sabato 12 maggio 2012

CALLIMACO (GRECO)


Callimaco
La Vita e le Opere: Nato a Cirene, Callimaco era figlio di Batto, omonimo dell'antico fondatore della città, dal quale la sua famiglia si vantava di discendere, e "Battìade" fu appunto il patronimico con cui egli stesso volle essere ricordato. Il poeta si trasferì ad Alessandria, dove inizialmente si guadagnò da vivere facendo il maestro di scuola. Tuttavia ben presto egli, segnalatosi per il suo brillante ingegno, entrò nella cerchia dei poeti che dimoravano presso la corte tolemaica. Assai copiosa fu la sua produzione poetica, ed ancora più vasta fu la sua attività di erudito presso la Biblioteca alessandrina. La maggiore opera in campo filologico furono i cosiddetti Pinakes (cioè "tavole") in 120 libri, un ponderoso catalogo ragionato di tutta la letteratura greca. Di ognuno degli autori, distribuiti nelle varie sezioni dedicate ai diversi generi letterari, si dava l'elenco delle opere, preceduto da un breve profilo biografico e corredato di note erudite inerenti a problemi filologici e testuali. A conferma dei suoi svariati interessi culturali si possono ricordare scritti eruditi quali Sui fiumi dell'Europa, Sui fiumi del mondo, Sugli uccelli, Sui venti, Denominazione dei mesi secondo i popoli e le città ed altri ancora.
La Rivoluzione Callimachea: Callimaco rappresenta, dal punto di vista letterario, l'autore che più di ogni altro rispecchia la svolta epocale impressa alla civiltà greca dalle conquiste di Alessandro. Caposcuola di una corrente artistica fortemente innovatrice, destinata ad influenzare a distanza anche la letteratura latina, egli elabora una poetica di sostanziale rottura nei confronti della tradizione precedente, tradizione che aveva avuto nei poemi omerici il suo testo "sacro". Alla pretesa di riproporre, in pieno Ellenismo, i contenuti e lo stile del poema epico tradizionale, emulandone anche la sterminata lunghezza, egli oppone un netto rifiuto. L'antiomerismo di questo autore non tende tanto a mettere in discussione la grandezza dell'antico epos, quanto a rilevare l'inattualità della ripresa di esso da parte di goffi imitatori. Inoltre Callimaco sostiene che la poesia sia fine a se stessa: un testo poetico non deve avere messaggi, né etici né pedagogici, ed può essere considerata bella soltanto nel caso in cui sia scritta bene.
Gli Aitia: Con "Cause" potrebbe rendersi in italiano il titolo di quest'opera, che era costituita da quattro libri di componimenti in metro elegiaco: ognuno di essi spiegava, attraverso la rievocazione di un mito, la leggendaria origine di un'usanza, di una cerimonia, di una festa, del nome di una località, coniugando così gli interessi storico-antiquari, caratteristici del Callimaco filologo, con quelli artistici, propri del Callimaco poeta. Gli espedienti cui Callimaco fa ricorso per introdurre la narrazione etiologica sono i più vari: talvolta parla in prima persona lo stesso protagonista dell'aition, mentre in altri casi il racconto viene inserito in una "cornice". Il poema trae origine da un sogno in cui le Muse appariscono a Callimaco, secondo uno schema derivato dalla Teogonia esiodea. Degli Aitia rimangono circa 200 frammenti di varia estensione. L'opera presenta due proemi: il primo proemio è un prologo di carattere programmatico in cui il poeta polemizza con i suoi avversari ed espone la propria poetica; il secondo proemio è la rievocazione di un sogno in cui egli, trasportato in cima al monte Elicona, discuteva con le Muse sull'origine di usanze e di riti. Il primo proemio costituisce il documento più rilevante della polemica che oppose Callimaco ai sostenitori delle forme letterarie tradizionali, soprattutto di quel "poema unico ed ininterrotto" cui egli contrapponeva il suo "epos in breve", esemplato appunto nelle elegie che formavano la raccolta degli Aitia. Callimaco chiama i suoi avversari "Telchini", dal nome dei maligni demoni sterminati da Apollo; e appunto all'accusa, mossagli da costoro, di essere poeta "di pochi versi", egli ribatte sprezzantemente che la poesia non va misurata in base all'estensione.
