venerdì 11 maggio 2012

APOLLONIO RODIO (GRECO)


APOLLONIO RODIO
Apollonio Rodio nasce, approssimativamente, nel 295 a.C. ad Alessandria. E’ contemporaneo di Callimaco con il quale  è in contatto. Secondo alcune fonti ci sarebbe stata una disputa tra i due, a causa del fatto che Rodio aveva scritto un poema epico, discostandosi quindi dai canoni della poesia di Callimaco, che si era schierato contro il tradizionale modo di fare poesia (e quindi contro la forma del poema epico); il successivo spostamento di Apollonio a Rodi sarebbe dunque dovuto a questo contrasto con l’ ex maestro Callimaco.
A ben indagare, però, le suddette fonti non sono del tutto affidabili e l’ idea di un contrasto tra i due poeti ha basi del tutto inconsistenti.
E infatti Apollonio non è enumerato tra i Telechini, ovvero i detrattori di Callimaco, né si può considerare la sua opera una pura imitazione del poema di stampo omerico; Apollonio non contravviene ai principi estetici callimachei, anzi, il suo obbiettivo è proprio quello di riproporre Omero passando attraverso la lezione di Callimaco ( è facile intuire questo aspetto anche dal fatto che in diverse situazioni  Apollonio viola il “codice” epico e si avvicina di più alla tragedia e alla lirica monodica, oltre al fatto che nel suo poema non troviamo più la figura dell’eroe tradizionale, ma una sorta di “antieroe”).

L’ OPERA- “LE ARGONAUTICHE” ( vedi trama pag. 139-140)
L’ argomento dell’ opera ( il viaggio di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’ oro e il loro successivo rientro in Grecia) è antecedente alle vicende narrate nell’ Iliade e nell’ Odissea ( i suoi protagonisti appartengono alla generazione precedente) e viene affrontato in maniera molto diversa rispetto ai poemi omerici:
-          innanzitutto la lunghezza del poema,  solo 4 libri (cfr. tetralogia tragica, che prevedeva che ogni autore presentasse 3 tragedie e un dramma satiresco ) contravviene alle norme del codice epico.
-          lo spazio è chiuso, circolare: il punto di partenza coincide con quello di arrivo ( l’ obbiettivo di Giasone e compagni non è la Colchide, ma la Grecia) ; in diversi momenti, inoltre, il paesaggio, descritto minuziosamente con particolare attenzione ai dettagli (si veda il passo “Il passaggio delle Simplegadi”), contribuisce a creare un’ atmosfera onirica e surreale (in alcuni momenti gli stessi protagonisti credono di compiere un viaggio verso la morte).
-          La vicenda non inizia in  medias res, come nei poemi omerici, ma viene narrata seguendo scrupolosamente l’ ordine cronologico delle vicende  (nel proemio viene raccontato brevemente l’ antefatto e poi la narrazione comincia dall’ inizio); il tempo viene inoltre spezzettato dai molti excursus eziologici, dalle analessi e dalle anticipazioni inserite dall’autore.
-          Elemento assolutamente innovativo rispetto alla tradizione omerica è l’ intervento dell’ autore: se nell’ epos omerico l’aedo era solo uno strumento per il canto della Musa, qui l’autore acquista una sua autonomia ed è consapevole dell’ originalità della propria creazione e della fama che da essa gli deriverà. Sono  molto frequenti  l’ uso della prima persona e l’ inserimento di commenti, domande, affermazioni, considerazioni di tipo metaletterario.
-          Una grande differenza si riscontra anche nei personaggi e nella loro caratterizzazione: innanzitutto, come per tutta la letteratura ellenistica, compaiono personaggi umili, quali servi e bambini, che acquistano una loro autonomia (si veda Eros rappresentato e descritto come un bambino, non come un adulto in miniatura) e la figura della donna ha ormai acquisito, già a partire da Euripide, un’ importanza pari, se non superiore, a quella dell’ uomo. Ma la novità più significativa sta proprio nel come questi personaggi vengono descritti: essi sono umani, non più idealizzati come avveniva nell’ epos. Si pensi alla figura di Giasone: egli è caratterizzato, fin dall’ inizio, da incertezza e incapacità: non è mai sicuro riguardo alla decisione da prendere e nelle difficoltà non è capace di prendere in mano la situazione e di salvare sé e i compagni ( si deve sempre attendere l’ intervento divino o l’ aiuto di altri personaggi quali Medea). La sua caratteristica principale è dunque l’ αμηχανία contrapposta alla πολυτροπία di Ulisse.


Il proemio (pag. 147)
La tradizionale invocazione alla Musa viene qui sostituita da un’ invocazione al dio Apollo, che sarà molto presente durante tutta la vicenda degli Argonauti.
In questo proemio viene raccontato l’ antefatto, il che ricorda molto i proemi informativi di Euripide. Negli ultimi versi emerge inoltre la contrapposizione tra il poeta e gli autori del passato (“i poeti di un tempo….. ora io…”), il che mostra la consapevolezza dell’ autore riguardo alla novità costituita dalla sua opera.

