venerdì 11 maggio 2012

ETA' ELLENISTICA + MENANDRO (GRECO)


CARATTERI GENERALI DELL’ ETA’ ELLENISTICA
L’ età ellenistica va, convenzionalmente, dal 323 a.C. (morte di Alessandro Magno) al 31 a.C. ( battaglia di Azio, fine del regno dei Tolomei).
Ovviamente i cambiamenti per la civiltà e la cultura greche sono enormi: La Grecia diventa un unico regno, in cui la πολις perde la sua autonomia come istituzione politica e non può più autogovernarsi né legiferare. Oltretutto la Grecia, e con essa Atene, non ha alcuna centralità a livello economico e perde il suo primato in campo culturale; Atene resta infatti un centro per la filosofia, ma non per la letteratura. Ciononostante la lingua e la cultura greche sono molto diffuse: la Grecia diventa una terra di emigrazione e, insieme ai cittadini, si sposta anche la cultura. E infatti in questa fase le classi dirigenti dei diversi regni ellenistici hanno una cultura di matrice greca e si può perfino parlare di una κοινή διάλεχτος, un particolare dialetto greco di stampo attico che era  particolarmente diffuso in tutti i regni ellenistici.

Un importante centro economico e culturale è l’ Egitto, dove regna la dinastia dei Tolomei, i quali fecero in modo di far convergere ad Alessandria importanti intellettuali che si occupavano di discipline molto diverse. Questo fu possibile grazie all’ istituzione del Museo e della Biblioteca.
Il Museo costituisce un importante centro di studi (in questo periodo, ad esempio, si effettuano molte scoperte in ambito medico, grazie anche alla possibilità di praticare la dissezione sui corpi umani) ed è proprio in questo contesto che nascono le scienze; Non nasce però la figura dello scienziato: l’ intellettuale ellenistico deve avere una conoscenza enciclopedica e non limitata ad un singolo ambito di indagine. La Biblioteca è invece un luogo in cui vengono conservati pressappoco tutti i libri esistenti in questo periodo. Qui convergono, oltre ai testi sacri, anche testi provenienti dalle svariate culture che erano in contatto con il regno d’ Egitto (tutte le navi che giungevano al porto di Alessandria dovevano infatti consegnare tutti i rotoli di papiro che trasportavano, i quali venivano ricopiati per essere collocati nella biblioteca).
 Anche qui emerge una nuova figura, quella del bibliotecario: costui non solo  si occupa di catalogare i testi che giungono nella biblioteca, ma provvede anche a scriverne una sintesi  (Callimaco, ad esempio scrisse le  πιναχής, le “Tavole”, un’ opera andata perduta che raccoglieva le sintesi di tutte le opere della biblioteca) ; ovviamente queste opere venivano anche studiate in maniera approfondita, e in particolare da un punto di vista filologico ( è in questo periodo, ad esempio, che ci si accorge di alcune incongruenze presenti nell’ Iliade e nell’ Odissea; nasce la questione omerica).
Gli studiosi alessandrini prediligevano la catalogazione per tre: di ogni genere letterario sceglievano i tre autori migliori; di questi abbiamo conservato molto, mentre degli altri da questo momento in poi cominciano a perdersi molte opere. Ho parlato di generi letterari perché è proprio in epoca ellenistica che nasce la letteratura: cominciano in questo periodo ad essere prodotte delle antologie, grazie alle quali è possibile riconoscere elementi di continuità e di distacco tra i diversi autori e definire dunque i diversi generi letterari.
Un elemento di novità importante in questa fase è dato dalla nascita della letteratura popolare: aumentano l’ alfabetizzazione e la disponibilità di materiale papiraceo, che raggiunge quindi costi più accessibili. La letteratura, dunque, non è più solo di tipo erudito e a scopo pedagogico, ma diventa letteratura di evasione, volta a dilettare e a far diventare un pubblico che non si limita più all’ aristocrazia, ma coinvolge anche quella che si potrebbe definire la borghesia dell’ epoca.
Diretta conseguenza di ciò è il cambiamento delle temi in ambito letterario: si affrontano tematiche quotidiane, molte poesie di quest’ epoca sono dedicate a piccoli animali o ad oggetti donati (poesia con motivo encomiastico); anche il paesaggio assume una sua rilevanza: in alcuni casi rimane un paesaggio evocativo (paesaggio- stato d’animo) come quello della poesia lirica arcaica, in altri il paesaggio è fine a se stesso: ne viene fatta una descrizione molto dettagliata, che coglie il paesaggio nel suo momento di massimo splendore (in primavera o estate, acque fresche e limpide, brezza piacevole ecc..) e non vuole evocare nient’ altro se non la bellezza del luogo.