Contro i Telchini: I primi versi del proemio contengono una vera e propria enunciazione di poetica, per la quale Callimaco trae spunto dalla fantastica identificazione dei suoi detrattori con i Telchini. Da quanto si ricava leggendo questi versi, la principale accusa che si rivolgeva a Callimaco era quella di essere oligostikos, cioè di scrivere componimenti brevi, non essendo in grado di cimentarsi con il ben più impegnativo poema epico. Il poeta non smentisce l'affermazione degli avversari, ma contesta la spiegazione che essi ne danno, innalzando la leptoths, l'"esilità" della poesia, a canone fondamentale della propria concezione artistica, e motivando il rifiuto dell'epos tradizionale con precise ragioni estetiche. Per fare ciò egli ricorre ad una serie di significative immagini non allegoriche che contrappongono il suo modo di fare poesia a quello dei tradizionalisti: da una parte il melodioso usignolo e la canora cicala, dall'altra la stridula gru e l'asino ragliante; da un lato il pesante carro che viaggia per strade ampie e già battute, dall'altro l'agile cocchio che si avventura per impervi ed inesplorati sentieri.
Le città di Sicilia: L'erudizione storico-geografica costituisce, insieme alla rievocazione di miti spesso poco noti, la principale caratteristica degli Aitia. Questo brano, che consiste in un dialogo fra lo stesso Callimaco e la musa Clio, offre infatti lo spunto per rievocare antiche tradizioni legate alle fondazioni delle città siceliote come il culto dei fondatori delle città. In particolare nei riti sacrificali volti ad ottenere la protezione divina sulla città di Zancle (l'antica Messina) non si invocava, com'era invece costume altrove, il nome dell'eroe fondatore ricorrendo ad una formula generica.
La storia di Acontio e Cidippe: Il giovane Acontio si innamora perdutamente della bella Cidippe, da lui conosciuta a Delo, e riesce a legarla a sé mediante una sorta di incantesimo. Così, ogni volta che stanno per essere celebrate le nozze di Cidippe con uno dei pretendenti, essa si ammala misteriosamente, finché un oracolo non rivela la verità ed i due giovani possono finalmente unirsi in matrimonio. L'unione fra la stirpe di Acontio e quella di Cidippe, entrambi discendenti da nobili antenati, viene paragonata da Callimaco alla mistione fra diversi metalli.
La Chioma di Berenice: Si tratta di uno dei testi più famosi nel mondo antico, divenuto oggetto di imitazioni e di riscritture, fra cui la più celebre è senz'altro quella di Catullo. Alla partenza del marito per un'ennesima campagna militare, Berenice consacra in voto agli dei una ciocca dei suoi capelli, che poi scompare misteriosamente dal tempio in cui era stata collocata; contemporaneamente l'astronomo di corte, Conone, scopre un nuovo gruppo di stelle nel quale egli individua la forma della ciocca stessa, proclamandone la miracolosa metamorfosi in costellazione. L'espediente di far narrare alla stessa ciocca di capelli la sua incredibile vicenda costituisce una prosopopea, mentre il tono encomiastico del componimento è sottolineato dal fatto che i capelli di Berenice soffrono per non poter più toccare la testa della donna.
L'Ecàle: L'Ecàle è un breve poema epico di contenuto mitico - etiologico, e rappresenta il prodotto forse più esemplare della nuova concezione artistica affermata da Callimaco: la relativa brevità dell'estensione e l'erudizione antiquaria costituiscono infatti gli elementi peculiari dell'opera. Teseo si mette in viaggio per affrontare il feroce toro di Maratona, che infesta quella regione. Sorpreso da un temporale durante il cammino, egli trova ospitalità presso il modesto casolare di una vecchia contadina, Ecale. Ripartito il giorno dopo, l'eroe porta a termine felicemente la sua impresa; quindi fa ritorno alla casa di Ecale, per renderle il dovuto ringraziamento, ma apprende con dolore che la vecchietta è spirata. Allora egli, per onorarne la memoria, decide di chiamare con il nome della donna quel luogo e di edificarvi un tempio in onore di Zeus.
Il ritorno di Teseo: Sulla via del ritorno da Maratona, Teseo si imbatte in alcuni contadini: atterriti alla vista dello sconosciuto e del gigantesco toro che egli trascina dietro di sé, costoro stanno per darsi alla fuga, ma l'eroe li rincuora. Allora tutti intonano il canto di vittoria e gettano foglie su Teseo in segno di onore, mentre le donne gli incoronano il capo con fasce. Quest'ultimo particolare spiega l'origine dell'usanza di fare lo stesso con gli atleti vincitori.
Il discorso della cornacchia: Questo brano è occupato per la maggior parte dal discorso che una vecchia cornacchia fa ad un altro uccello per spiegarle quanto sia pericoloso divulgare avventatamente notizie sgradevoli (il colore nero delle piume delle cornacchie rappresenta infatti una punizione per aver fatto ciò). Notevole risulta, nella parte finale del frammento, la realistica descrizione dell'alba, il cui sorgere è scandito dai suoni della vita che riprende dopo il silenzio del riposo notturno.

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