, he published “The Importance of Being Earnest”. In 1891 he met Lord Alfred Douglas and they fell in love. The boy’s father began a trial and Wilde was convicted of homosexuality and sentenced to two-years of hard labour. He published “The Ballad of Reading Gaol” in 1898 and just two years later, in 1900 he died in Paris.
THE PICTURE OF DORIAN GRAY pag.E112
That novel is set in London in the XIX century. The main character, Dorian Gray, is an handsome young man. A painter, Basil Hallward , paints a portrait of Dorian and the boy whishes to be forever young and handsome. His desire is satisfied and the signs of age, experience, bad actions and vice appear on the portrait. When Basil manages to see the portrait, Dorian kills him, because the painter has seen who he really is. When the young man wants to change his life he decides to stab the horrible being painted. Doing that, Dorian mysteriously kills himself. When the servants enter the room, they see “a splendid portrait of their master as they had last seen him” and, lying on the floor, a withered, wrinkled and loathsome dead man. They recognized Dorian Gray only thanks to the rings he had on his hands.
THE PREFACE pag.E114
That preface is considered the manifesto of aestheticism. It is written as a list, a list of aphorisms. Usually in a preface the author helps the reader in understanding the novel: that does not happen here. We understand that the writer can write what he wants, because “there is not such a thing as a moral or immoral book”. The artist doesn’t want to communicate something: he is above everything and everyone.

L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e celare l'artista è lo scopo dell'arte.
Il critico è colui che può tradurre in una maniera diversa o in un materiale nuovo la percezione delle cose belle. La più alta e la più bassa forma di critica sono tutte e due una maniera di autobiografia.
Coloro che trovano nelle cose belle significati brutti sono corrotti senza essere attraenti. Questo è una colpa.
Quelli che trovano nelle cose belle significati belli sono persone colte. Per essi c'è speranza.
Sono questi gli eletti, per i quali le cose belle significano soltanto bellezza.
Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti bene o scritti male. Nient'altro.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Realismo è la rabbia di Calibano che vede nello specchio il proprio volto.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
La vita morale dell'uomo è per l'artista una parte del soggetto, ma la moralità dell'arte consiste nell'impiego perfetto di un mezzo imperfetto. Nessun artista vuole dimostrare alcunché. Anche le cose vere possono essere dimostrate.
Nessun artista prova simpatie di tipo etico. Una simpatia etica in un artista è un'imperdonabile affettazione stilistica.
Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere tutto.
Pensiero e linguaggio sono per l'artista strumenti dell’arte.
Vizio e virtù sono per l'artista materiali di un'arte. Dal punto di vista della forma il prototipo di tutte le arti è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo è l'arte dell'attore.
Tutta l'arte è insieme superficie e simbolo.
Quelli che penetrano al di sotto della superficie lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Quelli che interpretano il simbolo lo fanno a proprio rischio e pericolo.
E' lo spettatore, non la vita, che l'arte, in realtà, rispecchia.
La divergenza di opinioni a proposito di un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.
Quando i critici sono discordi, l'artista è d'accordo con se stesso.
Un uomo può esser perdonato se fa una cosa utile, a patto che non l'ammiri. L'unica scusa per chi fa una cosa inutile è che egli l'ammiri intensamente.
Tutta l'arte è completamente inutile.

BASIL HALLWARD pag.E115/E116/E117
The characters that appear here are Basil Hallward, the painter, and also Lord Henry Wotton, one of his friends. The studio is described as full of scents. At line 66 “beauty, real beauty, ends where an intellectual expression begins” is linked with the aesthetic theory. In Keats the urn speaks, because the artist himself speaks through the work of art. The artist in Wilde, instead, has not a message, he is not interested in that, he just writes for himself, since he is the centre of everything.

Lo studio era invaso dall’odore sontuoso delle rose e quando la brezza estiva
frusciava tra gli alberi del giardino penetrava dalla porta aperta la forte
fragranza del lillà, o il più delicato profumo delle rose canine in fiore.