Questo è dovuto alla realtà urbana dei regni ellenistici: se nella Grecia antica città e campagna erano poco distinguibili, una dentro l’altra, nei nuovi regni ellenistici la distinzione è molto evidente; Alessandria, ad esempio, è una metropoli nettamente distinta dalla campagna circostante. La campagna diventa un luogo di svago e riposo per i cittadini e per questo si tende a idealizzarla, a rappresentarla come esageratamente bella e ricca.
Anche il mito è presente, ma gli autori ellenistici preferiscono inserire nelle loro opere quei miti più ricercati e meno noti al pubblico, piuttosto che riprendere i miti più famosi.
Un altro elemento di novità è dato dalle figure trattate: a partire da questo momento assumono importanza donne, bambini, schiavi, anziani, personaggi quotidiani che nella letteratura precedente avevano avuto un ruolo marginale.
Questo è probabilmente dovuto al fatto che il cittadino greco, in questa fase, non si sente più cittadino di una πολις, ma cittadino del mondo: i greci hanno riconosciuto l’ umanità anche in quei popoli che avevano sempre considerato inferiori e, avendo perso la propria dimensione pubblica, ne hanno acquistata una privata, prendendo consapevolezza di quei legami più intimi e familiari che nell’ epoca della πολις venivano sacrificati in favore di un maggiore impegno politico.
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MENANDRO
E’ l’unico autore della commedia nuova di cui ci è giunto qualcosa. Fino agli anni ’70 del secolo scorso avevamo solo qualche frammento, ma in seguito furono rinvenuti dei papiri contenenti ben cinque commedie, di cui tre in buono stato.
Menandro è ateniese, nasce intorno alla metà del IV secolo a.C. e muore alla metà del III.
Volendo fare un confronto con la letteratura latina, si può impostare un’ equazione del tipo .
                   Menandro : Aristofane = Terenzio : Plauto.
Infatti, sia per Menandro che per Terenzio, la commedia ha la funzione non soltanto di dilettare, ma di fornire insegnamenti etici e morali e il linguaggio è meno vario (in Plauto e Aristofane troviamo una grandissima varietà di registri linguistici).
Nelle prime commedie di Menandro i personaggi sono dei tipi fissi, ovvero sono personaggi statici che non conoscono un cambiamento durante il corso della vicenda (si pensi al Δυσκολός), mentre nell’ ultima fase della sua produzione a noi giunta, i personaggi sono meno statici.
Ovviamente la commedia menandrea non affronta nessun tema politico, mentre si concentra sulla dimensione interiore dei personaggi. E infatti i protagonisti sono generalmente gli abitanti di una cittadina tranquilla, impegnati in un’ esistenza che ha nella famiglia e nei suoi valori l’ unico fulcro di interesse. In genere un elemento di perturbazione  di questa società “borghese” è la presenza dell’ ètera, che spesso  dà avvio alla vicenda (si pensi a “L’ arbitrato”).
Inoltre molto spesso nelle commedie di Menandro sono presenti accenni ad alcuni mali della società, come ad esempio i riferimenti alla diffusione di fenomeni quali la prostituzione o l’ esposizione dei neonati.
In queste commedie si ripropongono sempre le medesime situazioni; generalizzando: all’ inizio si trova un personaggio positivo che incontra delle difficoltà nel raggiungimento del suo obbiettivo (l’ amore per una fanciulla, la scoperta delle proprie origini ecc..), il protagonista affronta tali sfide mantenendo sempre un comportamento positivo (rispetto dei valori, buon senso) per poi raggiungere il suo obbiettivo. Le vicende hanno sempre un lieto fine e il momento educativo sta proprio nel premio ricevuto dal personaggio positivo.
Importante è l’ elemento della divinità: in questa fase il ruolo determinante che gli dei dell’ Olimpo avevano avuto nelle vicende umane viene meno; i personaggi non sono più guidati come marionette dalla volontà divina. L’unica divinità che venerano è Tyche, la sorte della quale è impossibile conoscere il percorso.
Questa crisi della religione tradizionale seguì la caduta della πολις ed è uno degli elementi caratterizzanti dell’ età ellenistica.