La contesa tra Ida e Idmone (pag. 149)
Sono appena stati celebrati i sacrifici in onore di Apollo e i compagni di Giasone festeggiano l’ imminente partenza. Solo il protagonista non prende parte ai festeggiamenti, ma si isola momentaneamente riflettendo sulla scelta compiuta e sulla pericolosità che la missione comporta per lui e per i suoi compagni ( già qui possiamo notare l’ indecisione che caratterizzerà Giasone in tutta la vicenda). A causa di questo atteggiamento, egli viene apostrofato da Ida, che non accetta di sottostare agli ordini di un condottiero sfiduciato e deride gli oracoli, affermando la propria autosufficienza rispetto all’ aiuto divino.
La sua arroganza e la sua hybris vengono ammonite da Idmone, figlio e oracolo del dio Apollo, il quale definisce Ida “sciagurato” perché “cieco a causa del vino” e i suoi discorsi “stolti e arroganti”.
Ida rappresenta l’ eroe omerico tradizionale, mosso da coraggio e determinazione e  impavido di fronte ai pericoli, nettamente contrapposto all’ indeciso e timoroso Giasone, del quale non può comprendere l’angosciante solitudine.
Ida è anche contrapposto a Idmone, a causa della sua tracotanza, che lo porta a deridere  gli oracoli e gli stessi dei.

Il rapimento di Ila (pag. 154)
In questo brano si racconta appunto il rapimento di Ila, il giovane amato da Eracle; allontanatosi dai compagni per ricercare una fonte a cui attingere, Ila viene rapito da una Ninfa, invaghitasi della sua bellezza. Il suo urlo è udito da Polifemo, amico di Eracle che subito si mette sulle tracce del giovane. Nel bosco incontra Eracle e gli racconta l’accaduto; l’ eroe, inconsolabile, non si darà pace fino a quando non avrà ritrovato l’ amato: esplora tutti i luoghi circostanti ma non trova Ila in nessun luogo. Intanto all’ alba la nave Argo salpa senza di lui.
Questo episodio serve principalmente a togliere di scena Eracle e ha quindi un importante ruolo nell’ economia di tutto il poema. L’ autore opera questa scelta perché sa perfettamente che il più forte e valoroso eroe greco, Eracle, è irriducibile alla figura dell’ eroe moderno, pieno di dubbi e timori: egli non può dunque essere coinvolto in una spedizione in cui il condottiero è proprio Giasone, emblema dell’ eroe moderno, che richiederà l’ aiuto di una donna per portare a termine la sua missione (ovviamente un eroe tradizionale come Eracle  non l’ avrebbe mai fatto).
Questo breve episodio costituisce un epillio autonomo all’ interno dell’ opera ed è caratterizzato da alcuni temi quali l’ Eros e il paesaggio, tipici della letteratura ellenistica.
Questo racconto sarà ripreso anche da Teocrito.

Il passaggio alle Simplegadi (pag. 157)
Gli Argonauti, durante il loro viaggio verso la Colchide, devono affrontare il pericolosissimo passaggio delle Simplegadi, due grandi scogli che non sono immobili, ma che si avvicinano e allontanano continuamente, rendendo così il passaggio particolarmente rischioso.
In questo brano si nota, in un primo momento, la contrapposizione tra le capacità tecniche di cui fanno sfoggio gli Argonauti e la resistenza opposta dalla natura; nella parte finale del brano, invece, i protagonisti cadono in una rassegnata αμηχανία, e potranno essere salvati solo dall’ intervento divino (sarà infatti Atena a spingere la nave oltre il passaggio).
Nel dialogo finale, tra Tiphis e Giasone, emerge l’umanità del protagonista, il quale esprime tutta la sua angoscia e il timore per l’incolumità dei compagni.
In questo brano emergono tre aspetti caratteristici dell’ opera di Apollonio:
-          da una parte c’è la caratterizzazione di Giasone e dei suoi compagni, che ne mette in risalto il “timore e tremore” a indicare come questi personaggi non siano in grado di prendere in mano la situazione e di uscire dalle difficoltà senza il sostegno della divinità; essi sono dunque degli eroi moderni, non più valorosi e coraggiosi, ma umani, e quindi dotati di una dimensione interiore comprendente anche dubbi e incertezze.
-          La descrizione dettagliata del paesaggio che serve a mettere in rilievo da una parte la difficoltà oggettiva che gli Argonauti si trovano di fronte, dall’ altra il loro stato d’ animo caratterizzato prevalentemente da paura.
-          Il motivo eziologico: con l’ inserimento di questo episodio, Apollonio spiega come le Simplegadi si siano finalmente fermate.
LEGGERE LO STESSO BRANO TRATTO DA VALERIO FLACCO, PAG. 159 E SEGUENTI.