Dall’angolo del divano rivestito di bisacce persiane su cui era disteso,
fumando, com’era suo solito, innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton
poteva appena cogliere il luccichio dei fiori dolci e colorati come il miele di
un laburno, i cui rami tremolanti sembravano sopportare appena il fardello
di una bellezza così fiammeggiante; e di tanto in tanto le fantastiche ombre
degli uccelli in volo filtravano tra le lunghe tende di seta tussorina tese
davanti all’enorme finestra, producendo una sorta di momentaneo effetto
giapponese, e facendolo pensare a quei pallidi pittori dai volti di giada di
Tokyo che, per mezzo di un’arte che è necessariamente immobile, cercano
di comunicare il senso della rapidità e del movimento. Il tetro mormorio
delle api che si facevano strada tra l’erba alta non falciata, o si aggiravano
con monotona insistenza intorno ai polverosi stami dorati dell’arruffato
caprifoglio, pareva rendere quella calma immobile più opprimente. Il rombo
sommesso di Londra era come la nota bassa di un organo lontano.
Al centro della stanza, fissato in verticale a un cavalletto, campeggiava il
ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria bellezza, e di
fronte, un poco più in là, sedeva l’artista stesso, Basil Hallward, la cui
improvvisa scomparsa alcuni anni fa aveva eccitato tanto, all’epoca, l’opinione
pubblica e dato adito a molte strane congetture.
Mentre il pittore contemplava la forma graziosa e attraente che aveva così
abilmente rispecchiato nella sua arte, un sorriso di piacere passò sul suo
viso e sembrò quasi indugiarvi. Ma improvvisamente si alzò e, chiudendo
gli occhi, mise le dita sulle palpebre, come a cercare di imprigionare nella
sua mente qualche strano sogno dal quale temeva di svegliarsi.
«È il tuo miglior lavoro, Basil, la cosa migliore che tu abbia mai fatto» disse
Lord Henry languidamente. «Il prossimo anno la devi mandare senz’altro
alla Grosvenor. L’Academy è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta
che sono andato lì, o c’era tanta di quella gente che non riuscivo a vedere i
quadri, il che è terribile, o tanti di quei quadri che non riuscivo a vedere la
gente, il che è peggio. La Grosvenor è davvero l’unico posto.»
«Penso che non la manderò in nessun posto» rispose, gettando indietro il
capo in quel modo bizzarro che a Oxford gli procurava sempre le prese in
giro dei suoi compagni. «No, non la manderò in nessun posto.»
Lord Henry alzò le sopracciglia e lo guardò con stupore attraverso i sottili
anelli bluastri di fumo che si arricciavano in fantasiose volute dalla sua
sigaretta fortemente oppiata. «In nessuno posto? Mio caro, perché? Hai
una ragione? Che strani tipi siete voi pittori! Fate di tutto per avere un
nome. Appena lo avete, sembra che vogliate buttarlo via. È stupido da
parte vostra, perché c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sè. Un ritratto come questo ti
innalzerebbe al di sopra di tutti i giovani d’Inghilterra, e farebbe morire di
gelosia i vecchi, se i vecchi sono ancora capaci di qualche emozione.»
«So che riderai di me» replicò, «ma non posso proprio esporlo. Ci ho messo
troppo di me dentro.»
Lord Henry si stirò sul divano e rise.
«Sì, sapevo che avresti riso; eppure è vero.»
«Troppo di te! Parola mia, Basil, non sapevo tu fossi così vanitoso; e
davvero non riesco a scorgere alcuna somiglianza tra te, con la tua faccia
dura e forte e i tuoi capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone,
che pare fatto d’avorio e petali di rosa. Perché, mio caro Basil, lui è un
Narciso, e tu… beh, naturalmente hai un’espressione intellettuale e tutto il
resto. Ma la bellezza, la vera bellezza, finisce là dove inizia un’espressione
intellettuale. L’intelletto è in sé un mezzo di esagerazione, e distrugge
l’armonia di ogni volto. Dal momento in cui ci si siede a pensare, si diventa
tutto naso, o tutta fronte, o qualcosa di orrido. Guarda gli uomini di
successo in qualsiasi professione dotta. Come sono perfettamente odiosi!

DORIAN’S DEATH pag.E120/E121/E122/E123
In the last chapter, when Dorian decides to destroy the picture, he mysteriously kills himself: the portrait becomes beautiful as it was at first and Dorian becomes horrible and loathsome. The picture represents Dorian’s soul, his crimes and his dark side. Something similar happens in the novel “The Strange Case of Dr.Jekill and Mr. Hyde”. There’s here the critic to the idea of respectability: you show something to the world that you are not (respectability is full of hypocrisy).