Il Misantropo: La prima produzione teatrale di Menandro è il Duskolos, titolo reso in italiano con Il misantropo. Il "misantropo" del titolo è Cnemone, un vecchio contadino che, insofferente del genere umano, ha abbandonato la moglie ed il figliastro Gorgia e vive lontano da tutti; unica compagnia, una vecchia serva ed una giovane figlia devota a Pan il quale, per premiarla della sua devozione, ha fatto innamorare di lei un ricco giovane di nome Sostrato. Questi gli antefatti. La scontrosità di Cnemone rende difficile qualsiasi approccio del giovane, che viene però inaspettatamente aiutato da un incidente occorso al vecchio: nel tentativo di recuperare alcuni attrezzi accidentalmente caduti in un pozzo questi vi precipita dentro, e solo l'intervento di Sostrato e di Gorgia gli evita la morte. Ancora in affanno per il rischio corso, Cnemone si rende conto dell'inumanità del proprio modo di vivere, e così adotta Gorgia come figlio e lo incarica di trovare un marito alla sorella. Gorgia fidanza la fanciulla con Sostrato e questi, per parte sua, convince il proprio padre Callippide a dare in sposa a Gorgia la figlia, nonostante la disparità economica tra le due famiglie. Al festino per le duplici nozze viene invitato anche Cnemone, ma il vecchio è tornato quello di prima, e non vuole saperne di banchetti: ci penseranno il servo Geta ed il cuoco a vendicarsi di lui trascinandolo a forza, ancora dolorante, al pranzo di nozze.
L'Arbitrato: Sono solo considerazioni inerenti allo stile quelle che inducono a collocare in una fase più matura della produzione menandrea l'Epitrepontes, L'arbitrato (il titolo di questa commedia significa "coloro che si rivolgono ad un arbitro", ma si usa renderlo più sbrigativamente con "l'arbitrato"). Un neonato esposto viene raccolto dal pastore Davo, che però il giorno dopo lo cede ad un carbonaio, tenendo per sé gli oggetti lasciati accanto al piccino. Il carbonaio ora reclama anche quei monili, indispensabili per accertare l'identità del trovatello, ma il pastore rifiuta e fra i due sorge una contesa. I litiganti trovano casualmente un arbitro nel vecchio Smicrine, che ignora di essere nonno del neonato, partorito da sua figlia Panfile pochi giorni prima e subito da lei fatto esporre: infatti, sposata da appena cinque mesi con Carisio, la donna si era ritrovata incinta per la violenza subita prima del matrimonio da uno sconosciuto. Carisio, di ritorno da un viaggio, aveva saputo della gravidanza della moglie e, certo che il figlio non fosse suo, se ne era andato da casa cercando distrazione nell'etera Abrotono, nonostante fosse innamorato di Panfile. L'arbitrato di Smicrine dà ragione al carbonaio, che così trattiene per sé gli gnwrismata, ma Onesimo, servo di Carisio, riconosce fra essi un anello del padrone, da lui perduto durante una festa riservata a sole donne, e ne fa cenno ad Abrotono. A questo punto l'etera ricorda di avere saputo dello stupro di una fanciulla avvenuto durante una cerimonia del genere, e sospetta che il padre del bambino possa essere proprio Carisio. Per accertarsene mostra a costui l'anello, fingendosi vittima di quella violenza, ed il giovane ammette di averla commessa. Allora Smicrine, saputa la cosa, preme sulla figlia perché si separi dal marito colpevole e si faccia restituire la dote: ma Panfile, che ama ancora Carisio, si rifiuta di farlo. Il giovane è frattanto preda di una profonda crisi di coscienza, avendo ripudiato la moglie solo perché vittima di una violenza analoga a quella che egli stesso crede di aver perpetrato sull'etera. Alla riconciliazione della coppia dà la spinta finale Abrotono, che con estrema generosità riconosce a Panfile la maternità del neonato (benché l'attribuirsela avrebbe potuto consentirle l'affrancamento dalla sua condizione di prostituta), rivelando a Carisio che la fanciulla violentata era proprio la sua futura moglie. Quasi certamente anche Abrotono avrà avuto parte nel lieto fine della commedia.


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