Il dardo di Eros (pag 163)
Hera e Atena, preoccupate per la sorte di Giasone, si recano da Afrodite e le chiedono di mandare suo figlio Eros sulla Terra, affinché colpisca con una delle sue frecce la giovane Medea, in modo tale da farla innamorare di Giasone. In questo modo l’ eroe potrà avere il sostegno delle potentissime arti magiche conosciute dalla fanciulla.
Nei versi introduttivi è raccontata la scena in cui Afrodite dà questo importante incarico al figlioletto, promettendogli in cambio un regalo (una palla); è singolare la descrizione che viene fatta di questi due personaggi divini: Eros è un bambino e viene descritto esattamente come tale e non come un adulto in miniatura. Il dio viene ritratto mentre sta giocando ed è contraddistinto da atteggiamenti tipicamente infantili (“aggrappandosi alle vesti”, “la pregava di dargliela subito, senza aspettare”), mentre Afrodite è descritta proprio come una madre umana (“lo trasse a sé, lo baciò sulle guance abbracciandolo”). Questi personaggi non hanno dunque più niente di divino, la stessa scena potrebbe svolgersi ovunque, in una qualsiasi famiglia; questo perché, nell’ età ellenistica, gli dei dell’ Olimpo perdono il loro ruolo di artefici del destino umano: essi diventano esempi comportamentali o simbolo di qualcosa (ad esempio Eros e Afrodite vogliono semplicemente significare “amore”), ma non sono più loro a costruire le vicende umane.
Anche nel caso dell’ innamoramento di Medea, l’input è sì divino ( è il dardo di Eros che fa innamorare Medea), ma il cambiamento interiore del personaggio avviene attraverso modalità specificamente umane, abilmente descritte da Apollonio riprendendo alcuni elementi della lirica corale (Saffo).
Infatti, dopo che Eros “con sguardo ammiccante, fattosi piccolo” colpisce la giovane con il suo “dardo amaro” (anticipazione del triste destino di Medea) ed esce di scena “gongolante di gioia”, ha inizio l’ innamoramento, di cui ci viene descritta la sintomatologia fisica ed interiore:
la fanciulla si sente ardere come se avesse un fuoco dentro di sé, gli occhi brillano (in Saffo, la vista si annebbia), il cuore batte all’impazzata e si fa strada nell’animo di lei un dolce tormento (ossimoro che descrive efficacemente la condizione di Medea nei momenti immediatamente successivi), il suo volto passa dal colorito pallido delle guance al rossore.
Singolare è poi il fatto che l’ autore paragoni la giovane maga a una donna che, alzatasi presto per filare ravviva continuamente il fuoco per tenersi sveglia, e quindi a una donna ritratta in un’ attività umana e quotidiana. Questa è un’ altra differenza rispetto al poema omerico, dove i personaggi venivano paragonati agli dei oppure agli animali.

Tormento notturno (pag.166)
Viene qui descritto quel “dolce tormento” che affligge Medea all’ arrivo di Giasone; alla tranquillità e al silenzio della notte (“mentre il viandante e il guardiano a quell’ ora agognavano il sonno…. Per la città non più ululati di cani, non forte frastuono: il silenzio regnava sull’ombra sempre più fitta”), si contrappone il tumulto interiore di Medea (“Ma il dolce sonno non prese Medea”). Lo stato d’ animo della fanciulla viene paragonato al fenomeno della rifrazione (raggio di sole riflesso in uno specchio o nell’ acqua, vv. 756- 759).
Ella è infatti combattuta tra l’ amore per Giasone e il suo pudore virginale; considera le varie possibilità: scegliere la via dell’ amore significherebbe innanzitutto aiutare Giasone nella sua missione, salvandolo da morte certa, e abbandonare la casa e i suoi affetti per tornare in Grecia con lui;  oppure scegliere la via del pudore, aiutando Giasone ma uccidendo se stessa; oppure ancora restare viva e affrontare il suo “destino di tenebra”. Questo conflitto interiore porta per un momento Medea a considerare come possibile soluzione il gesto estremo del suicidio; sta per prendere i filtri con i quali togliersi la vita, quando “a un tratto nell’animo le venne atroce terrore del cupo regno dei morti”: il giovanile amore per la vita la porta a retrocedere di fronte a questo gesto estremo. La giovane comincia ad attendere impazientemente l’ alba, non tanto per porre fine al suo tormento notturno, ma per rivedere il volto di Giasone e consegnargli i filtri magici che lo aiuteranno bella sua missione: ha scelto la via dell’ amore, che la condurrà a un triste destino in una terra lontana.


La terribile prova: 
Nei versi che descrivono la titanica lotta di Giasone contro le mostruose creature che si frappongono fra lui ed il magico vello la componente omerica dell'arte di Apollonio ha un netto sopravvento sugli elementi di "modernità" che caratterizzano tante parti del poema. La stessa figura dell'eroe, quasi sempre contraddistinta da una frustrante condizione di amechanìa, di angosciata irresolutezza davanti ad ogni difficoltà incontrata lungo il suo cammino, assume qui decisamente i tratti del'eroe epico. Ciò si vede per esempio nei termini utilizzati da Apollonio per descrivere Giasone: "Era nudo, e somigliava ad Ares in parte, in parte ad Apollo, che porta la spada dorata."; ben piantato sulle gambe; infaticabile; pieno di forze; eroe.


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