Era una notte bella, così tiepida che si gettò il soprabito sul braccio e non
si mise neppure la sua sciarpa di seta intorno al collo. Mentre camminava
lentamente verso casa, fumando la sua sigaretta, due giovani in abito da
sera gli passarono vicino. Udì uno di loro che bisbigliava all’altro:«Quello è
Dorian Gray». Ricordò come un tempo si compiacesse che lo additassero,
lo guardassero, o parlassero di lui. Adesso era stanco di sentire il suo
nome. Metà del fascino del piccolo paese dove tante volte era stato negli
ultimi tempi stava nel fatto che nessuno sapeva chi fosse. Aveva spesso
raccontato alla ragazza che aveva fatto innamorare, di essere povero, e lei lo
aveva creduto. Una volta le aveva detto di essere malvagio, e lei ridendo gli
aveva risposto che i malvagi sono sempre molto vecchi e molto brutti. Che
risata aveva! Come il canto di un tordo. E com’era graziosa con i suoi
vestiti di cotone e i suoi grandi cappelli! Non sapeva niente, ma aveva tutto
quello che lui aveva perso.
Quando arrivò a casa, trovò il domestico ancora in piedi che lo aspettava.
Lo mandò a dormire, e si gettò sul sofà della biblioteca, iniziando a
pensare alle cose che Lord Henry gli aveva detto.
Era proprio vero che non si poteva cambiare mai? Provò una nostalgia
disperata per la purezza incontaminata della sua adolescenza – la sua
adolescenza bianca e rosa, come l’aveva definita un giorno Lord Henry.
Sapeva di essersi macchiato, di aver riempito la sua mente di corruzione e
nutrito di orrore la sua fantasia, di essere stato sugli altri un cattivo
ascendente, e di aver provato una gioia terribile nell’esserlo, e sapeva che
di tutte le vite che avevano attraversato la sua, erano state le più belle e le
più promettenti che lui aveva portato al disonore. Ma tutto questo era
irrecuperabile? Non c’era speranza per lui?
Ah! In quale mostruoso momento d’orgoglio e passione aveva pregato che il
ritratto potesse portare il peso dei suoi giorni, e che lui conservasse lo
splendore intatto dell’eterna giovinezza! Tutto il suo fallimento era dovuto a
questo. Sarebbe stato meglio per lui se ogni peccato della sua vita avesse
avuto una pena rapida e sicura. C’era purificazione nella punizione. Non
“perdona i nostri peccati” ma “colpiscici per le nostre iniquità” sarebbe
dovuta essere la preghiera a un Dio quanto mai giusto.
Lo specchio stranamente intagliato che Lord Henry gli aveva regalato, molti
anni addietro, adesso era sul tavolo, e i candidi cupidi gli ridevano intorno
come un tempo. Lo prese, come aveva fatto quella notte d’orrore quando
aveva notato per la prima volta il cambiamento nel ritratto fatale, e con
occhi folli, velati di lacrime, guardò nel sua lucida superficie. Un giorno,
qualcuno che lo aveva amato pazzamente gli aveva scritto una lettera
dissennata che finiva con queste parole da idolatra: «Il mondo è cambiato
perché tu sei fatto di avorio e d’oro. Le curve delle tue labbra riscrivono la
storia». Le frasi gli tornarono in mente e se le ripeté in continuazione.
Allora detestò la sua bellezza e, scagliato lo specchio per terra, lo calpestò
riducendolo in piccole schegge d’argento. Era la sua bellezza che lo aveva
rovinato, la sua bellezza e la giovinezza per la quale aveva pregato. Se non
fosse stato per quelle due cose, la sua vita forse sarebbe stata senza
macchia. La sua bellezza era stata per lui solo una maschera, la sua
giovinezza una beffa. Cos’era la giovinezza nel migliore dei casi? Un’età
verde, acerba, un’età di stati d’animo superficiali e pensieri malsani.
Perché ne aveva indossato la livrea? La giovinezza l’aveva rovinato.
Era meglio non pensare al passato. Nulla poteva modificarlo. Era a se
stesso e al suo futuro che doveva pensare. James Vane se ne stava sepolto
in una tomba senza nome nel cimitero di Selby. Alan Campbell si era
sparato una sera nel suo laboratorio, ma non aveva rivelato il segreto che
era stato costretto a conoscere. L’animazione, per così dire, sulla
scomparsa di Basil Hallward sarebbe passata presto. Stava già calando. In
questo caso era perfettamente al sicuro. Non era tanto la morte di Basil
Hallward a pesare di più sulla sua coscienza. Era la morte vivente della
sua anima che lo turbava. Basil aveva dipinto il ritratto che aveva rovinato
la sua vita. Non glielo poteva perdonare. Era il ritratto ad essere la causa
di tutto. Basil gli aveva detto cose per lui insopportabili, eppure le aveva
tollerate con pazienza. L’assassinio era stato soltanto la follia di un
momento. Riguardo Alan Campbell, il suicidio era stato un atto della sua
volontà. Aveva scelto di commetterlo. Lui non c’entrava nulla.
Una nuova vita! Ecco cosa voleva. Ecco quello che stava attendendo.
Certamente l’aveva già iniziata. In ogni caso, aveva risparmiato una
creatura innocente. Non avrebbe mai più tentato l’innocenza. Sarebbe
stato buono.
Al pensiero di Hetty Merton, cominciò a chiedersi se il ritratto nella stanza
chiusa fosse cambiato. Di sicuro non era ancora così orribile come prima!
Forse, se la sua vita fosse diventata pura, avrebbe potuto cacciare ogni
segno di passioni malvagie dal volto. Forse i segni del male eran già spariti.
Sarebbe andato a vedere.
Prese la lampada dal tavolo e salì furtivamente di sopra. Mentre apriva la
porta, un sorriso di gioia gli attraversò il viso stranamente giovane e
indugiò per un istante sulle labbra. Sì, sarebbe stato buono e quella cosa
orrenda che aveva nascosto non lo avrebbe terrorizzato più. Si sentì come
se si fosse già liberato di quel peso.
Entrò in silenzio, chiudendosi la porta dietro, com’era sua abitudine, e tirò
il drappo purpureo dal ritratto. Cacciò un grido di dolore e
indignazione. Non riusciva a vedere alcun cambiamento, salvo che negli
occhi c’era un’espressione di astuzia e nella bocca la piega ricurva
dell’ipocrita. Quella cosa era ancora rivoltante – più rivoltante, se possibile,
di prima –e la rugiada scarlatta che macchiava la mano sembrava più
brillante e più simile a sangue appena sparso. Allora tremò. Era stata solo
la vanità che gli aveva fatto fare la sua unica buona azione? O il desiderio
di una nuova sensazione, come Lord Henry aveva suggerito, con il suo riso
beffardo? O quell’impulso a recitare una parte che talvolta ci fa fare cose
migliori di quello che siamo? O, forse, tutte queste cose? E perché la
chiazza rossa era più larga di prima? Sembrava si fosse estesa come un
orribile morbo sulle dita rugose. C’era del sangue dipinto sui piedi, come
se fosse gocciolato dalla tela stessa – sangue persino sulla mano che non
aveva stretto il coltello. Confessare? Voleva dire che doveva confessare?
Costituirsi ed essere condannato a morte? Rise. L’idea gli parve mostruosa.
E poi, anche se avesse confessato, chi gli avrebbe creduto? Non c’erano
tracce dell’uomo ucciso da nessuna parte. Tutto quello che gli apparteneva
era stato distrutto. Lui stesso aveva bruciato ciò che era rimasto al piano
di sotto. Tutti avrebbero detto che era assolutamente pazzo. Lo avrebbero
rinchiuso se avesse insistito nella sua storia... Eppure era suo dovere
confessare, sopportare la pubblica vergogna ed espiare pubblicamente.
C’era un Dio che chiedeva agli uomini di ammettere i propri peccati alla
terra come al cielo. Qualunque cosa facesse niente avrebbe potuto
purificarlo finché non avesse ammesso il proprio peccato. Il suo peccato?
Alzò le spalle. La morte di Basil Hallward gli sembrò davvero poca cosa.
Stava pensando a Hetty Merton. Perché era uno specchio ingiusto questo
specchio della sua anima che stava guardando. Vanità? Curiosità?
Ipocrisia? Non c’era stato nient’altro che questo nella sua rinuncia? C’era
stato qualcosa di più. Almeno così credeva. Ma chi poteva dirlo? ... No. Non
c’era stato altro. L’aveva risparmiato per vanità. Aveva portato la
maschera della bontà per ipocrisia. Aveva cercato di negare se stesso per
curiosità. Adesso se ne rendeva conto.
Ma questo delitto – lo avrebbe braccato per tutta la vita? Sarebbe stato
sempre oppresso dal suo passato? Doveva davvero confessare? Mai. Contro
di lui c’era soltanto una parte restante di evidenza. Il quadro stesso -
quella era l’evidenza. L’avrebbe distrutto. Perché l’aveva conservato così a
lungo? Un tempo gli aveva dato piacere contemplarlo mentre mutava e
diventava vecchio. Da molto non aveva più provato un simile piacere. Lo
aveva tenuto sveglio la notte. Quando era stato lontano, era terrorizzato
dalla paura che altri occhi potessero guardarlo. Aveva portato la
malinconia tra le sue passioni. La sua stessa memoria aveva rovinato molti
momenti di gioia. Era stato per lui come la coscienza. Sì, era stato la
coscienza. L’avrebbe distrutto.
Si guardò intorno e vide il coltello che aveva colpito Basil Hallward. Lo
aveva pulito molte volte, finché era scomparsa ogni macchia. Era lucido, e
brillava. Come aveva ucciso il pittore, così avrebbe ucciso l’opera del
pittore e tutto quello che significava. Avrebbe ucciso il passato, e una volta
morto il passato, sarebbe stato libero. Avrebbe ucciso questa mostruosa
anima viva e, senza i suoi atroci avvertimenti, sarebbe stato in pace.
Afferrò il coltello e pugnalò il quadro.
Si udì un urlo e un tonfo. L’urlo era così orribile nella sua angoscia che i
domestici spaventati si svegliarono e uscirono di corsa dalle loro stanze.

Due gentlemen, che stavano passando nella piazza sottostante, si
fermarono e alzarono gli occhi verso la grande casa. Continuarono a
camminare finché non incontrarono un poliziotto e lo condussero indietro.
L’uomo suonò il campanello più volte, ma nessuno rispondeva. Tranne una
luce accesa in una finestra all’ultimo piano, la casa era tutta buia. Dopo
un po’, andò via e rimase in un portico adiacente a guardare.
«Di chi è quella casa, agente?» chiese il più anziano dei due gentlemen.
«Di Mr. Dorian Gray, signore» rispose il poliziotto.
Mentre i due si allontanavano, si guardarono sogghignando. Uno di loro
era lo zio di Sir Henry Ashton.
Dentro, nell’ala di servizio della casa, i domestici semivestiti si parlavano a
bassa voce. La vecchia Mrs. Leaf piangeva e si torceva le mani. Francis era
pallido come un morto.
Dopo circa un quarto d’ora, prese con sé il cocchiere e uno dei valletti e
salì lentamente al piano di sopra. Bussarono, ma non ci fu risposta.
Chiamarono. Tutto era in silenzio. Alla fine, dopo vani tentativi di forzare la
porta, salirono sul tetto e da lì si calarono sul balcone. Le finestre
cedettero facilmente – le serrature erano vecchie.
Quando entrarono, trovarono appeso alla parete uno splendido ritratto del
loro padrone come l’avevan visto l’ultima volta, in tutto lo splendore della
sua squisita giovinezza e bellezza. Per terra sul pavimento giaceva un
uomo morto, in abito da sera, con un coltello conficcato nel cuore. Era
avvizzito, rugoso e con un volto ripugnante. Fu solo dopo aver esaminato
gli anelli che riconobbero chi era.

THE IMPORTANCE OF BEING EARNEST (pg. E124,125,126,127)
This is Wilde’s most famous play. It’s the story of two young men that climb up the social scale trying to get married with rich girls. Ernest Worthing and Algernon Moncrieff have both an alter ego: a sort of  “imaginary friend” that is made up just to be used in particular situations. Ernest’s real name is Jack; he pretends to have a younger brother called Ernest ,that lives in London. Algernon, instead, pretends to have a friend whose name is Bunbury. Jack Worthing wants to propose to Gwendolen Fairfax, a young aristocratic woman. Lady Bracknell, his mother, is a very difficult obstacle to be overcome, because she wants a rich and respectable man for her beloved daughter. At the same time, Algernon falls in love with Cecily Cardew, the heiress of an immense fortune. After a serie of gags, ridiculous situations and misunderstandings, the two men manage to marry their girls, in a happy “aristocratic” ending.
The characters of this play are the typical Victorian snobs. The main theme is marriage, an institution considered important not for a sentimental value but just because it’s a fundamental instrument to climb the social scale. It was generally thought that with marriage you were able to earn some more money and have a respectable life.
Wilde makes fun of the main Victorian values. Everything is a big misunderstanding, that ends happily, instead of tragedies. Even the title is a “play of words”, a pun: “Earnest” is the misspelling of the name of the main character ,and even an adjective that means “sincere, honest, truthful”. An adjective that can’t describe Ernest and Algernon and all the characters Imagination and irony are the fundamental ingredients of this funny play.

MOTHER’S WORRIES (ACT 1)
Jack Worthing is speaking to Lady Bracknell, the terrible mother of his lover, Gwendolen.
She interviews him with personal questions about his habits ,his age his job and his money( the most important characteristic that you must have in this society is richness). Through the absurdity of her words, the reader can understand her hypocrisy, especially when she asks Jack if he has “respectable” relations. He tells her that he’s actually an orphan found in a hand-bag by Thomas Cardew, his “guardian”. He hasn’t got parents or relatives. Though this sad story, she suggests him to “try and acquire some relations as soon as possible”. They’re in the “season”, a period of the year( from the beginning of spring until the end of summer) when rich people, like Lady Bracknell and her family, stay in the country. Every respectable rich man in England has two houses: one in the country, for the “season” and one in the city, in this case, London. They speak about material things such as money and investments. Lady Bracknell is a snob who doesn’t like changes and, like all the aristocratics, hates the middle class(“the purple of commerce”), that got richer working hard.

 Traduzione:
LADY BRACKNELL (matita e notes tra le mani) - Mi sento in dovere di dirle, signor Worthing, che nel mio elenco dei possibili generi, il suo nome non c’è, pur avendo io lo stesso elenco della cara duchessa di Bolton. Poiché infatti noi lavoriamo insieme. Tuttavia, sono ben dispsota a includere anche lei, ove le sue risposte soddisfino le richieste di una madre sinceramente affezionata. Lei fuma?
JACK - Beh, sì, devo ammettere che fumo.
LADY BRACKNELL - Lieta di sentirglielo dire. Un uomo deve sempre avere una qualche occupazione. Ci sono già troppi fannulloni in giro per Londra. Quanti anni ha?
JACK - Ventinove.
LADY BRACKNELL - Un’ottima età per sposarsi. Sono sempre stata dell’opinione che un uomo che intenda sposarsi debba o sapere tutto o non sapere niente. Qual è il suo caso?
JACK (dopo una certa esitazione) - Io non so niente, Lady Bracknell.
LADY BRACKNELL - Sono felice di sentirglielo dire. Sono molto contraria a tutto ciò che può interferire con una naturale ignoranza. L’ignoranza è come un delicato frutto esotico: come lo si tocca, il suo fascino è perduto. Le teorie educative del giorno d’oggi sono fondamentalmente assurde. In Inghilterra, comunque, grazie a Dio, l’educazione non produce il minimo effetto. Non fosse così, ne deriverebbero gravi inconvenienti per le classi superiori, destinati probabilmente a sfociare in atti di violenza in Grosvenor Square. Qual è il suo reddito?
JACK - Tra le sette e le ottomila sterline all’anno.
LADY BRACKNELL (prende un appunto) - Proprietà terriere o titoli azionari?
JACK - Titoli, più che altro.
LADY BRACKNELL - Molto ben fatto. Tanto più che tra gli oneri cui va incontro il proprietario nel corso della sua vita e gli oneri imposti agli eredi dopo la sua morte, la terra non rappresentà più né un utile né un piacere. Dà una certa posizione sociale, ma impedisce di vivere all’altezza. Direi che sulla terra non c’è altro da dire.
JACK - Posseggo una casa di campagna, compresa un po’ di terra, naturalmente: circa mille e cinquecento ettari, credo. Ma non dipendo da questo per il mio reddito effettivo. In realtà, per quel che ne so, gli unici ai quali la mia terra rende qualcosa sono i bracconieri.
LADY BRACKNELL - Una casa di campagna! Quante camere da letto? Beh, questo possiamo chiarirlo in un secondo tempo. Ha una casa anche in città, spero? Una ragazza d’animo così semplice, intatto, come Gwendolen, non può certo essere obbligata a vivere in camapgna.
JACK - Beh, ho una casa in Belgrave Square, affittata però a Lady Bloxham. Naturalmente posso riaverla quando credo, con sei mesi di preavviso.
LADY BRACKNELL - Lady Bloxham? Non la conosco.
JACK - Oh, va molto poco in giro. È una signora alquanto avanti con gli anni.
LADY BRACKNELL - Ah, al giorno d’oggi questo non offre nessuna garanzia di rispettabilità. Che numero di Blegrave Square?
JACK - Centoquarantanove.
LADY BRACKNELL (scuotendo la testa) - Dal lato fuori moda. Volevo ben dire che non ci fosse qualcosa. Comunque, questo lo si può anche cambiare
JACK - Intende dire la moda o l’ubicazione della casa?
LADY BRACKNELL (serissimamente) - Ambedue, direi, se sarà il caso. Quali sono le sue idee in politica?
JACK - Beh, temo proprio di non averne. Sono un reazionario progressista.
LADY BRACKNELL - Oh, sono considerati conservatori. Ne abbiamo spesso a cena. O dopo cena, comunque. E adesso, qualche dettaglio di minor conto. I suoi genitori vivono ancora?
JACK - Lo ho persi tutti e due.
LADY BRACKNELL - Perdere un genitore, signor Worthing, può essere considerata una disgrazia. Perderli tutti e due crea un’impressione di superficialità. Chi era suo padre? Una persona di un certo censo, evidentemente. Faceva parte di quella che i giornali radicali chiamano l’Inghilterra che produce e lavora, o usciva dai ranghi dall’aristocrazia?
JACK - Temo proprio di non poter rispondere. Il fatto è un altro, Lady Bracknell: ho detto di aver perduto tutti e due i genitori, è vero. Ma sarebbe forse più esatto dire che i miei genitori hanno perduto me... Io, in verità, non so chi sono di nascita. Io sono stato... beh, sono stato trovato.
LADY BRACKNELL - Trovato?!
JACK - Sono stato trovato dal defunto signor Thomas Cardew, un vechio gentiluomo d’animo cortese e caritatevole, che mi diede il nome di Worthing, poiché in quel momento si trovava ad avere in tasca un biglietto di prima classe per Worthing. Worthing è una cittadina nle Sussex. Una località balneare.
LADY BRACKNELL -E dove l’ha trovata il caritatevole gentiluomo che aveva in tasca un biglietto di prima classe per questa località balneare?
JACK (con gravità) - In una borsa.
LADY BRACKNELL - In una borsa?
JACK (con grande serietà) - Sì, Lady Bracknell. Mi ha trovato in una borsa; una borsa, piuttosto grande, di cuoio nero, con maniglie... Una comune borsa da viaggio.
LADY BRACKNELL - E in quale luogo esattamente, questo signor James, o Thomas, Cardew, ebbe a imbatersi in questa comune borsa da viaggio?
JACK - Nel deposito bagagli della Stazione Vittoria. Dove gli venne data per errore al posto della sua.
LADY BRACKNELL -Il deposito bagagli della Stazione Vittoria?
JACK - Sì, linea per Brighton.
LADY BRACKNELL - La linea non ha importanza. Signor Worthing, confesso che quanto mi dice mi lascia un poco perplessa. L’essere nato, o comunque allevato, in una borsa, con o senza maniglie che sia, mi sembra una manifestazione di disprezzo per i più elementari principi della vita familiare, che mi richiama alla mente i peggiori eccessi della Rivoluzione Francese. E suppongo lei sappia a che cosa ha condotto quel deprecabile momento! Per quello che riguarda poi in particolare il luogo nel quale la borsa è stata trovata, devo dire che il deposito bagagli di una stazione ferroviaria può servire sì a nascondere cose e fatti socialmente sconvenienti – credo anzi che sia stato spesso usato a questo scopo anche in passato – ma difficilmente può essere considerato base sufficiente a una reputata posizione nella buona società.
JACK - Posso chiederle allora che cosa mi consiglia di fare? Non occorre che le dica che farei qualsiasi cosa al mondo pur di assicurare la felicità di Gwendolen.
LADY BRACKNELL - Le consiglio caldamente, signor Worthing, di trovarsi qualche legame di parentela al più presto possibile, e di non lasciare nulla d’intentato onde esibire almeno un genitore, non importa se maschio o femmina, prima che la stagione sia definitivamente conclusa.

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